SACE partner della School of Management per rafforzare l’offerta formativa rivolta a imprese e giovani talenti

Firmato l’accordo tra SACE e la School of Management del Politecnico di Milano per sviluppare un percorso di formazione specialistica e certificata in tema di export, digitalizzazione e transizione green.
 

Milano, 28 novembre 2022Nuove opportunità di formazione per imprese e giovani in tema di export, digitalizzazione e transizione green grazie alla collaborazione tra SACE e la School of Management del Politecnico di Milano

SACE ha firmato un protocollo di intesa con la School of Management del Politecnico di Milano, ampliando e rafforzando le attività della propria SACE Academy, il ramo di SACE Education dedicato alla formazione accademica manageriale, specialistica e certificata, che unisce il know-how dell’Export Credit Agency Italiana e l’expertise dei più importanti atenei e Business School del Paese.

L’obiettivo di questa collaborazione è creare un’offerta formativa indirizzata a giovani talenti e imprese, in particolare PMI, che vogliono acquisire competenze tecnico-specialistiche adeguate ad affrontare le complessità e le sfide dell’attuale contesto economico, nazionale e internazionale.

Corsi Executive, borse di studio, progetti di ricerca ed eventi congiunti di stampo in-formativo: queste alcune delle attività che SACE Education e SoM porteranno avanti nei prossimi mesi, a partire dalla prima edizione del Corso Executive in Digital Transformation che partirà a novembre con l’obiettivo di approfondire tutte le tematiche legate alla digital innovation e alle sue ricadute sul business e la supply chain.

Questo accordo con il Politecnico di Milano rafforza l’offerta formativa lanciata da SACE Education nell’ambito della nostra Academy” – ha dichiarato Antonio Frezza, Chief Marketing & Innovation Officer di SACE. La collaborazione con il mondo accademico è di fondamentale importanza per noi di SACE, per attrarre nuovi talenti, contribuire a formare le nostre imprese all’export, alla digitalizzazione e alla transizione green e accompagnare le nuove generazioni nel mondo del lavoro nel quadro del nostro impegno a supporto della transizione del nostro Paese in chiave digitale, green e sostenibile’’.

“Siamo molto lieti di avere stretto questa partnership – commenta Alessandro Perego, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano – che ha tra i suoi principali obiettivi quello di promuovere l’internazionalizzazione e la trasformazione digitale e sostenibile delle nostre imprese, del nostro sistema economico e del Made in Italy, facendo leva sulla formazione di manager capaci di innescare e gestire la crescita all’estero e la transizione green-tech, ma anche favorendo il ricorso a Industria 4.0 e a nuovi modelli di business e sollecitando le Istituzioni affinché sviluppino politiche volte ad accelerare questi processi, in linea con gli obiettivi strategici del Paese e del PNRR”.

“La firma di questo protocollo d’intesa ha per la nostra Scuola una valenza duplice – aggiunge Federico Frattini, Dean di POLIMI Graduate School of Management. Da un lato conferma gli stretti contatti che abbiamo con il mondo delle imprese, per il quale e con il quale creiamo i nostri percorsi formativi. Dall’altro, siamo felici di mettere il nostro know a disposizione di SACE Academy per creare un percorso dedicato a quelle PMI e a quei giovani che vogliono acquisire le competenze manageriali e tecnico-specialistiche necessarie ad affrontare le sfide che l’attuale contesto economico – sia a livello nazionale che internazionale – ci mette davanti, come la digitalizzazione e la transizione green e sostenibile”.

Sace Education è l’hub formativo che si è recentemente rafforzato anche in risposta alle esigenze legate alla nuova operatività di SACE – oltre alla tradizionale attività di Export Credit Agency (ECA) nazionale – in virtù del mandato conferitole dal Governo con il Decreto Semplificazioni per la gestione delle Garanzie a supporto del Green New Deal e con il Decreto Liquidità per le misure anti-crisi come Garanzia Italia. Con il rafforzamento della sua offerta formativa SACE conferma la sua mission a supporto della crescita del Sistema Paese, offrendo un accompagnamento a 360° rivolto non solo al mondo delle imprese e dei professionisti, ma anche alle future generazioni che sono chiamate a raccogliere le sfide attuali e disegnare un nuovo modo di fare impresa potendo contare su strumenti e soluzioni di carattere finanziario e assicurativo.

A world of futures: pubblicato il nuovo numero di SOMe Magazine

 

In un mondo che cambia rapidamente, è importante saper analizzare i fenomeni per visualizzare possibili scenari futuri e anticipare le sfide che la società dovrà affrontare, non solo per essere consapevoli e preparati ad affrontarle, ma possibilmente per essere in grado di muoversi da subito verso scenari più desiderabili.

Di questo parla la cover story del nuovo numero 10 di SOMe, con un approfondimento di Cristiana Bolchini e Silvia Gadola sulle attività del Center for Technology Foresight del Politecnico di Milano.

A seguire Sergio Terzi, Arianna Seghezzi e Lucio Lamberti presentano poi possibili scenari futuri nel manifatturiero, nella logistica e nel metaverso.

Nelle “Stories” presentiamo progetti di ricerca in ambito giuridico, energetico e sociale con un nuovo finanziamento da parte di EURATOM per un progetto che analizza le opinioni e le percezioni di rischio dei cittadini relativi all’uso di tecnologie nucleari (attuali e future).

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I numeri precedenti:

  • #9 “Talents and the challenges for education”
  • #8 “The challenge of pursuing impact in research”
  • #7 “From data science to data culture: the emergence of analytics-powered managers”
  • #6 “Innovation with a human touch”
  • #5 “Inclusion: shaping a better society for all”
  • #4 “Multidisciplinarity: a new discipline”
  • #3 “New connections in the post-covid era”
  • #2 “Being entrepreneurial in a high-tech world”
  • Special Issue Covid-19 – “Global transformation, ubiquitous responses”
  • # 1 “Sustainability – Beyond good deeds, a good deal?”

 

 

ECOSENS: quale ruolo per il nucleare nel processo di decarbonizzazione?

Il Politecnico di Milano, con il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, è partner nel progetto finanziato da HORIZON-EURATOM

 

Il Politecnico di Milano è partner nel progetto ECOSENS (Economic and Social Considerations for the Future of Nuclear Energy in Society) finanziato dalla Comunità europea nell’ambito del programma di ricerca e formazione HORIZON-EURATOM.

Il progetto ha l’obiettivo di analizzare le opinioni e le percezioni di rischio dei cittadini, i benefici e le potenzialità relative all’uso di tecnologie nucleari (attuali e future) in relazione alle principali sfide sociali: crisi climatica, politiche energetiche sostenibili, sicurezza energetica.

Al fine di identificare il possibile ruolo dell’energia nucleare all’interno degli obiettivi di decarbonizzazione previsti per il 2050, verrà valutata la sostenibilità delle attuali tecnologie e l’integrazione dei reattori di nuova generazione (III+ e IV) con riferimento al futuro mercato dell’energia e agli sviluppi sociali in atto.

Il Dipartimento di Ingegneria Gestionale sarà supportato da quello di Energia nello sviluppo di un modello economico basato sul “system of provision approach” per creare e calcolare indicatori rilevanti alla valutazione dei sistemi nucleari, tra cui il “social discount rate” (che riflette incertezze su costi e benefici socio-ambientali che il progetto comporta) e l’impatto sulla sostenibilità.

Il lavoro di ricerca porterà alla redazione di linee guida per la valutazione delle nuove infrastrutture nucleari nell’ottica di migliorarne la sostenibilità.

Il gruppo di ricerca del Politecnico è coordinato dal professor Giorgio Locatelli del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e coinvolge il prof. Paolo Trucco (Dipartimento di Ingegneria Gestionale) e il prof. Marco Ricotti (Dipartimento di Energia).

Green Deal @polimi

Metaverso: punto interrogativo o punto esclamativo?

Un tema sulla bocca di tutti, che divide il mondo in meta-ottimisti e meta-critici. Qualunque sia la risposta che il metaverso vuole fornire all’umanità, la discriminante per il suo successo sarà la domanda a cui risponde. E la sfida manageriale è epocale.

 

Lucio Lamberti, Professore di Marketing e Direttore Scientifico del Metaverse Marketing Lab, School of Management Politecnico di Milano

 

Il dibattito sul metaverso come fenomeno tecnologico, economico e sociale sta vivendo negli ultimi mesi un momento di fermento e dibattito. Da un lato, i fautori di una visione metaverso-centrica preconizzano un futuro in cui indosseremo per diverse ore al giorno visori per la realtà virtuale vivendo una sorta di esperienza parallela in uno più universi virtuali. Dall’altra, chi osserva i numeri che le piattaforme di metaverso come The Sandbox e Decentraland stanno muovendo (poche centinaia o migliaia di utenti unici ogni mese, dopo un periodo di enorme crescita anche dei costi per le land nei due anni precedenti) già prevede la terza bolla della realtà estesa dopo quella di Second Life e quella successiva all’annuncio del lancio dei Google Glass.

Probabilmente, come spesso capita in questo genere di dibattiti, entrambe le posizioni hanno elementi di verità ed elementi meno inattaccabili. E’ infatti vero che un’economia del metaverso (e una sua finanza) esiste, eccome: nel 2021 JPMorgan ha stimato un controvalore di 54 miliardi di dollari spesi in acquisti direct-to-avatar (skin, esperienze e simili) acquistate nelle piattaforme di gaming come Roblox o Fortnite da una popolazione di quasi mezzo miliardo di utenti regolari. Lo scorso anno non solo Facebook ha cambiato nome in Meta andando “all-in” rispetto al futuro del Metaverso, ma Microsoft ha avanzato una proposta di acquisto per Activision Blizzard pari a circa 69 miliardi di dollari, con l’intento dichiarato di rafforzare le skill di progettazione di esperienze digitali 3D in vista dello sviluppo di questo mercato, e in totale 80 miliardi sono stati investiti in realtà che si occupano di Web 3.0 e di metaverso.

Numerose imprese e gruppi industriali stanno acquisendo società che progettano videogame e assumendo programmatori 3D per sviluppare la propria capacità di offrire esperienze immersive ai propri clienti, ma anche ai propri futuri talenti (è infatti il mondo del recruiting e delle job interview uno di quelli che ha trovato nel web 3D un ambito di applicazione di maggior successo). D’altro canto, oltre ai già citati problemi di penetrazione delle piattaforme di seconda vita virtuale, si osserva una turbolenza tipica della speculazione finanziaria pura nel mondo degli NFT, del virtual real estate e delle criptovalute, e probabilmente si inizia a constatare che la produzione di contenuti per il web immersivo è attualmente molto impegnativa.   I parallelismi che qualcuno paventava tra lo sviluppo dei social network e quello del metaverso sono meno evidenti di quanto potesse sembrare: le piattaforme social hanno conosciuto lo sviluppo esponenziale e rapidissimo che abbiamo osservato grazie a un costo molto limitato di creazione del contenuto, che ha innestato un circolo virtuoso di produzione e presenza da parte degli utenti. Nel caso del metaverso, il costo di produzione di contenuto è (perlomeno al momento) molto più alto. I detrattori del metaverso, poi, tendono a sottolineare quanto gli abilitatori tecnologici alla base del presunto cambio di paradigma non siano di per sé nuovi (la realtà virtuale è un ambito consolidato da almeno 30 anni) e i precedenti tentativi di diffusione massiva di tecnologie 3D siano falliti (cinema e TV, in primis).

Insomma, le posizioni sono divergenti, l’hype è elevatissimo, e la confusione non è da meno, visto che la definizione stessa di metaverso, la sua differenza dal web 3.0, dalla realtà aumentata o dalla realtà mista (reale-virtuale) sono piuttosto fluide. Allora, per analizzare cosa potrà essere di questo interesse globale, vale la pena fare un passo indietro e condividere alcune riflessioni in merito al web 3D e alle esperienze digitali immersive applicate alla nostra vita.

Una visione sociologica della questione suggerirebbe di valutare se e in che misura esista un bisogno di queste applicazioni. E la risposta è che esistono degli ambiti che potrebbero ampiamente beneficiarne, come ad esempio il mondo dell’education, che negli anni pandemici ha visto una crescita esponenziale dell’online learning scoprendone il potenziale dirompente di abbattimento delle barriere di accesso, ma anche i limiti in termini esperienziali se limitato alla bidimensionalità dei sistemi di videoconference.  Oppure il mondo del turismo, che potrebbe far leva sull’immersività e i gemelli digitali delle città per favorire esperienze di anticipazione e di follow-up dell’esperienza di visita, estendendo il contatto con il visitatore. Oppure, in ambito B2B, la possibilità di sviluppare mondi virtuali che replichino fedelmente, anche grazie all’intelligenza artificiale, situazioni reali per simulare azioni (come ad esempio un’operazione chirurgica o un intervento di manutenzione particolarmente delicato) e valutarne gli effetti, o addirittura vederle replicate nella realtà da parte di robot o dispositivi connessi. O ancora, in ambito organizzativo o di R&D, la creazione di spazi di condivisione della conoscenza più user-friendly e “avvolgenti” in grado di massimizzare la creatività, la produttività o l’interattività tra i partecipanti.

Ma il fatto che questi bisogni esistano non è una condizione sufficiente, per quanto sia necessaria, perché effettivamente le soluzioni sviluppate possano avere reale applicazione. Affinché ciò accada è necessario che le esperienze vissute dagli individui in questi contesti siano in grado di portare a risultati migliori delle alternative fisiche o digitali bidimensionali, in termini di efficienza, efficacia, piacevolezza, sicurezza, ecc. Anche su questo fronte, le risposte sono in fieri, e se è vero che un’ampia letteratura evidenzia che l’immersività potrebbe favorire lo sviluppo di esperienze di flusso, ovvero esperienze in grado di massimizzare l’apprendimento a fronte di una percezione di assenza di sforzo, è altrettanto vero che tale potenziale effetto dipende fortemente dalle modalità di realizzazione e di proposizione delle esperienze stesse.

Per questo motivo, con riferimento alle applicazioni di marketing, la School of Management del Politecnico di Milano ha lanciato un’iniziativa chiamata Metaverse Marketing Lab che mira a studiare due elementi: da un lato, lo stato dell’arte dell’offerta di questo tipo di esperienze nelle attività di marketing a livello nazionale e internazionale, al fine di comprendere cosa effettivamente è proposto e che risultati sta ottenendo. Dall’altro, lo studio delle reazioni degli utenti a queste esperienze anche attraverso le competenze di applied neuroscience del Physiology, Emotion and Experience Lab (PhEEL), che analizza attraverso la misurazione oggettiva dei segnali biologici l’esperienza di fruizione degli individui.

In conclusione, pur nello sviluppo ancora embrionale del tema, è possibile mettere sul tavolo alcune considerazioni.

In primo luogo, vi è un ampio dibattito in merito al tema delle piattaforme e dei possibili metaversi, e mentre molte realtà si rifanno alle piattaforme centralizzate e decentralizzate per intercettare i pubblici che già le frequentano, molte altre sviluppano un proprio metaverso.

E’ perlomeno auspicabile che, a tendere, il tema dell’interoperabilità tra questi mondi – perlomeno a livello di abilitatori tecnologici e protocolli di comunicazione –assuma un ruolo centrale.

In secondo luogo, pur avendo affermato che esistono vari casi in cui esiste un potenziale bisogno, ciò non è sufficiente a identificare un profilo di utilità delle soluzioni già sviluppate; ciò significa che il successo e, ancor prima, la ragion stessa dell’esistenza di una soluzione sviluppata da un’organizzazione sul metaverso dipenda dal tipo e dalla rilevanza di problema che essa miri a risolvere. Molto spesso gli abilitatori tecnologici portano gli agenti economici a sviluppare soluzioni senza specificare il problema che risolvono, e questa rappresenta da sempre la principale causa di fallimento delle iniziative di innovazione.

Infine, focalizzandosi sulle applicazioni di marketing, si evidenzia come la persistenza della presenza di un brand su un metaverso, quale che esso sia, richiede una capacità ancora maggiore di quanto non avvenuto con il web 1.0 e il web 2.0 di creazione continua di contenuti. Non a caso, le realtà che stanno cavalcando l’onda del metaverso con consistenza e continuità, sono spesso società di creazione di contenuti ed entertainment con iniziative legate al lancio di nuovi film o serie. Le imprese sono strutturalmente preposte alla creazione di prodotti e servizi, e non alla creazione di contenuti e per questo motivo hanno demandato nel tempo questa attività a un sistema sempre più ampio di agenzie e terze parti.

Molto probabilmente, una delle grandi sfide del metaverso per le imprese riguarderà la capacità di sviluppo di processi di creazione di contenuti in house, e questa sarebbe a tutti gli effetti una rivoluzione nei modelli di business, modificando il sistema di relazione con il mercato, gli asset e le risorse chiave in house e il sistema dei partner-chiave per lo sviluppo della value proposition.

Come educare alle competenze future per un manifatturiero avanzato e sostenibile?

 

IoT, stampa 3D, Realtà Virtuale, Realtà Aumentata e robot collaborativi sono oggi presenti in molte realtà produttive e stanno trasformando rapidamente l’industria manifatturiera. Nonostante questo,  lavorare in fabbrica rimane intrinsecamente una questione di persone, le cui competenze devono evolvere di pari passo con le innovazioni tecnologiche introdotte.

 

Sergio Terzi, Professore di Industrial Technologies, School of Management Politecnico di Milano

 

Il comparto manifatturiero – la classica fabbrica – è un contesto in forte trasformazione. I mercati sono sempre più competitivi e complessi, chiedono tempi più stretti, più varietà, più innovazione. Molti consumatori sono diventati – finalmente – attenti anche a nuovi stili di consumo, più sostenibili e meno impattanti per l’ambiente e la società. E le fabbriche devono trovare il modo di soddisfare tali richieste. O meglio, i responsabili di fabbrica (le macchine da sole non fanno ancora nulla, per fortuna) devono trasformarle, creando ambienti e spazi di lavoro agili, efficienti, moderni, puliti, sostenibili, sicuri.

Inoltre, alle porte delle fabbriche preme – come dappertutto – la continua spinta dell’innovazione tecnologica, soprattutto quella digitale. Computer, tablet, smartphone sono oggi oggetti di uso comune, anche nei reparti di produzione, che devono trovare il modo di usarli in modi intelligenti ed efficaci, oltre che sicuri ed affidabili.

Insomma, le fabbriche devono cambiare. O meglio, le fabbriche stanno già cambiando. Non a caso da oltre una decina d’anni si parla – non solo tra addetti ai lavori, ma anche nei media e nella politica – ampiamente di nuova rivoluzione industriale (3,4 5…), di rinascita manifatturiera, di potenziamento degli investimenti industriali, ecc. E la rivoluzione, un passo alla volta, un progetto alla volta, un’azienda alla volta, sta effettivamente accadendo.

Anche vicino a noi, nella produttiva Lombardia, le fabbriche in fase di trasformazione sono molte. Una grande spinta all’ammodernamento è certamente stata data da una serie di incentivi pubblici (Piano Nazionale Industria 4.0, Impresa 4.0, Transizione 4.0 e il più recente PNRR), oltre che da una grande disponibilità di soluzioni tecnologiche. IoT, stampa 3D, Realtà Virtuale, Realtà Aumentata, robot collaborativi (che lavorano fianco a fianco con gli uomini, non al posto di) sono oggi presenti in molte realtà produttive a noi prossime, in cui i nostri laureati si inseriscono proficuamente. E parimenti sta accadendo anche più lontano, in tutti quei territori a vocazione industriale, nazionali ed internazionali. La fabbrica sta davvero cambiando, e pure in fretta!

La fabbrica però prima di essere fatta di macchine, robot e pezzi da produrre, è fatta da persone. Operatori, tecnici, ingegneri, responsabili di reparto, di linea, di impianto, ecc. Una fabbrica è tale proprio per questa sua organizzazione “industriale”, in cui le diverse competenze si uniscono efficacemente per produrre beni e servizi da portare al mercato. L’industria manifatturiera – da “manu facere”, “fatto con le mani” – è intrinsecamente una questione di persone, delle lore abilità e delle loro intelligenze. Non tutti nasciamo con tutte le competenze necessarie a muoverci in ambienti complessi. Anzi, la maggior parte di noi ne deve acquisire di esperienza e conoscenza per essere in grado di relazionarsi con organizzazioni sofisticate. Anche i nativi “digitali” non nascono con i chip inclusi, ma apprendono le tecnologie digitali dalla loro esperienza quotidiana. Insomma, le competenze si acquisiscono. Il contesto della fabbrica moderna richiede competenze che tradizionalmente non erano considerate rilevanti nella formazione tradizionale del tecnico ed ingegnere industriale (dalla capacità negoziale, alle tecnologie informatiche). Occorre quindi fornire queste competenze, sia alle nuove che alla “vecchie” generazioni. La moderna università tecnica – quale siamo noi – non può esimersi da questa richiesta e deve giocoforza divenire un contesto molto più “multidisciplinare” di quanto siamo stati abituati in passato.

La situazione attuale chiede competenze tecniche “fresche”, da manutenere costantemente (l’informatica, ma non solo, evolve velocemente). Chiede inoltre di affrontare spesso contesti multivariati, nei quali è opportuno disporre di una buona capacità di vedere le connessioni tra aspetti diversi (es. tecnologia, processi, business, bisogni, ecc.) e anche una certa predisposizione all’adattamento continuo. Richiede poi una certa pragmaticità e anche una certa attitudine a “sporcarsi le mani” (sperimentare, modellizzare, simulare, prototipare, programmare, ecc.). Per fornire queste competenze, i metodi e i mezzi educativi devono essi stessi cambiare.

Nella nostra Scuola abbiamo raccolto la sfida di fornire competenze nuove per un mondo nuovo già da un po’. Sono tanti gli esempi nei nostri corsi e nei nostri programmi, ma qui pensiamo sia interessante riportare l’esperienza della nostra Teaching Factory Industry 4.0, che dal 2017 è presente nella nostra Scuola con uno spazio fisico, di fronte al nostro Dipartimento di Ingegneria Gestionale, in cui abbiamo installato una piccola fabbrica digitale e connessa. Vi è una linea semi-automatizzata di assemblaggio, due robot collaborativi, due postazioni di lavoro indipendenti, un AGV, diversi dispositivi per il monitoraggio della produzione, un simulatore 3D completo (digital twin).

La Teaching Factory è stata pensata per fare formazione ed applicazione nello stesso spazio, oltre che per essere utilizzata per sperimentare nuovi modelli operativi (simulazione di impianto). È un ambiente popolato da studenti e ricercatori ed è usato anche nei corsi fondamentali di impianti di produzione ai primi anni del corso di laurea. Nel 2018 abbiamo intitolato la Teaching Factory al nostro compianto mentore, prof. Marco Garetti, che fu tra i fondatori del gruppo di ingegneria industriale del nostro Dipartimento e appassionato educatore.

Grazie alla Teaching Factory Industry 4.0 siamo in grado di aiutare i nostri allievi nell’apprendimento pragmatico delle tecnologie, in un contesto che simula in modo molto spinto la realtà delle imprese industriali moderne. L’esperienza maturata con la Teaching Factory Industry 4.0 è stata inoltre molto utile nel momento in cui l’ateneo ha realizzato il più ampio progetto del Made – Competence Center Industria 4.0, che si trova presso il Campus di Bovisa di Milano, non lontano dalla nostra Scuola.

Come Dipartimento, abbiamo fortemente contribuito alla realizzazione di questo più ampio progetto, che si sta rilevando utile mezzo per la divulgazione delle competenze richieste dalla nuova evoluzione industriale anche presso le imprese e non solo i nostri studenti.

NEXT GENERATION UPP: un progetto per migliorare le prestazioni della giustizia nell’Italia del nord-ovest

NEXT GENERATION UPP mira a fornire un metodo più efficiente per gestire gli affari giudiziari e contribuire così ad abbattere l’arretrato e a ridurre la durata media dei procedimenti di giustizia.

 

Il progetto, coordinato dall’Università degli Studi di Torino in partenariato con undici atenei dell’Italia del nord-ovest a cui il Politecnico di Milano partecipa con il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria e il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, è promosso dal Ministero della Giustizia nell’ambito del PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020 e realizzato in sinergia con gli interventi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) a sostegno della riforma della giustizia.

Next Generation UPP si propone di migliorare le prestazioni della giustizia dell’Italia del nord-ovest attraverso il potenziamento degli Uffici per il processo (UPP), l’innovazione tecnologica e la sperimentazione di nuovi schemi collaborativi tra le università e gli uffici giudiziari ed è rivolto agli uffici giudiziari della Macro Area 01, che include le Corti di appello di Brescia, Genova, Milano e Torino, i Tribunali e i Tribunali per i minorenni dei relativi distretti.

In particolare il gruppo di lavoro del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, sotto la guida del Prof. Giancarlo Vecchi, sta realizzando una mappatura dell’organizzazione dell’Ufficio per il processo presso la Corte di Appello e il Tribunale di Milano.
L’analisi mira a rappresentare nel dettaglio le soluzioni organizzative messe in campo, i punti di forza e le criticità, l’impatto sulla riduzione dell’arretrato e sul disposition time, vale a dire il tempo di definizione dei procedimenti di giustizia. Si occuperà inoltre di progettare e sperimentare soluzioni organizzative innovative per consolidare, potenziare e trasferire i risultati ottenuti.

Il progetto, avviato il 1° aprile 2022, terminerà il 30 settembre 2023.


Per maggiori info:
Prof. Giancarlo Vecchi: giancarlo.vecchi@polimi.it

Food Policy. Apre il quinto HUB di quartiere contro lo spreco alimentare

Un nuovo centro di raccolta e stoccaggio delle eccedenze alimentari provenienti da diversi punti vendita della grande distribuzione per ampliare la rete degli hub di quartiere contro lo spreco di cibo realizzata dal Comune di Milano in collaborazione con partner e associazioni del territorio.

Il nuovo Hub del Centro, inaugurato oggi, trova posto negli spazi di Associazione IBVA, in via Santa Croce 15, a fianco di Solidando, social market da anni impegnato nella lotta alla povertà alimentare.

Dopo Gallaratese, Isola e Lambrate, insieme all’Hub di Foody all’interno del mercato agroalimentare di Milano, con l’apertura dell’Hub del Centro si è aggiunto così un altro importante nodo alla rete messa a punto dal Comune di Milano per il contrasto allo spreco alimentare e il supporto alle azioni di aiuto alimentare attive in città, rete già premiata con l’Eartshot Prize 2021 e che sta facendo scuola a livello internazionale.

L’apertura dell’Hub del Centro è stata possibile grazie a un modello già sperimentato di partnership pubblico-privato. Nello specifico l’iniziativa è stata promossa dall’area Food Policy del Comune di Milano, IBVA, Municipio 1, Fondazione Cariplo, Assolombarda e Politecnico di Milano con l’Osservatorio Food Sustainability. L’Hub è stato realizzato grazie al contributo di Banca di Credito Cooperativo di Milano. Un funzionamento equo e green della raccolta e della consegna dei prodotti, sarà poi assicurato dalla partnership con So.De, il delivery sociale, solidale e sostenibile.


I numeri degli Hub di quartiere contro lo spreco alimentare

Sono in tutto quattro gli hub già attivi su tutto il territorio di Milano: l’Hub nel Municipio 4 presso Foody-il mercato agroalimentare di Milano, che rappresenta l’evoluzione dell’Hub Ortofrutta, sviluppato durante il lockdown del 2020 e grazie al quale erano state distribuite 138 tonnellate di prodotti freschi in otto settimane di attività; l’Hub del quartiere Isola (Municipio 9); l’Hub di Lambrate (Municipio 3); l’Hub del Gallaratese (Municipio 8).

Il monitoraggio dei dati dell’iniziativa è realizzato grazie alla collaborazione con l’Osservatorio Food Sustainability del Politecnico di Milano e il supporto di Assolombarda sugli Hub di Isola, Lambrate e Gallaratese e con l’Università Statale di Milano per l’Hub Foody.

Nel 2021 i due hub già attivi di Isola e Lambrate hanno raccolto in tutto oltre 170 tonnellate di cibo per circa 340mila pasti equivalenti. Nel primo semestre del 2022 a questi due hub si sono aggiunti anche quelli del Gallaratese e di Foody, che hanno permesso di raggiungere nei soli primi sei mesi dell’anno quota 130 tonnellate per oltre 260mila pasti equivalenti.

In tutto sono oltre 3mila le famiglie raggiunte grazie all’attività degli hub di quartiere e alla collaborazione di una decina di insegne coinvolte per circa quasi una trentina di punti vendita.

Ranking Financial Times 2022 – Masters in Management

Il Master of Science in Management Engineering del Politecnico di Milano sale al 77esimo posto nel Ranking Masters in Management 2022 del Financial Times, migliorando di 8 posizioni rispetto al 2021.

 

Il Master of Science in Management Engineering, erogato dalla Scuola di Ingegneria Industriale e dell’informazione del Politecnico di Milano, ottiene un prestigioso riconoscimento dal Financial Times, confermando la propria presenza nel Ranking “Masters in Management 2022” dove migliora di 8 posizioni rispetto al 2021 e sale al 77esimo posto, nonostante il ranking abbia visto l’ingresso di 13 nuove Scuole che lo scorso anno non avevano partecipato.

A livello europeo, il programma si colloca tra i primi 15 tra quelli erogati da Università tecniche.
Tra i criteri che hanno consentito questo avanzamento ci sono il Salary increase, il Career progress – che considera le variazioni del livello di seniority e della dimensione dell’organizzazione in cui lavorano gli alumni – e la International course experience – che considera la partecipazione degli studenti a scambi e internships all’estero.

Questo risultato arriva a un anno dalla modifica della struttura del Master of Science, che oggi prevede un primo anno comune e un secondo anno articolato in quattordici diverse specializzazioni, denominate “Major”. Un’offerta didattica molto ricca che mira a fornire agli studenti e alle studentesse del Master of Science, competenze e strumenti per poter rivestire un ruolo di primo piano nella gestione di sfide economiche, industriali e sociali del Paese.

Il corso di laurea magistrale, erogato in lingua inglese, attualmente conta più di 2000 iscritti, di cui il 23% internazionali, e ogni anno vede circa 900 nuovi ingressi.
Il tasso di occupazione entro un anno dalla laurea è del 94% (fonte: indagine occupazionale Career Service Politecnico di Milano 2021) a testimonianza del grande apprezzamento da parte delle imprese per questa figura professionale con una trasversalità di competenze particolarmente ricercata.

 

Festival dell’Ingegneria – seconda edizione

La manifestazione del Politecnico di Milano torna per la seconda edizione dal 9 all’11 settembre 2022 al Campus Bovisa: tre giorni di incontri e spettacoli per mostrare tutte le attività che fervono nei laboratori, le ricerche in corso, la storia dei pionieri della scienza.

 

Dopo il successo dell’anno scorso, il Politecnico di Milano organizza la seconda edizione del Festival dedicato all’Ingegneria in cui docenti e ricercatori raccontano a grandi e piccoli la loro vita nei laboratori e i tanti traguardi raggiunti.

Tre giorni di eventi divulgativi, laboratori aperti, eventi per bambini, cineforum, spettacoli, performance serali e molto altro per offrire l’occasione di vivere un’esperienza che sia al tempo stesso divertente, formativa e soprattutto stimolante per tutti.

Il Festival si terrà presso il Campus Bovisa, l’ingresso è libero e gratuito; per alcune attività è necessaria la prenotazione.

Anche il Dipartimento di Ingegneria Gestionale della School of Management partecipa a “POLIMIopenLABS“ e apre i suoi laboratori: IoT Lab (Internet of Things) e PHEEL Physiology-Emotion-Experience Lab.

Nella categoria “VISIONI POLITECNICHE” sabato 10 settembre alle ore 15.40 il prof. Claudio Dell’Era terrà la lezione “Umanizzare le tecnologie digitali attraverso il design thinking“.
Per maggiori dettagli e iscrizione: https://www.festival-ingegneria.polimi.it/event/umanizzare-le-tecnologie-digitali-attraverso-il-design-thinking-2/

Per la rassegna “POLIMIforKIDS” sabato 10 settembre alle ore 11.30 è prevista l’attività “Diventa un campione nella lotta allo spreco alimentare” a cura di Federica Ciccullo.
Per maggiori dettagli e iscrizione: https://www.festival-ingegneria.polimi.it/event/diventa-un-campione-nella-lotta-allo-spreco-alimentare/

Per ulteriori informazioni sul Festival: https://www.festival-ingegneria.polimi.it/

 

Talents and the challenges for education: pubblicato il nuovo numero di SOMe Magazine

Il mondo della formazione sta evolvendo molto velocemente: cambiano le modalità di relazione tra docenti e studenti, le piattaforme per l’apprendimento, l’esperienza in aula e online, grazie anche alle innovazioni offerte dal digitale.

Di questo e di cosa possiamo aspettarci per il futuro parliamo nel nuovo numero di SOMe: dall’evoluzione della didattica nei corsi undergraduate e negli open programs, alla necessità di nuove competenze dei docenti, all’efficacia dell’insegnamento, le sfide del settore sono presentate da Marika Arena, Antonella Moretto, Tommaso Buganza, Mara Soncin e Tommaso Agasisti.

In “Stories” raccontiamo due progetti di ricerca volti rispettivamente al miglioramento delle condizioni di vita di soggetti non vedenti e al monitoraggio del benessere dei giovani durante lo sport, per terminare con una esperienza di networking internazionale tra giovani ricercatori europei.

Per leggere SOMe #9 clicca qui.

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I numeri precedenti:

  • #8 “The challenge of pursuing impact in research”
  • #7 “From data science to data culture: the emergence of analytics-powered managers”
  • #6 “Innovation with a human touch”
  • #5 “Inclusion: shaping a better society for all”
  • #4 “Multidisciplinarity: a new discipline”
  • #3 “New connections in the post-covid era”
  • #2 “Being entrepreneurial in a high-tech world”
  • Special Issue Covid-19 – “Global transformation, ubiquitous responses”
  • # 1 “Sustainability – Beyond good deeds, a good deal?”