L’imprenditore nato sui banchi del MIP: la storia di TMI e di Stefano Urbani

Per molti dei nostri studenti, la cerimonia di consegna dei diplomi non è che il trampolino di lancio per una nuova avventura. Così è stato per Stefano Urbani, che proprio con l’Executive MBA del MIP ha gettato la basi per Turismo Medico Italia. Un progetto ora diventato concreto.

Come appare evidente dal nome della tua azienda, oggi ti occupi di turismo medico. Come è nato l’interesse per questo settore?

Tutto è iniziato nel 2012: allora ero impiegato nel settore automotive e mi trovavo in Turchia per lavoro. Per caso, durante quel viaggio, entrai in contatto con un noto oftalmologo azero, che mi fece conoscere la Turchia sotto un nuovo punto di vista, quello del turismo medico.
Diversi pazienti provenienti da Germania, Svizzera, Regno Unito, dai paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo e dell’area della Comunità degli Stati Indipendenti, sceglievano la Turchia per curare malattie e intraprendere trattamenti sanitari o cosmetici di vario tipo.
Infatti, quando si parla di turismo medico, si fa riferimento a quelle persone che si recano in Paesi stranieri con la finalità di migliorare lo stato di salute o fisico, attraverso, per esempio, procedure di chirurgia estetica, odontoiatria, cardiochirurgia, oncologia, trapianti…

In Italia, questo tipo di mercato non era ancora sviluppato – se non in maniera destrutturata. Così, interessato soprattutto al valore sociale che sta alla base del turismo medico, ovvero offrire a un paziente la possibilità di trovare una soluzione al proprio problema non solo nel Paese di origine ma anche all’estero, ho iniziato a chiedermi se anche l’Italia potesse essere competitiva da questo punto di vista.

TMI è un progetto che è diventato realtà anche grazie all’Executive MBA. Come?

Sono un Alumnus di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano e ho scelto l’Executive MBA del MIP, la Business School dell’Ateneo, come strumento per approfondire la mia idea.

Infatti, già dal 2013, ho iniziato a partecipare a eventi B2B e fiere di settore, in Europa, Paesi Arabi, Asia e Stati Uniti.
In questo modo ho potuto accrescere il mio network e sondare il terreno sia con facilitatori stranieri – che mi chiedevano informazioni sull’Italia come possibile destinazione – che con gli ospedali italiani – interessati a capire cosa fosse il turismo medico.

È stato proprio durante l’EMBA che ho gettato le basi di questo mio progetto – TMI Incoming – che è anche stato premiato come migliore project work del mio corso al momento della consegna dei diplomi.
Inoltre, questo mi ha permesso di incontrare alcune delle persone che ora sono parte attiva del progetto, allargando poi in maniera considerevole il network fino ad entrare in contatto con il Dott. Cristian Ferraris di Assolombarda. Proprio grazie a questo contatto, oggi TMI ha prodotto il sito web “healthlombardy.eu”, con l’obiettivo di presentare in maniera istituzionale le eccellenze sanitarie lombarde nel mercato globale del turismo sanitario. Questo lavoro, è stato per TMI l’opportunità di sviluppare un Minimum Viable Product – proprio come mi hanno insegnato in aula! – per il nostro attuale progetto di ospedale virtuale italiano sul quale stiamo lavorando grazie alla neo-costituita società di capitali Turismo Medico Italia Srl.

La ricerca di un investitore è stato un passo fondamentale per TMI. Quali sono state le sfide che hai dovuto affrontare e come il coinvolgimento del Cav. Lav. Nardo Filippetti sta influenzando lo sviluppo del progetto?

Devo essere sincero, la ricerca non è stata lunga. Infatti, siamo entrati in contatto con il Cav. Filippetti poco dopo la fine del percorso con Innovits, laboratorio di innovazione nel quale siamo stati accelerati alla conclusione dell’EMBA e che ci ha permesso di rendere il progetto nato sui banchi del MIP spendibile sul mercato.
Questo breve tempo di ricerca, tuttavia, ci ha permesso di confrontarci con alcune sfide interessanti, pima tra tutti il paradosso che deve affrontare ogni startupper: i numeri!
Spesso, infatti, gli investitori supportano un’idea solo quando il business è considerato “ragionevole”, senza considerare però che un investimento è necessario perché la startup raggiunga quel livello, soprattutto in settori dove le attività di Compliance & Legal, Cyber Security, Marketing e Comunicazione hanno costi elevati.

Inoltre, è stata l’occasione anche per capire chi fosse l’investitore giusto per TMI. E così, quando siamo entrati in contatto nel 2017 con il Cav. Filippetti, imprenditore visionario e di successo nel settore dell’accoglienza che coltivava da anni l’idea di inserirsi in questo mercato, eravamo pronti per comunicare con sicurezza la visione, la strategia e il servizio di TMI.
Infatti, il rispetto per il lavoro e per le persone, la creatività e l’intuizione sono i valori che hanno contraddistinto il Cav. Filippetti durante la sua carriera imprenditoriale e che fanno parte del progetto TMI.

Il nostro investitore, oltre che Presidente Lindbergh Hotels Srl, è anche Presidente ASTOI Confindustria Viaggi e Vice Presidente Federturismo Confindustria. Cariche istituzionali di prestigio che ci danno l’autorevolezza di cui avevamo bisogno, oltre al quotidiano confronto che ci permette di utilizzare le sue competenze acquisite negli anni a vantaggio del progetto. Infine, ci tengo a sottolineare che il suo approccio è stato da investitore industriale e non finanziario, un elemento estremamente importante che ci permette di ragionare sul lungo termine.

Come ti senti nelle vesti di imprenditore? Quali sono gli insegnamenti dell’EMBA che ti guidano ancora oggi?

Il mio stato d’animo è cambiato in seguito alla costituzione con il Cav. Filippetti di Turismo Medico Italia Srl a fine 2018.
Se all’inizio ero mosso dall’entusiasmo e dalla voglia di comunicare al mondo il mio progetto, oggi sono confortato dalla fiducia che mi ha accordato l’investitore, diventato un compagno di viaggio nel duro lavoro quotidiano.
Tuttavia a volte e come credo sia naturale, le giuste aspettative dell’investitore possono generare paura di non farcela, ma bisogna trovare un giusto equilibrio senza creare stress organizzativo.

Per questo ho elaborato il fattore AI-KI-DO: grazie al giusto equilibrio tra (Ai), Armonia, (Ki) Congiungimento e (Do) Unione cerco ogni giorno di guidare TMI verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati, annullando la paura di fallire, che credo sia umana, con la gratitudine di avere avuto un’opportunità!

La consapevolezza del momento presente e la responsabilità delle mie azioni verso il progetto, e le persone coinvolte – me compreso, mi permette di gestire l’attività economica assumendomi con la giusta serenità il cosiddetto rischio d’impresa.
Tutto questo è – evidentemente – costruito sugli insegnamenti dell’EMBA, primi tra tutti quelli sul comportamento organizzativo, strategia, project management, decision making, marketing, comunicazione e finanza. Questi mi hanno permesso rispettivamente di dare struttura alla consapevolezza, fare scelte a lungo termine, gestire singoli progetti di sviluppo, compiere le scelte quotidiane, vendere, sviluppare la brand awareness, ed infine curare l’ordinaria amministrazione.
Senza dimenticare poi le persone che hanno caratterizzato il mio percorso, i docenti incontrati e i colleghi conosciuti.
Ora la nostra sfida sarà quella di riuscire a industrializzare il prodotto, creando efficienza ma tenendo estremamente alti i livelli di qualità e servizio, con un approccio taylor-made per ogni singola richiesta. Per farlo, stiamo adottando a metodologia lean startup con l’obiettivo di evitare sprechi di risorse, costruire un business sostenibile e sperimentare le idee con il processo creativo “Creazione – Misurazione – Apprendimento”. Anche questa, metodologia appresa lungo il master.

Quali consigli daresti a chi oggi vuole lanciare una startup?

Tanto per cominciare consiglierei di essere onesti con sé stessi, ponendosi delle domande per non farsi male dopo. Come ad esempio quanto si è innovativi, se è il momento giusto per lanciarla e se si ha un buon team. Ma anche come finanziarsi e dove fondarla.

Un altro consiglio è quello di parlare della propria idea a più persone possibili: è un buon modo di testare l’interesse. Spesso, quando parlo del turismo medico, ricevo diverse domande al riguardo. Questa curiosità è un buon segno.
Una volta ricevuto un riscontro positivo, è bene poi prendere la margherita che si ha in mano e concentrarsi solo su pochi petali, focalizzando tempo ed energie.

Lanciare una startup è un atto di grande responsabilità verso il prossimo, verso chi crede nel progetto, quindi non posso che incoraggiare le persone a fare quello che amano. Oltre ad essere poi un grande sacrificio, che solo con la passione e la dedizione può portare al successo.

Infine consiglio di legarsi alla visione, non al prodotto o al servizio.

I fattori che influenzano il percorso di crescita di una startup sono innumerevoli e talvolta non controllabili; solo lasciando da parte l’ego della proprietà della propria idea e mettendo la “propria creatura” nelle condizioni di camminare da sola si può davvero manifestare quella visione che è la fiamma che brucia dentro!

Stefano Capoferri

È giovane, pieno di idee e, quando parla del suo lavoro, ha gli occhi che brillano per l’entusiasmo. Si chiama Stefano Capoferri, è un Alumnus di Ingegneria Gestionale e, insieme ai suoi genitori, è l’anima di Gulliver, software house di Brescia.
Vengo da una famiglia che ha una forte cultura imprenditoriale e parallelamente sono un appassionato di nuove tecnologie…” Stefano apre così la nostra chiacchierata, scegliendo le sue origini come biglietto da visita.
Dopotutto, la sua è la storia di un giovane che nell’azienda di famiglia ci è cresciuto, imparando sul campo i segreti del core business prima di interessarsi a bilanci e amministrazione.

Gulliver è nata nel 2000, puntando sul mobile quando erano in pochi a immaginare la crescita esponenziale che questo settore avrebbe avuto nei quindici anni successivi. Partendo dalle applicazioni di Sales Force Automation sui Nokia Communicator, oggi Gulliver è cresciuta sia nel mondo B2B – in particolare nella Contract logistics – che nel B2C.

Se da un lato l’interesse per il mondo imprenditoriale è parte del retroterra di Stefano, è stato il Politecnico a dargli gli strumenti per poter fare la differenza in azienda.
Ci spiega infatti: “Ho scelto Ingegneria Gestionale perché pensavo mi potesse dare una visione a 360°, un modo di pensare e di organizzare le varie attività. Gli anni al Politecnico sono stati uno dei momenti più belli fino ad ora…
Un legame forte, quello con l’Ateneo, che non si è allentato nel corso del tempo ma che, al contrario, è diventato sempre più forte. “Il Politecnico – ci racconta – è sempre stato per noi un punto di riferimento perché è qui che nasce l’innovazione. È uno dei migliori centri di ricerca ed è origine per noi di ispirazione. Personalmente, avendo studiato qui, apprezzo molto questa collaborazione, specialmente ora che sono entrati negli Osservatori alcuni ex compagni o che mi ritrovo a lavorare insieme ai docenti che mi hanno fatto lezione in passato.

È anche grazie a questa relazione con il Politecnico che Gulliver riesce a essere aggiornata e a cavalcare l’innovazione con successo.

Un esempio? Capoferri ci parla di tre startup nate da Gulliver: Legur– nel settore dell’agroalimentare, Giotto – dove tutti i colleghi di Gulliver sono soci e hanno l’1% delle quote della società, e WinEx – che unisce il mondo della logistica con quello dell’agroalimentare per assicurare ai ristoranti una cantina fornita e flessibile.
Questi progetti hanno dato a Stefano la possibilità di vedere da vicino il mondo delle startup e di capire che “in Italia spesso ci si ispira al modello americano, dove i venture capitalist sono abituati a investire molte risorse nelle nuove startup. Tuttavia, in Italia, non è sempre così, soprattutto su aziende che non hanno ancora utili.”

Il consiglio di Capoferri per chi vuole diventare uno startupper è di “dimostrare che si è in grado di fare utili, di saper organizzare un team. Poi l’investitore è facile da trovare”.
Un po’ come ha fatto insieme ai colleghi di Giotto per il lancio di Ophelia, una macchina per fare lo Spritz. Dopo aver costruito dei prototipi a mano, hanno avviato la produzione di un piccolo lotto autofinanziato destinato alla vendita, con l’obiettivo, una volta registrati i primi utili, di apparire più interessanti per i potenziali finanziatori.
Quello che il nostro Alumnus consiglia ai futuri imprenditori è di conoscere bene se stessi e i propri obiettivi, senza però trascurare il contesto in cui ci si trova.
Infatti spiega: “non bisogna dimenticarsi che siamo in Italia, un paese bellissimo, ma che ha logiche un po’ diverse da quelle che leggiamo su Bloomberg, Business Insider o Wired. Bisogna quindi informarsi su come vanno le esperienze tedesche, africane, cinesi, italiane, ma poi fare mente locale rispetto a chi si è, a cosa si può fare e a dove ci si trova.

Quello che conta, nel mondo del lavoro, è l’esperienza. L’invito di Stefano è quindi di “ascoltare tanto le persone che hanno più esperienza di noi, conservando però lo spirito critico. Infatti, in alcuni business capita che siano proprio i giovani a conoscere meglio le nuove generazioni e ad avere il polso delle tendenze future.

Ed è proprio quello che accade in Gulliver, dove Stefano impara ogni giorno dai colleghi, che definisce “una vera famiglia”, dai soci, e – ovviamente – dalla madre e dal padre.
Io sono la spalla perfetta per lui, e lui è la spalla perfetta per me”, spiega il nostro Alumnus riferendosi proprio al padre. “C’è questo mix tra giovane e vecchio che ci permette di unire l’approccio di un giovane, che ha tanta voglia di fare, e quello di chi ha l’esperienza per scaricare tutto a terra.

Così se da una parte è grazie al padre che Stefano ha imparato tanto sull’azienda e sull’essere imprenditore, è stato il figlio ad aiutarlo a entrare in empatia con i ragazzi giovani e – soprattutto – a portare una nuova ventata di energia.
E non facciamo fatica a crederci, visto l’entusiasmo e la vitalità con cui ci ha raccontato la sua storia.

Il leader alla prova delle soft skill

Nella vita delle aziende, la fusione rappresenta una delle fasi più delicate. È il momento in cui due entità con culture, storie, stili di leadership differenti si incontrano. Un processo che va pianificato e gestito con attenzione, ponendosi l’obiettivo di dare vita a una nuova cultura aziendale condivisa. Solo in questo modo un’integrazione può considerarsi davvero riuscita. Sergio Gonella, Culture and People Development & Recruiting Director di Wind Tre, azienda nata alla fine del 2016 dalla più grande fusione Europea nelle Telecomunicazioni, quella tra Wind Telecomunicazioni e H3G, questo percorso l’ha seguito in prima persona e lo ha raccontato agli studenti dell’Executive MBA della School of Management del Politecnico di Milano all’interno del ciclo “A point of view on Leadership”: «Abbiamo lavorato due anni per realizzare al meglio questa integrazione e, fin da subito, è parso evidente che le sfide maggiori non le avremmo affrontate solo a livello tecnologico o di business. Era fondamentale concentrarsi sulle persone. Così abbiamo deciso di coinvolgerle, attraverso un ampio cantiere di iniziative in cui le soft skill hanno giocato un ruolo preponderante».

I tre pilastri della leadership

Queste iniziative includevano «attività di ascolto come le engagement survey, attività di coinvolgimento attraverso communities, iniziative dedicate al welfare, allo sviluppo, al learning e alla gestione delle performance». Una strategia che è valsa sin da subito a Wind Tre la certificazione di Top Employer, e che ha preso ispirazione da un nuovo modello di leadership, definito anche in questo caso dal coinvolgimento delle persone scelte per guidare la nuova azienda. «Grazie alle interviste e ai focus group che hanno coinvolto i manager», spiega Gonella, «abbiamo individuato i tre pilastri che costituiscono il modello di leadership di Wind Tre: self, people e business».
Per quanto riguarda l’ambito self, «il leader deve dimostrare doti di stabilità, imprenditorialità e esemplarità». Caratteristiche interne che però devono essere poi tradotte all’esterno, ossia portate verso il team. «I nostri leader devono motivare i propri collaboratori e dar loro fiducia, permettere loro di esprimersi liberamente e in maniera costruttiva e stimolare la crescita di un network di relazioni interno ed esterno all’azienda», continua Gonella. Tutti elementi dove la padronanza delle soft skill è centrale.
L’approccio costruttivo della leadership si riflette anche sul business: «Su questo versante, le nostre priorità sono la generazione di valore, un forte orientamento al cliente e un’attitudine all’esplorazione e alla continua innovazione».

Osservare, imparare, innovare

La centralità attribuita alle soft skill è coerente con le trasformazioni del contesto globale, che vedranno mutare profondamente la gerarchia delle competenze lavorative richieste. È lo stesso Gonella a spiegarlo, citando il Future of Jobs Report stilato dal World Economic Forum nel 2018: «Se mettiamo a confronto le skill più richieste nel 2018 con quelle che lo saranno maggiormente nel 2022, possiamo notare non solo che queste ultime sono tutte competenze soft, ma che le capacità di apprendere, la creatività, l’originalità, assumeranno un ruolo preponderante». Questo perché si prevede che nel 2022 i ritmi dell’innovazione e del mutamento degli scenari saranno ancora più rapidi rispetto al presente. «La capacità di imparare, ma anche quella di sapere imparare, mettendo in atto delle strategie definite, diventerà persino più importante dell’onnipresente problem solving. Il leader del futuro dovrà essere in grado di analizzare le criticità pensando sempre a soluzioni innovative. E, per farlo, dovrà mettere in campo tutta le sue capacità di apprendimento», conclude Gonella.

Digital Transformation: how to implement this into practice

l tema della Digital Transformation sta ridisegnando in modo significativo processi e modelli di business delle imprese. Come adattare i propri processi interni alle esigenze delle nuove tecnologie? Quali sono le principali sfide che le aziende devono affrontare?

Questi sono alcuni dei temi che abbiamo trattato il 17 maggio in occasione della tavola rotonda “Digital Transformation: how to implement this into practice”, moderata da Filippo Passerini, Global Operating Executive, Consultant, Educator, former CIO Global di P&G, e dedicata agli allievi dell’Executive MBA.

A confrontarsi sul tema, insieme al Prof. Federico Frattini, Associate Dean for the Digital Transformation, c’erano Massimo Chiriatti, CTO Blockchain & Digital Currencies – University Programs Leader di IBM, Daniele Savarè, Innovation and Business Solutions di SIA, Ilker Kalali , Head of Industrial Engineering and Smart Manufacturing in Pirelli, Fabio Napol , Business Process Improvement Director, Luxottica, Fabio Moioli, Head of Consulting & Services at Micro, Lorenzo Pini, Innovation Project Leader di Legrand Bticino e Marco Signa, Connectivity Strategy Sr. Manager, Whirlpool Corporation.

Grazie alla varietà di settori e aziende rappresentate, abbiamo avuto la possibilità di vedere la Digital Transformation sotto aspetti di vista diversi e di apprezzare la varietà di prospettive emerse dal dibattito.

Arriva il Digital Readiness Coach per gli studenti dell’i-Flex!

Il 2019 è l’anno dell’MBA Revolution! Infatti, l’intera offerta dei programmi MBA ed Executive MBA è stata rivoluzionata seguendo cinque filoni principali: innovazione, personalizzazione, digitalizzazione, soft skills ed ecosistema.

Proprio con l’obiettivo di fornire agli allievi gli strumenti adatti ad affrontare il cambiamento e la trasformazione digitale, da quest’anno abbiamo inaugurato un nuovo servizio, tutto dedicato agli allievi dell’International Flex EMBA. Si tratta del Digital Readiness Coach Service.

Gli allievi del master avranno a disposizione un coach che, attraverso suggerimenti, esempi e casi pratici, li guiderà aiutandoli ad affrontare e superare le sfide poste da contesti di business sempre più connessi al mondo digitale.

La #MIPexperience continua in azienda!

Cosa c’è di meglio per uno studente della possibilità di toccare con mano le realtà aziendali per capire meglio quale percorso professionale si vuole intraprendere?

Proprio per questo gli allievi dei nostri Master hanno la possibilità di entrare in contatto in modo continuativo con il mondo del business attraverso varie attività, tra cui anche le company visit.

Si tratta di visite in azienda che si articolano in vari momenti. I responsabili HR, per esempio, presentano i valori, i principi, l’organizzazione del polo aziendale in cui ci si trova, oltre alle possibilità di carriera offerte.

Durante l’incontro con i manager di linea, invece, si parla delle best practice messe in opera dall’azienda, mentre durante il tour guidato gli allievi possono toccare con mano quello che accade sulla linea di produzione.

Tutto questo permette agli studenti dei nostri Master di conoscere in modo approfondito – e dall’interno – l’organizzazione aziendale, entrando personalmente in contatto con le funzioni e i ruoli che hanno sempre sognato di ricoprire. Infatti, tramite un’analisi diretta del contesto professionale, la raccolta di informazioni utili per attivare un processo decisionale e l’individuazione dei punti di forza ed eventuali aree di sviluppo, gli studenti saranno in grado di pianificare e definire sempre meglio strategie per il raggiungimento dei propri obiettivi di carriera.

I nostri studenti sono in grado di rimanere costantemente aggiornati sui trend del mercato del lavoro e sulle nuove competenze richieste per essere competitivi grazie agli strumenti sviluppati e alle relazioni che la nostra Scuola ha saputo creare e consolidare con le aziende leader sul mercato del lavoro sia italiano che internazionale.

Infrastrutture di trasporto: gestione dei rischi senza confini

 

Le infrastrutture critiche di un territorio sono quelle che ne soddisfano le necessità socio-economiche fondamentali, quali ad esempio energia, trasporti, comunicazioni, o servizi finanziari. Sono “critiche” in quanto una loro eventuale perdita o interruzione di servizio, anche parziale o momentanea, produce conseguenze gravi in termini di perdita economica, sicurezza o benessere della popolazione.
Tali infrastrutture, per le loro caratteristiche di estensione geografica, interconnessione ed interdipendenza, sono esposte a molteplici fattori che ne minacciano l’integrità fisica e la continuità di servizio. Ad esempio, eventi naturali o metereologici, come frane, abbondanti nevicate o alluvioni, sono spesso la causa del blocco di strade, autostrade e ferrovie. Non di rado sono le infrastrutture a cavallo di 2 paesi, ad esempio nelle nostre montagne ai valichi di frontiera, ad essere danneggiate con conseguenze su vaste aree transfrontaliere. E’ proprio in tali situazioni che azioni condivise e coordinate di monitoraggio del rischio e di gestione della fase emergenziale sono fondamentali, per aumentare la resilienza delle infrastrutture e per garantire uno sviluppo sostenibile delle regioni interessate.
Su questi temi, il Dipartimento di Ingegneria Gestionale è partner scientifico del progetto “SICt-Sicurezza delle Infrastrutture Critiche transfrontaliere”, finanziato dal “Programma di cooperazione Interreg V-A Italia-Svizzera 2014-2020” il cui evento di kick off si è svolto ad aprile 2019.
Il progetto ha lo scopo di aumentare la capacità di governance di eventi accidentali a carico di Infrastrutture Critiche di trasporto ed energia tra Italia e Svizzera, grazie alla implementazione di tecnologie avanzate di monitoraggio e di gestione dei flussi informativi tra gli attori coinvolti.
Ne abbiamo parlato con il professor Paolo Trucco, docente di Industrial Risk Management.

Qual è il vantaggio per due paesi confinanti essere in grado di gestire questi rischi in modo congiunto?

Le grandi infrastrutture di trasporto ed energia di un paese non si fermano al confine ma sono strettamente collegate con quelle di paesi confinanti creando una maglia di dimensione continentale. La rete di trasmissione elettrica europea ha continuità metallica da Lisbona a Kiev.
Allora eventi incidentali in un Paese possono produrre effetti negativi di disservizio o problemi di sicurezza in regioni anche distanti per propagazione ad effetto domino. Allo stesso modo, nessun Paese è in grado di gestire autonomamente in modo efficace questo tipo di eventi. La mutua conoscenza dei rischi e delle modalità di intervento in paesi confinanti, ma soprattutto la condivisione di informazioni e il coordinamento operativo in fase di emergenza sono indispensabili.

L’area geografica di interesse del progetto si estende da Zurigo a Milano interessando più di 440 nodi di trasporto stradale e ferroviario, gestiti da diversi operatori. Quali strategie vengono messe in campo?

L’area geografica di intervento del progetto SICt è stata stabilita esattamente in base alla estensione delle zone influenzate da eventi che possano accadere nell’area di confine Lombardia-Canton Ticino. Ad esempio, a seguito di un blocco del valico di Chiasso, il re-indirizzamento dei mezzi di trasporto merci e dei viaggiatori deve avvenire a Zurigo su lato Svizzero, e nell’area metropolitana di Milano sul versante Italiano. Per fare questo occorre certamente fornire ai diversi decisori informazioni più precise e tempestive sugli eventi attivi o previsti, ma soprattutto serve concordare delle modalità di intervento coordinate e collaborative: chi fa cosa, in quali tempi, con che mezzi ed eventualmente con quale livello di supporto ricevuto dagli altri attori. All’atto pratico, per ottenere questo tipo di pianificazione transfrontaliera occorre conoscersi di più tra operatori, allineare il più possibile i “modus operandi” e scambiarsi tempestivamente informazioni utili.

Il progetto terminerà nel 2021, quali sono i risultati attesi?

Il progetto renderà più facile e più rapida l’implementazione delle strategie dette prima grazie a due livelli di intervento. Da un lato potenzieremo la dotazione di strumentazione per il monitoraggio in tempo reale dei nodi critici, con installazioni fisse o mobili; si tratta principalmente di telecamere e droni, ma utilizzeremo anche immagini satellitari. Dall’altro verrà realizzata una piattaforma informativa che metterà in comunicazione e consentirà la condivisione di informazioni strutturate tra tutti gli operatori interessati, sia sul lato italiano sia su quello svizzero. La piattaforma sarà realizzata da LISPA (Regione Lombardia) come evoluzione ed estensione del “Cruscotto delle Emergenze”, un’applicazione predisposta in occasione di EXPO 2015. Nel 2021 faremo poi una esercitazione per testare sul campo la funzionalità e l’entità dei benefici ottenuti.

Gli altri partner del progetto SICt sono Regione Lombardia, capofila del consorzio, Polizia Cantonale Ticinese, Repubblica e Cantone Ticino – Dipartimento del territorio, Laboratorio Mobilità e Trasporti del Politecnico di Milano e Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI).

ABCup 2019: quindici tra le più celebri Scuole di management del mondo si sono sfidate nello splendido Golfo di Napoli

La regata si inserisce negli eventi dedicati ai 40 anni del MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business.

Alumni Business Cup 2019: vince la moscovita Skolkovo

Nonostante la scarsità di vento che ha reso difficile agli equipaggi condurre le imbarcazioni, proprio come accade nel business quando le condizioni sono avverse, si è conclusa con successo la ventiseiesima edizione della ABCup (Alumni Business Cup), regata storica dedicata ad Alumni e studenti che quest’anno è stata organizzata dal MIP Sailing Club, il “club velico” del MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business.

Realizzata in collaborazione con lo Yacht Club di Capri, la competizione si è svolta lo scorso weekend e ha visto la vittoria della Skolkovo School of Management di Mosca. In seconda posizione si è piazzata la francese INSEAD, in terza l’inglese LBS. Il MIP ha ottenuto il quarto posto. Le altre Scuole partecipanti, tra le più celebri a livello internazionale, erano le statunitensi Chicago Booth, Columbia BS e Warthon, le francesi ESPC, HEC, le tedesche Goethe Business School, MBS e WHU, l’italiana SDA Bocconi, la spagnola IE e la svizzera SBS.

La classifica generale ha infatti premiato i tre equipaggi con i migliori piazzamenti su due divisioni di barche: la A era costituita da una flotta monotipo di ESTE 24, mentre alla B hanno partecipato barche Cruiser di stazza più grande. Ma i team non si sono sfidati solo per mare: per sopperire alla mancanza di vento gli organizzatori hanno ideato una prova tra i vicoli di Capri che ha coinvolto anche diversi esercenti locali.

L’organizzazione dell’ABCup si inserisce nel quadro di eventi dedicati ai 40 anni del MIP Poltecnico di Milano Graduate School of Business, anniversario che cade proprio nel 2019. Il “Mip Sailing Club” ha coinvolto negli anni oltre 250 persone, con la partecipazione a 35 regate nazionali e internazionali. Un modo originale e appassionante per fare team building, tra sport e divertimento, in una cornice suggestiva.

I premi per i vincitori sono stati realizzati appositamente dal pittore e scultore napoletano Lello Esposito: per la ABCup 2019 l’artista ha impresso sulla vela del trofeo una rivisitazione di Pulcinella, la caratteristica maschera napoletana. Supporto alla regata è stato offerto anche dalle aziende SLAM, che produce abbigliamento tecnico per velisti, SAMI, che realizza cavi ad alta tecnologia e Moëth e Chandon, che ha messo a disposizione il suo champagne per i festeggiamenti finali.

Per il MIP hanno partecipato gli equipaggi composti da Giulia Zucchetti (skipper), Otello Costa, Michele Albertini e Mario Aquino (divisione A) e da Davide Casola (Skipper), Hugues Bartnig, Claudio Marconi, Francesco Vagnoni, Giampaolo Mercati, Filippo Croce, Maria Cristina Rossi, Alfonso Scarano (divisione B).

Finanza quantitativa. Affidarsi alla matematica e alla statistica per gestire la complessità

C’erano una volta i banchieri e i bancari. C’erano, e ci sono ancora, ma negli ultimi vent’anni il loro lavoro è diventato molto più complesso. L’incremento esponenziale dei derivati (strumenti finanziari complessi) a partire 2000 e la crisi del 2008, uniti a un nuovo approccio regolamentare che ha portato a un mercato più aperto, hanno rivoluzionato il mondo della finanza, dando vita a uno scenario le cui regole e i modelli, a oltre un decennio di distanza, non sono ancora del tutto chiari.

I dati al centro

È in tale contesto che si sono imposti gli strumenti della finanza quantitativa: «Il risk management e il fintech sono le risposte che abbiamo messo a punto per fronteggiare l’eredità della crisi», ha spiegato il professor Emilio Barucci introducendo la decima edizione del Percorso executive in finanza quantitativa, di cui è direttore, che prenderà il via a novembre 2019 presso la School of Management del Politecnico di Milano.
Secondo Aldo Nassigh, Vice president di Unicredit, «il crack di Lehman Brothers è paragonabile alla Rivoluzione francese. Ha messo fine a un paradigma, ma non siamo ancora entrati in quello nuovo. Di certo, però, possiamo registrare una tendenza che va verso il prodotto vanilla (negoziazioni di tipo standard, semplici e lineari, ndr): i portafogli crescono di volume, includendo decine di migliaia di derivati individualmente semplici, ma che messi tutti insieme generano un’enorme complessità». Nassigh tiene poi a specificare che il modus operandi delle banche è molto diverso da quello delle società fintech, ed è importante non confondere le due strategie: «Le banche non sono data driven, ma la loro attività parte da modelli di valorizzazione del portafoglio, di valutazione del rischio, di pricing. Solo in un secondo momento calibriamo questi modelli sui dati».

Finanza quantitativa: cercasi professionisti

È evidente, dunque, come dice Barucci, che «l’utilizzo dello strumento quantitativo, ossia della matematica e della statistica applicate all’ambito finanziario, è diventato cruciale». E si è tradotto in nuove opportunità lavorative, che coprono uno spettro di posizioni più ampio di quello che si può comunemente pensare. Come illustra Barucci, le principali aree interessate sono quattro: «la gestione del portafoglio, la valutazione dei prodotti finanziari, il trading e la gestione del rischio».
Nonostante queste siano aree in grande sviluppo, oggi si registra ancora una carenza di personale formato adeguatamente: «Abbiamo bisogno di numerosi profili quantitativi nel settore del trading, ma facciamo fatica a trovarli», ammette Luigi Terzi, head of market risk management di Banco BPM. «Se il trader, una volta, era colui che cercava di cogliere il sentiment di mercato, oggi non può fare a meno di adoperare strumenti algoritmici che mitigano il rischio di certe operazioni. Ma la finanza quantitativa si sposa anche al sales desk, al financial engineering, all’IT, all’audit compliance: tutti ambiti dove la formazione quantitativa è fondamentale».

Le opportunità della consulenza

Un’ulteriore conferma di questa tendenza arriva da Gianni Pola, Senior portfolio manager presso ANIMA Sgr: «Anche gli uffici che si occupano di gestione discrezionale del portafoglio, un tempo “riservati” a laureati in economia, assumono oggi persone dal profilo quantitativo».
L’interesse per professionalità simili non riguarda però solo le banche, piccole o grandi che siano, o i gruppi che si occupano di risparmio gestito. «Stiamo assistendo a una progressiva esternalizzazione delle competenze da parte dei grandi gruppi, un processo che ha favorito molto il mercato delle consulenze» ha spiegato Barucci. Antonio Castagna, Managing partner di Iason, che si occupa proprio di consulenza, ne è testimone diretto: «Personalmente sono convinto che i modelli di pricing elaborati negli ultimi anni siano ormai maturi. Le figure che cerchiamo oggi le definirei “funzionali”, in grado cioè di far funzionare quanto già esiste. Ma, per esserne in grado, il sostrato quantitativo rimane imprescindibile».