#AlumniTeamUP: storie dalla community di innovatori per costruire un futuro migliore per tutti

Riccardo Terraneo, Studente del Percorso Executive in Smart Manufacturing al MIP Politecnico di Milano, racconta opportunità della rivoluzione digitale, di cui è protagonista con il progetto Komete BeSafe.

 

Kometebesafe sembra l’alleato perfetto per mantenere il social distancing a lavoro. Raccontaci di più.

Komete BeSafe è una soluzione IoT composta da un dispositivo indossabile da dare ad ogni lavoratore e un software in cloud che raccoglie gli allarmi e le segnalazioni dei dispositivi.
L’obiettivo è quello di migliorare la sicurezza sul posto di lavoro sia per quanto riguarda le tematiche relative al COVID-19 ma anche per tematiche riguardanti la sicurezza in azienda più in generale.
Il dispositivo è grande quanto un badge e può essere indossato al collo, oppure tenuto in tasca. Le principali funzionalità si raggruppano in due moduli, uno per la sicurezza (rilevazione di cadute, accesso a zone di pericolo, chiamate e messaggi di emergenza, richieste di soccorso, invio della posizione GPS) e uno più focalizzato sul distanziamento sociale in azienda. Infatti i device agiscono come dissuasori di contatto emettendo a seconda della personalizzazione un suono, una vibrazione, oppure un segnale luminoso, in caso di mancato rispetto delle distanze di sicurezza. Inoltre si può risalire alla catena di contatti avvenuta in azienda e ricevere un messaggio di allarme se troppe persone sono presenti in uno spazio chiuso ristretto. Ciò è reso possibile grazie al Bluetooth Low Energy, tecnologia in grado di rilevare il contatto tra due o più dispositivi. In caso di contagio il medico aziendale o il referente dell’asl, può visionare la catena dei contatti del contagiato.

 

Al centro della mission di Komete ci sono trasformazione digitale e il 4.0. Quali sono ancora oggi gli ostacoli e le opportunità maggiori della quarta rivoluzione industriale?

L’obiettivo di Komete è offrire soluzioni IoT per aiutare le nostre PMI industriali a diventare più efficienti. Le nostre soluzioni sono caratterizzate dalla semplicità di utilizzo, dalla poca invasività nei processi aziendali e dalla loro accessibilità, da qui deriva il nostro claim “Smart Factory Made Easy”.

L’ostacolo principale è il timore verso il cambiamento. Introdurre soluzioni digitali significa ripensare gli aspetti organizzativi, andare contro la logica del ‘si è sempre fatto così’, questo non è facile, perché bisogna coinvolgere le persone a tutti i livelli, bisogna istruirle, motivarle e ascoltarle. In questo il MIP svolge un ruolo di primo piano in termini di formazione e consapevolezza. Le opportunità sono enormi, abbiamo la possibilità di fornire strumenti tecnologici per migliorare la vita delle persone in azienda, aiutando tutti gli operatori a tutti i livelli nel prendere decisioni migliori. Pensiamo all’utilizzo di Google Maps, ci ha permesso di raggiungere qualsiasi luogo senza conoscere la strada, ci permette di prendere decisioni diverse in base al traffico. Ecco questa è l’opportunità: prendere decisioni migliori.

In particolare con Komete stiamo creando una gamma di prodotti digitali semplici da utilizzare per fornire alle PMI nuovi strumenti per misurare e controllare quanto avviene in fabbrica in tempo reale.

 

In che modo il tuo percorso al MIP ti sta aiutando nel tuo progetto e, più in generale, nella tua esperienza in Komete?

Sto migliorando come persona e come professionista e questi miglioramenti lì sto portando in azienda. La crescita maggiore la sto avvertendo in merito a due aspetti: l’approccio al problem solving e nell’ideazione di nuovi prodotti/servizi. La possibilità di frequentare una classe composta da persone di grande esperienza proveniente da aree e settori diversi, mi ha portato a conoscere nuove esperienze in merito a soluzioni di problemi aziendali. Questo fatto unito allo studio di casi aziendali proposti in classe, mi ha fornito un’ampia gamma di soluzioni e punti di vista che mi hanno arricchito e mi hanno permesso di avere una visione più completa e aperta. Nel caso di lancio di nuovi prodotti/servizi, occupandosi Komete di soluzioni digitali per le PMI, ci ha consentito maggiormente di capire quali sono i bisogni delle PMI, grazie al confronto con i colleghi di classe e dei casi svolti insieme con i professori, quest’ultimi sono fonte di stimolo e continuo miglioramento.

Ad esempio Komete in sinergia con il MIP nei prossimi mesi valuterà e testerà il lancio di un nuovo prodotto digitale per migliorare il coordinamento con il fornitore, le prestazioni in produzione e la gestione del cliente.

 

Il MIP ha recentemente ottenuto la certificazione B Corp, prima business school italiana, e unica europea, spinta dalla consapevolezza del ruolo che ogni impresa giocherà nel costruire un futuro migliore per tutti. Quale consiglio daresti alla nostra Community per sviluppare iniziative di impatto sociale?

Colgo l’occasione per complimentarmi per il traguardo raggiunto, questo penso sia il giusto riconoscimento dell’impatto positivo sociale del MIP. Ogni organizzazione dovrebbe avere un impatto sociale positivo, infatti le aziende sono il centro dell’innovazione e dei cambiamenti nella società, con i nostri prodotti, i nostri servizi, e i nostri comportamenti possiamo incidere positivamente e credo che per un gruppo di persone con la stessa visione e condivisione degli obiettivi, non ci sia nulla di più soddisfacente nell’avere un impatto positivo sulla vita delle persone. Non ho consigli in particolare da dare, credo di avere tanto da imparare. Posso solo dire quanto noi di Komete crediamo nell’ascolto dei bisogni delle persone; le organizzazioni nascono per soddisfare i bisogni delle persone, e in un momento delicato come questo credo che i Sustainable Development Goals suggeriscano quali siano gli obiettivi da raggiungere a lungo termine.

Digital transformation: adesso o mai più

Il professor Antonio Ghezzi presenta l’International master in digital transformation: dalle ricadute strategiche a quelle organizzative, passando dalla necessità di sviluppare un mindset imprenditoriale per gestire un cambiamento ormai ineludibile. Per qualsiasi azienda

 

Digital transformation sì. Ma a patto di parlarne nel modo giusto, comprendendone a fondo la natura e le ricadute sulle aziende. «Oggi assistiamo a un abuso di questo termine da parte di molte realtà, allo scopo di collocarsi e riposizionarsi», ci spiega Antonio Ghezzi, Professore Associato e Direttore dell’International Master in DigitalTransformation presso il MIP Politecnico di Milano. «Quello che dobbiamo fare, invece, è definire i confini di questo concetto. Troppa enfasi rischia di portare a un’inflazione, con il rischio di vedere esplodere una bolla come accadde con le dot-com nei primi anni 2000. Dobbiamo cercare invece di capire la natura delle ondate tecnologiche, che cosa possono portare al business e come cambierà il ruolo dei manager, che non possono più permettersi di ignorare le trasformazioni in atto».

 

Un’opportunità anche per i più piccoli

Secondo Ghezzi, adottare la digital transformation porta prima di tutto a dei processi di trasformazione che vanno interpretati. «Il primo tema è di natura strategica. Attraverso la combinazione di diverse tecnologie, possono crearsi nuovi mercati. Inoltre, la natura della competizione cambia, si evolve, abbandona le forme del passato. Il secondo tema è di natura imprenditoriale», continua Ghezzi. «Questo fenomeno fa emergere nuove opportunità di business, che bisogna saper cogliere. La creatività diventa fondamentale, da questo punto di vista. E permette alle startup e a tutte quelle realtà born digital di competere con aziende molto più strutturate». Il terzo e ultimo tema è quello organizzativo: «Difficile mettere in atto un piano strategico, se l’organizzazione non è allineata. E poi, bisogna pensare a come incide il digitale: che impatto ha sulla macrostruttura? E sulla microstruttura? Sono presenti le competenze adeguate per portare avanti il piano?»

 

L’azienda digital deve sperimentare

Ovviamente, il ruolo del manager diventa fondamentale di fronte a un cambiamento così ineludibile e così necessario. «È importante riconoscere che il mondo, ormai, è digitale», spiega Ghezzi. «Anche chi è riuscito a posizionarsi in uno spazio ristretto, deve sapere che, prima o poi, quella nicchia si eroderà. Per trovare nuove strade, le aziende devono imparare a sperimentare, investendo poco in direzioni diverse, imparando a saggiare la qualità delle proprie scelte, per capire quale sia la migliore. In un contesto così turbolento, dove le discontinuità non sono solo di natura tecnologica, diventa impossibile una pianificazione classica. Lo hanno capito anche le aziende più grandi, che ora cominciano a imitare questo approccio finora tipico delle start-up». Per affrontare queste sfide, il mindset imprenditoriale è, secondo Ghezzi, ideale: «La ricerca delle opportunità di business deve essere costante. La discontinuità in cui viviamo ci costringe a farlo. A meno che le aziende non vogliano essere soppiantate. Pensiamo a quanto hanno realizzato, in poco tempo, imprese digitali come Amazon, Airbnb, Uber».

 

Dal know-how al know-where

Le tecnologie in gioco, però, bisogna conoscerle. Meglio ancora, bisogna sapere dove andare a cercarle. «Passiamo dal modello del know-how al modello del know-where. È improbabile che una singola impresa detenga tutte le tecnologie che oggi stanno segnando la digital transformation. Se mettiamo in cima alla piramide l’intelligenza artificiale, scendendo vedremo che questa avrà bisogno del machine learning, dei big data e della raccolta dati, che può avvenire a livello consumer, o tramite l’Internet of Things. E tutti questi dati, poi, vanno immessi nel cloud. Ecco, difficile per una sola azienda gestire questa complessità, e per questo diventa importante conoscere dove trovare questi servizi digitali».

Il MIP Politecnico di Milano ha creato l’International master in digital transformation allo scopo di formare professionalità capaci di destreggiarsi in questo ambito. «Noi diamo innanzitutto dei fondamenti di general management a tutti i nostri iscritti, insieme a nozioni di strategia di marketing e di finanza. Quindi approfondiamo le tecnologie, valutandone l’impatto manageriale. Il terzo blocco prevede un’analisi degli approcci lean start-up e di design thinking. Gli studenti avranno modo di mettere concretamente in pratica quanto studiato. Non esiste momento migliore di questo per iscriversi. Le organizzazioni che non mettono in attesa questo processo rischiano di finire ai margini», conclude Ghezzi.

 

QS MBA Career Specialization Rankings 2021: lavoro, ricerca e placement rendono la School of Management del Politecnico di Milano tra le migliori al mondo

La classifica di QS premia gli MBA del MIP in ben sei ambiti. Spicca l’ottimo risultato nell’Operations Management, seguito da Entrepreneurship e Marketing. A conferma che il mondo del lavoro apprezza il lavoro di formazione della scuola e i suoi alumni.

 

Gli MBA del MIP sono tra i migliori al mondo, anche per quel che riguarda le specializzazioni nei vari ambiti lavorativi. È quanto emerge dal QS MBA by Career Specialization Rankings 2021: la graduatoria è stata stilata da Quacquarelli Symonds, società che si occupa dell’analisi dell’offerta accademica a livello globale. Questa classifica in particolare, basata sui risultati ottenuti dalle varie scuole e dagli alumni nei vari ambiti del business, ha visto la School of Management del Politecnico di Milano posizionarsi nella top 100 in ben sei categorie, distinguendosi in particolar modo nei settori dell’Operations Management, dell’Entrepreneurship e del Marketing.

 

Nello specifico, il risultato migliore è stato ottenuto nell’Operations Management, in cui la Scuola si è classificata al quinto posto al mondo. A seguire, la 35esima posizione in Entrepreneurship e la 43esima nel Marketing, sempre a livello global. A influire in maniera significativa su questi risultati è soprattutto l’altissimo punteggio ottenuto nella ricerca legata alle specializzazioni considerate, insieme alla reputazione tra i datori di lavoro e al career placement.

 

Risultati ancora più rilevanti se si tiene conto della metodologia con cui è stata stilata la classifica: sono stati infatti presi in considerazione oltre 37 mila datori di lavoro, a cui si sono sommate le analisi di milioni di pubblicazioni accademiche e delle statistiche sull’impiego degli alumni. Significa, innanzitutto, che il mondo del lavoro riconosce la validità delle persone formate nella School of Management, e che quelle stesse persone perseguono poi carriere di alto livello, in proprio o all’interno di organizzazioni di assoluto rilievo.

 

Colpisce positivamente, poi, la varietà degli ambiti considerati, a conferma della vocazione della scuola nel percorrere una strada dove management, economia e tecnologia si incontrano e si uniscono in un unicum formativo.

 

Oltre ai tre settori citati, la School of Business entra poi nella top 100 anche negli ambiti del Consulting, dell’Information Management e della Technology.

 

Si tratta della terza conferma in pochi giorni della qualità dell’offerta formativa della Scuola. MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business è entrata infatti per la seconda volta nella sua storia nella prestigiosa classifica internazionale Financial Times Executive MBA 2020, così come i corsi del MIP sono stati premiati nella QS Business Masters Rankings 2021. Un duplice riconoscimento a cui si somma appunto il risultato raggiunto nel QS MBA by Career Specialization Rankings 2021.

L’accreditamento dei nostri corsi: un valore aggiunto per la nostra Business School

Già nel 1991, MIP ha visto riconosciuto il suo primo programma MBA da ASFOR, dimostrando di essere in grado di diffondere la cultura manageriale nel nostro Paese. Oggi, con un approccio votato alla continua innovazione, continua ad impegnarsi nella formazione delle future generazioni di manager, per prepararli ad affrontare le sfide del “new normal” e della digital transformation.

Essere parte di organizzazioni come ASFOR – Associazione per la formazione manageriale, dopo quasi 30 anni dal primo accreditamento, continua ad essere motivo di orgoglio, garanzia del valore dell’offerta formativa e fonte di preziosi contatti e collaborazioni per MIP.

«L’accreditamento ASFOR di un programma passa per una serie di rigorosi parametri di valutazione – spiega Tommaso Agasisti, Associate Dean for Internationalization, Quality and Services – e la sua qualità, una volta certificata, viene costantemente monitorata nel tempo. Questo rigore costituisce una garanzia per chi sceglie di affidarsi alla nostra esperienza e motiva la nostra Business School, ogni giorno, a mantenere alto il valore di tutti i programmi erogati.»

Il mercato della formazione sta diventando infatti sempre più ricco e variegato: centinaia di enti e università, in Italia e all’estero, erogano percorsi formativi, in presenza e in distance learning. Optare per un percorso MIP accreditato, riduce il rischio e la paura di commettere una scelta non ottimale, che caratterizzano tipicamente la selezione di un corso di specializzazione.

MIP è anche la prima Business School italiana ad aver ricevuto l’accreditamento EOCCS -EFMD Online Course Certification per i corsi erogati in digital learning, fa parte dell’ 1% a livello globale di scuole accreditate da EQUIS – EFMD Quality Improvement System, e i suoi programmi MBA ed EMBA hanno raggiunto da tempo gli standard qualitativi di eccellenza, così come definiti da AMBA – Association of MBAs.

Essere parte di queste realtà consente di avere uno scambio continuo con i migliori operatori del settore e, soprattutto, di coltivare un contatto diretto con i potenziali studenti. Grazie a diversi eventi di orientamento, come il D-Day dei Master Accreditati ASFOR che si terrà il prossimo 29 ottobre, hanno luogo preziosi confronti one-to-one con i candidati. Questa giornata, nello specifico, coinvolgerà 41 master accreditati in un palinsesto ricco di appuntamenti, celebrando il valore di grandi istituzioni formative, tra cui ovviamente il MIP Politecnico di Milano.

«Parteciperemo, come ogni anno, a questa giornata dedicata alla formazione manageriale di qualità: i nostri Recruiting Team saranno a disposizione delle centinaia di studenti e professionisti Italiani che stanno valutando, in questo momento quanto mai delicato, di investire sul futuro tramite la formazione. Del resto, per dirlo con le parole di Nelson Mandela, “l’istruzione è l’arma più potente per cambiare il mondo”… Ma per farlo, è necessario istruirsi bene!» conclude Agasisti.

«Tra il MIP e la Croce Rossa: studio e lavoro per aiutare il Libano»

Christian Lenz è iscritto all’Emba i-Flex del MIP Politecnico di Milano. Un corso che riesce a seguire da Beirut, dove guida una squadra di ingegneri che si occupa di salute pubblica. Qui racconta le sfide del suo lavoro e la conciliazione dello studio con un ruolo così impegnativo

 

Lavorare per la Croce Rossa Internazionale (Icrc) in un Paese come il Libano e, al contempo, frequentare un master presso il MIP Politecnico di Milano. È quello che fa Christian Lenz, Deputy water and habitat coordinator per l’organizzazione e studente del corso iFlex 2019-2021. Un doppio impegno che lascia poco spazio ad altro, senza dubbio: «La pressione, sia nello studio sia nel lavoro, cambia nel corso del tempo e può portare a livelli significativi di stress», spiega. «Ma non mancano i benefici. Grazie al master, sono più consapevole dei problemi chiave quando redigo un budget, e ho sviluppato un buon background che mi permette di capire le dinamiche della crisi economica del Libano. Questo ha reso il mio lavoro più soddisfacente, più solido da un punto di vista tecnico e anche più efficiente».

 

L’esplosione di Beirut

Christian Lenz lavora per la Icrc da oltre quattro anni. Attualmente, è impiegato presso il dipartimento che si occupa di salute pubblica: «Guido una squadra di ingegneri. Uno degli aspetti chiave è l’integrazione di queste attività nello scenario più ampio di ciò che fa la Icrc, con l’obiettivo di massimizzare l’impatto umanitario». L’evento drammatico verificatosi nella capitale libanese lo scorso 4 agosto (l’esplosione di un deposito presso il porto, che ha provocato l’uccisione di oltre 200 persone e il ferimento di 7mila, ndr) ha richiesto un grande sforzo a Lenz e alla Icrc: «La Croce Rossa è un’organizzazione abituata a operare in contesti emergenziali, così siamo stati in grado di rispondere immediatamente ai bisogni più urgenti. Il mattino successivo all’esplosione, i nostri ingegneri hanno lavorato fianco a fianco con le autorità locali, ripristinando le riserve idriche per 120 mila persone entro la fine del pomeriggio», racconta. «Adesso continuiamo a rispondere ai bisogni urgenti fornendo medicinali, donazioni di denaro alle famiglie maggiormente colpite e sostegno psicologico alle persone coinvolte».

 

Sfide, ostacoli, urgenze: un lavoro diverso

Il lavoro di Lenz non è quindi un lavoro come tutti gli altri, a causa del contesto e delle situazioni, quasi sempre difficili, in cui si opera: «La Croce Rossa è presente in situazioni di conflitti armati e violenza. Questo accresce il livello di sfida rispetto ai “normali” ambienti lavorativi. Oltre agli ostacoli tecnici, dobbiamo affrontare altre sfide: comprendere il contesto in cui lavoriamo, identificare i bisogni umanitari più pressanti e definire delle priorità, ma anche prenderci cura del nostro staff e guidarlo in condizioni difficili. In situazioni di urgenza, siamo chiamati a prendere decisioni basate su informazioni limitate per poter sviluppare rapidamente soluzioni efficienti sia in termini di tempo che di costi. Può essere molto stressante. In alcuni contesti, le costrizioni logistiche possono rallentare significativamente il nostro lavoro».

 

L’importanza delle soft skill in un contesto umanitario

Ma se queste sfide sono eminentemente tecniche, è anche vero che non sarebbe possibile affrontarle senza delle ottime soft skill. Competenze che Lenz sta sviluppando anche grazie all’Emba che frequenta: «Sono le soft skill a permetterti di realizzare un lavoro di qualità, anche quando è di natura tecnica. Nel lavoro umanitario probabilmente sono ancora più importanti: ci troviamo di continuo in contesti nuovi e sconosciuti. Lavoriamo in team multiculturali, i cui membri provengono da decine di Paesi. È importantissimo sapersi approcciare con una mentalità aperta, rispettosa, conservando sempre un’attitudine positiva. Per orientarsi e sviluppare delle strategie significative è fondamentale ascoltare gli altri, che si tratti di colleghi o di persone colpite dalla violenza e dai conflitti armati».

 

i-Flex: i vantaggi di un formato flessibile

In un contesto simile, è il formato i-Flex a permettere a Lenz di frequentare l’Emba: «È erogato quasi del tutto digitalmente. Provenendo da un approccio tradizionale, all’inizio mi spaventava. Ma durante la settimana iniziale, svolta in presenza, siamo stati introdotti ai concetti di didattica e collaborazione online. Mi sono adattato e ho imparato in fretta che la didattica e la collaborazione online rappresentano il futuro. Le interazioni con la mia classe sono piacevoli. Raccomando l’iFlex a chiunque sia interessato a un Emba internazionale di alta qualità e che richieda flessibilità sia in termini di tempo che dal punto di vista geografico».

 

Financial Times Global Executive MBA 2020: La School of Management del Politecnico di Milano è tra le migliori al mondo.

L’Executive MBA del MIP, la Graduate School of Business parte della School of Management, entra per la seconda volta nella sua storia nella classifica internazionale dedicata ai migliori programmi, dove si distingue per le proprie attività di CSR.

 

MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business entra per la seconda volta nella sua storia nella prestigiosa classifica internazionale Financial Times Executive MBA 2020, posizionandosi al centesimo posto. Dopo il novantaquattresimo posto ottenuto nel 2010, la Business School del Politecnico di Milano è di nuovo protagonista tra le scuole premiate per la qualità dell’offerta didattica dei propri corsi Executive MBA.

 

Nel dettaglio, l’Executive MBA del MIP si posiziona al trentacinquesimo posto per ciò che concerne il focus e l’attenzione ai temi della sostenibilità, al settantunesimo per l’internazionalità del programma e all’ottantesimo in base al parametro che prende in considerazione le attività di ricerca della School of Management. Ottimi risultati si registrano anche per la presenza di donne sia all’interno del corpo docenti (female faculty, 41%), che nell’advisory board della School of Management (women on board, 50%).

 

Rispetto alla classifica Europea del 2019, migliorano ulteriormente anche i parametri che considerano sia lo stipendio medio a tre anni dalla graduation, con un aumento del 9% rispetto al parametro del 2019, che l’incremento delle retribuzioni dopo la graduation, dal +43% del 2019 al +49% del 2020.

 

Nel complesso, la School of Management figura tra le uniche tre Università Tecniche con una Business School o un Dipartimento di Management presenti in classifica, preceduta da Imperial College (UK) e Aalto University (Finlandia).

 

Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean del MIP Politecnico di Milano: “E’ per noi un piacere vedere riconosciuta la qualità dei nostri Executive MBA da un Ranking prestigioso come quelle redatto dal Financial Times. Essere annoverati tra i migliori 100 programmi al mondo, ancora una volta a distanza di dieci anni, rappresenta per noi un ulteriore stimolo per continuare a lavorare costantemente sulla qualità di tutta la nostra offerta formativa

 

Clicca qui per consultare il Financial Times Executive MBA 2020 Ranking completo

«Data science e business analytics: oggi le aziende non possono farne a meno»

Il professor Carlo Vercellis, direttore del Percorso executive in data science e business analytics, racconta le ultime tendenze nel mercato dei big data e lancia un appello: «I consulenti esterni non bastano più. Ora le organizzazioni devono integrare queste figure al proprio interno»

 

Una crescita che da cinque anni si mantiene costantemente in doppia cifra, intorno al 20%, e investimenti che in Italia hanno raggiunto il valore di 1,7 miliardi di euro. È il mercato degli analytics, in parole semplici l’analisi dei dati, arrivato a un punto di svolta. «Ma ora è tempo di crescere», annuncia il professor Carlo Vercellis, Full Professor of Machine Learning al Politecnico di Milano, direttore del Percorso executive in data science e business analytics presso il MIP Politecnico di Milano e responsabile scientifico dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics. «Le grandi aziende hanno preso confidenza con questi strumenti, anche se finora si sono appoggiate soprattutto a consulenti esterni. È il momento di integrare queste figure all’interno delle organizzazioni, anche per le Pmi. Tante le sfide da affrontare, altrettante le figure professionali richieste e quindi gli sbocchi lavorativi per chi vuole operare in questo ambito».

 

Organizzazione, gestione, automazione dei processi: le ultime tendenze

Sono due, in particolare, le tendenze identificate da Vercellis. «La prima sfida è di ordine organizzativo e gestionale, e riguarda il governo della filiera dei progetti data driven, quelli basati cioè sui dati: passare dalle sperimentazioni, ormai sempre più numerose e complesse, al progetto pilota, e poi alla messa in produzione fino ad arrivare al deployment. La seconda sfida riguarda i processi di business, che devono essere cambiati in una prospettiva data driven. Pensiamo alla process automation, ossia un’automazione dei processi che sostituisca le attività umane a scarso valore aggiunto attraverso algoritmi che consentono ai software e ai robot di svolgere una serie di mansioni ripetitive. Questo consente di liberare numerose risorse, umane e materiali».

 

Tanti dati, tanti algoritmi: la necessità di una consapevolezza funzionale

I dati, però, da soli non bastano. Bisogna saperli interrogare, leggere, interpretare, e per questo c’è bisogno di professionalità specifiche: «Siamo sommersi dai dati. Le due fonti principali sono le attività social, che forniscono dati non strutturati, non riducibili a tabelle di numeri; e l’Internet of Things, ossia quella rete di oggetti, elettrodomestici inclusi, con caratteristiche smart, che raccolgono moli di dati più strutturati», spiega Vercellis. «Per leggerli bisogna sapere quali strumenti di analisi impiegare: parliamo degli algoritmi, ovviamente, che pur condividendo delle impostazioni di base non sono tutti uguali. A seconda del compito che gli si chiede di svolgere, uno può rivelarsi più adatto di un altro. Per questo c’è bisogno di figure dotate di “consapevolezza funzionale”: esperti capaci di adoperare gli strumenti di data e business analytics, senza dover essere dei tecnici. Sono queste le professionalità che oggi le aziende cominciano a cercare, perché pian piano ci si sta rendendo conto che i consulenti esterni non bastano».

 

Gli sbocchi professionali nel mondo degli analytics

I profili di questo tipo sono diversi. «Si va dal business user, capace di comprendere logiche e limiti di questi strumenti, al translator, una figura ponte che conosce i linguaggi del data science e del business, ed è in grado di far comunicare tra loro questi due mondi. Le figure oggi sono sempre più tecniche: ci sono il data scientist, il data engineer, il business analytics data scientist solution architect».

Il Percorso executive in data science e business analytics del MIP Politecnico di Milano si propone esattamente di formare professionalità variegati delle diverse tipologie indicate: «È un corso che inizia a ottobre, richiede un impegno di due giorni al mese e tocca tutti i temi legati a quest’ambito», illustra Vercellis. «Prevede delle sessioni di hands-on e, infine, un project work conclusivo grazie al quale gli studenti dovranno applicare le nozioni apprese a un problema, proposto da loro stessi o dai docenti della faculty del MIP. Il corso è rivolto ai singoli, che magari cercano un reskill, ma mi aspetto che siano soprattutto le aziende a sfruttare quest’occasione: è una grande opportunità per formare una risorsa interna in grado di gestire le esigenze dell’organizzazione, un compito che un consulente esterno non sarebbe mai in grado di svolgere».

 

MIP Politecnico di Milano ottiene la Certificazione B Corp, unica Business School in Europa

La Business School entra nella community internazionale di società che si distinguono per l’impegno a coniugare profitto, ricerca di benessere per la società e attenzione all’ambiente.

 

MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business è lieta di annunciare il conseguimento della certificazione B Corp. Si tratta di un prestigioso riconoscimento assegnato alle imprese che si caratterizzano per il proprio impegno per uno sviluppo sostenibile e per la costruzione di una società più inclusiva. MIP Politecnico di Milano è la prima business school italiana, l’unica europea e tra le poche al mondo a ottenere questa certificazione.

 

MIP è stata accompagnata nel processo di accreditamento per ottenere il riconoscimento da Nativa, evolution designer di modelli sostenibili e rigenerativi, prima B Corp in Europa e partner italiano di B Lab.

 

Le B Corp rappresentano una community internazionale di aziende accomunate dall’obiettivo di coniugare il profitto con la ricerca di benessere per la collettività e l’attenzione all’ambiente e alla società nel suo insieme. Le imprese che possono vantare questo riconoscimento sono circa 3.400 in tutto il mondo, tra cui un centinaio in Italia. L’iter necessario al conseguimento della certificazione prevede un rigoroso assessment che valuta il modello di governance, l’attenzione al capitale umano, il rapporto con i partner e con il contesto sociale e il rispetto dell’ambiente. In questo modo, vengono analizzati e misurati i risultati raggiunti nell’attività di un’impresa.

 

Questo riconoscimento certifica l’impegno ormai consolidato di MIP e più in generale della School of Management del Politecnico di Milano di cui MIP fa parte, attiva da anni nella ricerca, formazione e nei progetti con le imprese sui temi della responsabilità sociale. La certificazione B Corp indirizzerà le attività in ambito di sostenibilità del MIP nei prossimi anni, con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente le proprie iniziative di impatto sui temi dell’accessibilità, dell’inclusività, del benessere delle risorse umane e della sostenibilità ambientale.

 

Uno degli elementi essenziali che ha portato il MIP a sottoporsi a questa certificazione risiede nella consapevolezza del ruolo che ogni impresa giocherà nel costruire un futuro migliore per tutti. Il purpose e la ragion d’essere di ogni business saranno sempre più ripensati per mettere al centro il ruolo che esso potrà rivestire nella società. Oltre alla crescente attenzione nei suoi programmi di formazione ai temi del purpose, della sostenibilità e dell’inclusività, tramite la certificazione B Corp il MIP intende accelerare quel processo virtuoso tramite cui si propone di diventare essa stessa un’organizzazione sostenibile.

 

Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean di MIP Politecnico di Milano: Ottenere questa importante certificazione è motivo di orgoglio per tutti noi del MIP. In primis, siamo felici di poter dire di essere l’unica business school europea a ricevere questo riconoscimento. Inoltre, in un momento di emergenza sanitaria senza precedenti in cui ci si interroga sui modelli di sviluppo che l’hanno resa possibile, vedere riconosciuto il proprio contributo per un futuro più sostenibile assume un significato ancora più profondo. Le Business School stanno confermando con sempre maggiore forza il loro ruolo di agenti di cambiamento impegnati nella costruzione di una società migliore e più inclusiva”.

 

Raffaella Cagliano, vice Direttore della School of Management del Politecnico di Milano: “Questo riconoscimento rappresenta un importante traguardo e premia il lavoro svolto con impegno e passione negli ultimi anni. Questa certificazione si inserisce all’interno di una strategia di crescita sostenibile che la School of Management porta avanti da molto tempo, nella convinzione che sia questa la responsabilità principale di un’istituzione attiva nella ricerca e nella formazione di giovani professionisti e di manager come la nostra”.

 

Eric Ezechieli, co-founder di Nativa: “La collaborazione con il MIP Politecnico di Milano è stata molto proficua e siamo felici di aver accelerato il percorso di un’eccellenza italiana verso il raggiungimento della certificazione B Corp. L’impegno del MIP a favore delle persone, della società e dell’ambiente è un segnale molto forte per tutte le business school: l’inclusione dei paradigmi legati alla sostenibilità all’interno della visione aziendale rappresenta infatti una competenza fondamentale per i decision maker di domani”.

 

QS 2021 Business Masters Rankings: la School of Management del Politecnico di Milano è una delle migliori Business School al mondo

I corsi del MIP, la Graduate School of Business parte della School of Management, premiati nella classifica internazionale dedicata alla qualità di MBA e master specialistici, con il settimo posto del Master in Supply Chain Management. Ulteriore riconoscimento per la School of Management nei Financial Times Masters in Management 2020 Ranking, in cui si presenta come la terza Business School in Europa tra le Università Tecniche.

 

MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business è una delle migliori Business School al mondo secondo il QS 2021 Business Masters Rankings, la classifica riservata ai migliori MBA e master specialistici internazionali. In particolare, spicca il settimo posto del master in Supply Chain Management. Tra gli elementi che hanno contribuito al posizionamento nella parte alta della classifica, l’attenzione alle diversità, le probabilità di trovare un lavoro da parte degli studenti che hanno frequentato i propri corsi e il ritorno sugli investimenti.

 

L’edizione 2021 del QS Business Masters Rankings ha valutato la qualità dell’offerta didattica di 258 corsi in 158 istituti accademici di quaranta paesi in tutto il mondo. Oltre a employability, class and faculty diversity e return on investment, gli altri indicatori di riferimento sono rappresentati da thought leadership ed entrepreneurship and alumni outcomes. MIP Politecnico di Milano conferma il proprio posizionamento nella parte alta della classifica anche rispetto all’edizione 2020.

 

Per quanto riguarda la graduatoria internazionale dei singoli corsi proposti dalle Business School, si evidenziano anche le performance del master in Management (trentaseiesimo posto) e Finance (sessantottesimo posto).

 

Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean del MIP Politecnico di Milano: “Siamo orgogliosi di ricevere questi importanti riconoscimenti a pochi giorni dalla riapertura del nostro campus. Proseguiremo il nostro impegno per migliorare ulteriormente la qualità didattica della nostra offerta che non potrà prescindere da elementi caratterizzanti come l’attenzione alle diversità”.

 

La School of Management ottiene inoltre un altro prestigioso riconoscimento dal Financial Times, confermando la propria presenza nel Masters in Management 2020 Ranking. In particolare, la scuola si piazza al terzo posto in Europa tra le Università Tecniche che hanno una Business School o un Dipartimento di Management. La sua presenza in classifica si riafferma anche quest’anno, nonostante il ranking abbia subito una riduzione di 10 posizioni, selezionando quindi non più 100 ma 90 scuole di rilievo in questo ambito.

 

Alessandro Perego e Stefano Ronchi, rispettivamente Direttore della School of Management e Presidente del corso di laurea in Ingegneria Gestionale al Politecnico di Milano: “Con questo riconoscimento ci confermiamo tra i pochi Master in Management al mondo in grado di conciliare management, economia e  competenze tecnico-ingegneristiche in un unico percorso formativo. Questo ci permette di preparare figure manageriali capaci di guidare l’innovazione, sempre più a trazione tecnologica, con una forte attitudine al problem solving”.

 

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Clicca qui per consultare il FT Masters in Management 2020 Ranking completo

MIP, EY, Sace: il tridente per affrontare le sfide dell’internazionalizzazione

Dalla Brexit alla pandemia, passando per le guerre commerciali e l’emergenza climatica: sono tanti gli elementi che hanno rivoluzionato le catene del valore globali su cui molte aziende basavano la propria organizzazione. Il cambiamento, però, apre nuovi spazi per le imprese italiane. Che, con le giuste strategie, possono cogliere nuove e importanti possibilità di crescita

 

Fino a pochi mesi fa, il modello economico di molte aziende si basava su catene del valore di scala globale. Le attività produttive erano dislocate in diversi continenti, secondo un principio di convenienza. La Brexit, le guerre commerciali, l’emergenza climatica e, dal 2020, la pandemia, potrebbero cambiare questo paradigma. «Il meccanismo è entrato in crisi», ci spiega il professor Stefano Elia, professore associato di International Business e direttore del programma di corsi brevi in Gestione dell’internazionalizzazione delle imprese presso il MIP Politecnico di Milano. «La risposta a questa battuta d’arresto può essere di due tipi: da una parte potremo assistere alla resilienza del modello attuale, dall’altra a una sua riconfigurazione». Questi sono i due scenari possibili.

 

Tra resilienza e cambiamento: un’opportunità per le imprese italiane

«Nel primo caso», spiega Elia, «assisteremmo a una crescente flessibilità del modello produttivo, accompagnata da una maggiore digitalizzazione. Inoltre, le aziende da una parte potrebbero concentrarsi su ambiti diventati improvvisamente strategici, come il chimico e il medicale; dall’altra, potrebbero puntare sui settori trainati dagli incentivi. Il secondo scenario presenta delle catene di produzione più corte. Si abbandona la scala globale, per riadattarsi a un orizzonte macroregionale. La stessa Unione Europea ha al suo interno una eterogeneità che permette di ridistribuire alcune attività, senza spostarle al di fuori del continente e, anche in questo caso, la digitalizzazione potrebbe giocare un ruolo importante nel favorire l’incremento della qualità sia dei prodotti che dei processi produttivi. Questo scenario presenta almeno tre vantaggi: si evitano guerre commerciali, si tengono a bada i venti nazional-sovranisti e si fa fronte all’emergenza climatica, visto che la catena produttiva diventa più circoscritta».

Ed è qui che potrebbero entrare in gioco le imprese italiane: «Ci sono gli spazi perché possano farsi valere in una competizione in cui diventa fondamentale la qualità, non solo nel b2b ma anche nel b2c. Si ritiene che gli Stati Uniti si riprenderanno in fretta, così come la Germania, la Cina, la Corea del Sud e il Vietnam. Sono quelli alcuni dei paesi a cui guardare, perché tra il 2021 e il 2022 il rimbalzo dei mercati è stimato tra il 5 e l’11%».

 

Verso l’internazionalizzazione: la necessità di una buona strategia

Un’occasione per cui bisogna farsi trovare pronti. «Le imprese hanno due alternative: o diversificano, o escono dai propri confini, andando incontro a una maggiore competizione, ma anche a maggiori opportunità di crescita. L’importante è che questo passaggio sia orientato da criteri di qualità». E con una buona strategia: «Prima di tutto bisogna comprendere l’attrattività del proprio prodotto e sulla base di questo capire quali sono i Paesi che potrebbero essere più interessati. Poi bisogna capire come presentarsi in questi Paesi, adattando la propria offerta alle specificità culturali e istituzionali, ma anche stabilendo se è il caso di entrare da soli o con dei partner. Infine, comprendere quali siano le modalità di finanziamento più adatte. Prestiti a fondo perduto, garanzie e assicurazione dei crediti, aspetti legali e fiscali: nulla va lasciato al caso».

 

MIP, EY e Sace: insieme per le competenze

I corsi brevi in Gestione dell’internazionalizzazione delle imprese del MIP si propongono di fornire gli strumenti per affrontare tutti questi ambiti. «I team che si occupano di internazionalizzazione devono avere una forte capacità di pianificazione strategica, di analisi, di gestione dei processi, ma anche capacità di adattamento e flessibilità, per correggere errori di valutazione o cogliere opportunità non previste. Da questo punto di vista», spiega Elia, «i corsi del MIP garantiscono una formazione che copre gli ambiti del business planning, del management e delle tecnologie digitali funzionali all’internazionalizzazione. La formula vincente sta però nel tridente MIP, EY, Sace: EY, nostro partner e tra le quattro più importanti imprese di advisory e revisione, completa le competenze manageriali offerte dal MIP con competenze di carattere tecnico e professionale, mettendo a disposizione tutto il suo know-how legale, fiscale, di risk management, oltre che dare accesso al suo network di consulenti e di imprese. Sace, l’Agenzia italiana per la promozione degli investimenti internazionali, fornisce una prospettiva di carattere istituzionale, mettendo a disposizione una serie di strumenti molto potenti per il supporto alle aziende in fase di internazionalizzazione ed è intenzionata a farli conoscere il più possibile alle imprese, affinché li utilizzino per cogliere le opportunità insite nello scenario attuale».