Ricerca scientifica: il Covid-19 cambia attività e spazi

Si fa più ricerca da soli e le donne dell’accademia italiana sono tornate meno dei colleghi uomini a vivere gli spazi universitari

 

La pandemia ha un impatto anche sul modo di fare ricerca e di conseguenza sul modo di vivere gli spazi universitari. Un gruppo di ricerca interdisciplinare del Politecnico di Milano, composto da Gianandrea Ciaramella, Alessandra Migliore e Chiara Tagliaro del Dipartimento Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito (DABC) e da Massimo G. Colombo e Cristina Rossi-Lamastra del Dipartimento di Ingegneria Gestionale (DIG), ha raccolto le esperienze di 8.049 accademici universitari (49% donne, 51% uomini, età media 51 anni) in tutta Italia tra il 24 luglio e il 24 settembre 2020.

I ricercatori universitari, come altri lavoratori con alto capitale umano, hanno modificato i propri modi di lavorare a causa della pandemia Covid-19. Le implicazioni di questo fenomeno, che il gruppo di ricerca chiama Covid-working, sono molteplici in particolare in termini di organizzazione dello spazio per il loro lavoro. Le domande rivolte ai docenti riguardavano il modo di fare ricerca (individuale o collaborativo) e gli spazi utilizzati per svolgere le proprie attività di ricerca (in quanto fattori abilitanti alla ricerca stessa) nel periodo pre e durante Covid-19.

I risultati evidenziano tendenze molto chiare. In primo luogo, i dati mostrano un orientamento generale a impostare le attività di ricerca in modo più individuale rispetto al periodo pre-Covid. L’attività di ricerca, complice il distanziamento fisico, diviene un’attività più individuale che collaborativa. Soprattutto i ricercatori afferenti ai settori scientifici delle Life Sciences (LS) e Physical Sciences and Engineering (PE) passano da un lavoro prevalentemente bilanciato in termini di ricerca individuale e collaborativa a una ricerca drasticamente più individuale (da una media di quattro volte a settimana in università a poco più di una). I ricercatori afferenti invece al settore Social Sciences and Humanities (SH) subiscono una “individualizzazione” meno drastica, essendo già abituati ad una attività di questo tipo.

In secondo luogo, con l’allentarsi progressivo del lockdown, si delinea uno scenario diverso nel rientro negli spazi universitari: emergono differenze di genere in termini di organizzazione degli spazi di lavoro. Al termine della prima ondata pandemica, infatti, la maggioranza delle donne ha continuato a fare ricerca da casa mentre gli uomini hanno ripreso maggiormente a utilizzare anche altri luoghi di lavoro: non solo l’università, ma anche spazi terzi come laboratori e biblioteche pubbliche. Una tendenza che ha iniziato a delinearsi già durante la fase iniziale di restrizioni sociali molto severe.
Le donne sembrano essere penalizzate, in particolare, perché in era pre-Covid usavano spazi condivisi in numero maggiore rispetto agli uomini ed ora, a causa delle necessità di distanziamento fisico, si trovano in maggiore difficoltà a rientrare nel proprio luogo di lavoro abituale. I dati mostrano infatti come gli uomini, durante la progressiva riapertura dei campus universitari, siano tornati più di una volta a settimana nei loro uffici, prevalentemente singoli, mentre le donne, con uffici prevalentemente condivisi, lavorano da casa più dei colleghi maschi (4-5 volte a settimana).

I primi risultati dell’analisi mostrano dunque come la ricerca stia diventando in generale più individuale (la percentuale di attività di ricerca collaborativa passa dal 42% pre Covid-19 contro il 31% attuale, mentre l’attività individuale cresce di circa il 10%) e come gli uomini, sia prima che durante il Covid-working, abbiano maggiore accesso ad ambienti di lavoro diversificati. Gli effetti di questa nuova organizzazione del lavoro sono ancora da approfondire, soprattutto in riferimento alle categorie più penalizzate: non solo le donne ma anche i giovani ricercatori che, secondo i dati raccolti, hanno subito una diminuzione consistente della loro attività di ricerca collaborativa in una fase cruciale della loro carriera accademica.

I dati sui ricercatori italiani pongono quindi importanti interrogativi sull’impatto della pandemia COVID-19 sulle caratteristiche e la qualità della ricerca scientifica:

  • Esiste un nesso causale tra attività di ricerca individuali o collaborative e spazi a disposizione? Lo spazio per la ricerca scientifica manterrà la sua primaria funzione di incontro tra individuo e dimensione collettiva?
  • Qual è l’impatto delle nuove modalità di organizzazione spaziale delle attività di ricerca sulla conciliazione casa-lavoro e sulla produzione di risultati scientifici? È uguale per uomini e donne?
  • Come ridisegnare i campus universitari del futuro affinché promuovano a pieno pari opportunità nella ricerca e nella progressione di carriera? Quanto lo spazio fisico può favorire questi obiettivi?

Per saperne di più, leggi il comunicato stampa.

Master Professione Agente: al via il progetto nato dalla collaborazione tra MIP e Cattolica Assicurazioni

Con la cerimonia di kickoff del 21 dicembre ha preso ufficialmente il via il Master Professione Agente, il percorso accademico realizzato da Cattolica Assicurazioni in collaborazione con il MIP per promuovere la crescita dei futuri agenti assicurativi Cattolica.
Come è nato questo progetto e quali saranno le competenze che svilupperanno i partecipanti del Master? Ne abbiamo parlato con il Dott. Marco Lamola, Vice Direttore Generale di Cattolica Assicurazioni, e con il Prof. Marco Giorgino, Co-direttore del Master.

Dott. Lamola, come è nata l’idea di investire sulle nuove generazioni di agenti attraverso un Master?

Da molti anni Cattolica Assicurazioni investe in termini di competenze e professionalizzazione per valorizzare quello che consideriamo il vero patrimonio della Compagnia: i nostri Agenti.
Il Master è la dimostrazione della concreta volontà del nostro Gruppo di garantire una continuità manageriale nella gestione dell’attività di agenzia, puntando su giovani motivati che siano formati per assicurare all’impresa un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo.

Mai come oggi, in un momento in cui la pandemia ci ha mostrato la fragilità di vecchi e consolidati modi di essere e di lavorare, è opportuno affrontare la sfida che ci attende accumulando competenze e accrescendo la consapevolezza che, di fronte a una realtà incerta e in continua trasformazione, occorre guardare al mercato cambiando prospettiva. Quella prospettiva che un giovane ha già nel suo modo di pensare e che un Master qualificato può affinare e focalizzare. Perché un Master ha un approccio multidisciplinare, si modella sulle predisposizioni e gli interessi del singolo, permette il confronto all’interno del gruppo ed è orientato all’innovazione.

Grazie a focus esclusivi sul ruolo della trasformazione digitale e sulle molteplici competenze commerciali, gestionali e manageriali necessarie per gestire un’attività imprenditoriale, a conclusione del percorso formativo i partecipanti avranno acquisito un profilo coerente con l’attuale contesto di mercato in termini competitivi, organizzativi e di offerta.

Per questa nuova edizione avete deciso di farvi affiancare dal MIP…

Ormai da qualche anno Cattolica Assicurazioni collabora con il Politecnico di Milano e con Giuliano Noci, Professore di Strategy & Marketing nonché co-direttore di questo Master, per offrire una formazione distintiva agli Agenti di Cattolica Assicurazioni. Non ci riferiamo solo alle giovani figure professionali che si affacciano al panorama assicurativo, ma anche agli imprenditori affermati, dalle competenze già consolidate, comunque desiderosi di tenersi al passo con i tempi e di affinare le proprie competenze.

Il MIP Politecnico di Milano, pertanto, ha rappresentato l’ideale risposta alle esigenze di Cattolica in termini di formazione digitale, di innovazione, di company engagement, di attenzione alla persona.

Coniugare le competenze di settore che abbiamo in casa con quelle della Business School del Politecnico di Milano significa poter fruire di insegnamenti di alto livello impartiti da docenti appartenenti alla comunità scientifica internazionale.

Infine, il MIP sa valorizzare l’unicità dell’individuo, ponendolo al centro di un percorso strutturato volto al miglioramento della performance, così come Cattolica Assicurazioni da sempre, ispirata dai suoi valori fondanti, attribuisce grande attenzione alla persona, ai giovani e a tutti i componenti del suo sistema azienda.

Un’unione di due brand destinata a moltiplicare le capacità originarie di entrambi e a segnare la differenza sul mercato.

Il Dott. Lamola ha parlato della volontà di fare la differenza sul mercato. Nello specifico, Prof. Giorgino, in che modo questo Master potrà preparare gli Agenti alle sfide future?

Il MIP ha due punti di forza storici: il primo è quello di lavorare sulle nuove tendenze, cercando di capire come meglio posizionare le persone e le imprese all’interno dei vari sistemi economici. Il secondo è quello di avere un approccio molto pratico, orientato alla gestione delle attività, una concretezza importante per rendere le competenze spendibili in modo veloce.

Detto questo, credo che il Master Professione Agente abbia tre elementi che possano aiutare i partecipanti a sviluppare le abilità necessarie ad affrontare le sfide future.

Il primo, è un inquadramento dei macro-trend, sia in atto che prospettici, per comprendere bene quali siano le opportunità che oggi gli agenti hanno, non soltanto nel medio-lungo termine, ma anche nel breve termine.
Penso ad esempio a quello che è emerso in modo forte durante il COVID e che ancora stiamo vivendo, ovvero il tema della protezione sia della salute delle persone che del patrimonio. Abbiamo visto quanto il risparmio sia cresciuto in questi mesi e come le persone abbiano difficoltà a comprendere come allocarlo in modo efficiente e come costruire forme di tutela del patrimonio personale per il futuro.

Il secondo elemento è sviluppare riflessioni su quello che può essere il ruolo degli agenti nel futuro, anche attraverso il rafforzamento degli approcci di tipo imprenditoriale. Oggi avere una maggiore imprenditorialità e innovatività aiuta a essere più competitivi sul mercato.

Collegato a questo, c’è un terzo elemento importante, ovvero lavorare su competenze specialistiche con un approccio concreto. In aula avremo la possibilità di sviluppare insieme competenze basate su casi reali, su quelle che sono le esigenze del mercato, con riferimento ad alcune aree in modo particolare, a contenuti di tipo tecnico. Ma lavoreremo anche sulle competenze digital; oggi, infatti, non possiamo prescindere da questa variabile, che non andrà a sostituire il fattore umano ma che vi si dovrà integrare in modo vincente. Ci sono infine le competenze manageriali, associate non solo a fabbisogni di tipo organizzativo, di gestione delle risorse e delle attività, ma anche competenze di relazione col cliente, un cliente che diventa sempre più esigente, che dobbiamo conoscere in modo sempre più approfondito per poterlo servire al meglio.

Credo che queste componenti tutte insieme possano rendere questo Master un percorso molto utile rispetto alle sfide future e rappresentare quindi un’occasione di arricchimento del bagaglio professionale e delle competenze degli agenti che su questo mercato vorranno essere di successo nei prossimi anni.

Grazie a entrambi per il vostro contributo! Non ci resta che fare i nostri migliori auguri agli Agenti che proprio in questi giorni hanno iniziato a seguire le prime lezioni del Master!

 

Innovators’ Talks: arriva il podcast del MIP sull’innovazione

Dal 18 gennaio, Davide Chiaroni e Antonella Moretto conducono un format innovativo che mette al centro gli innovatori. Per parlare di idee con energia e vitalità. Un formato agile che vuole stimolare la curiosità degli ascoltatori. Un’iniziativa rivolta a una platea che va oltre la community del MIP

 

Far raccontare l’innovazione da chi la vive in prima persona con vitalità, energia, visione. È la sfida di Innovators’ Talks, il podcast del MIP Politecnico di Milano che, a partire dal 18 gennaio, sarà fruibile su tutte le principali piattaforme. Ospite della prima puntata sarà Fabio Moioli, Head of Microsoft Consulting and Services ed esperto di intelligenza artificiale, che parlerà delle città del futuro. Ma è solo uno dei temi trattati, perché nel corso degli appuntamenti successivi si spazierà dal fintech all’economia spaziale, passando per le piattaforme di innovazione B2B e la robotica educativa. A condurre, Davide Chiaroni e Antonella Moretto, rispettivamente Associate Dean for Executive Education e Associate Dean for Open Programs, che ci hanno raccontato la genesi e gli obiettivi di questo progetto.

Un formato agile per raccontare la visione degli innovatori

«L’iniziativa nasce da due sollecitazioni», racconta Chiaroni. «La prima deriva dall’esperienza dei Talk with CEO, una serie di webinar con cui avevamo voluto rispondere con ottimismo alle restrizioni dei primi mesi di lockdown. Ci eravamo resi conto, però, che quel formato andava un po’ a discapito dell’immediatezza. Mentre riflettevamo su questo problema, siamo stati contattati da un nostro alumnus che si occupa di contenuti audio per la formazione aziendale con la società Digital MDE. Da queste due spinte è nata l’idea di dare vita a un podcast». Un formato che si differenzia dalle esperienze precedenti, anche perché in questo caso, più che i temi, a essere centrali sono le persone. «Parliamo di innovazione, certo, ma i protagonisti sono gli innovatori», spiega Moretto. «Anche se provenienti da ambiti di impresa diversi, i nostri ospiti sono accomunati dalla stessa energia e vitalità. Sono dei sognatori orientati da un purpose che guida le loro azioni, un obiettivo chiaro che diventa essenziale quando bisogna prendere delle decisioni, cercando di discriminare tra scelte giuste e sbagliate. È un approccio inclusivo e sostenibile, dove il profitto non è né ostacolo né fine, ma strumento per raggiungere il purpose

Ambiti diversi, passione comune

Le fa eco Chiaroni: «Ci sono tre elementi che accomunano gli innovatori nostri ospiti. Il primo è la passione. Nelle loro parole si avverte chiaramente quel quid in più, quella piccola molla che fa scattare l’innamoramento nei confronti di un’idea. Il secondo è l’attenzione ai dettagli, soprattutto nella fase esecutiva, che richiede un cambio di atteggiamento. Si sogna in grande, ma poi si diventa razionali e pragmatici. Il terzo e ultimo elemento è l’attenzione al cliente e ai suoi bisogni. Se non si vuole correre il rischio dell’autoreferenzialità, bisogna sapersi mettere nei panni di chi poi andrà a utilizzare l’output di quella idea». È Moretto a raccontarci i primi nomi che hanno deciso di raccontarsi: «Il primo sarà Fabio Moioli, poi sarà il turno di Ivan Mazzoleni, ad di Flowe, l’applicazione fintech di Banca Mediolanum. Seguiranno Valeria Cagnina e Francesco Baldassarre, di OfpassiON, Lucia Chierchia, managing partner di Gellify e Luca Rossettini, CEO di D-Orbit».

Le possibilità del podcast

L’esperienza di Chiaroni e Moretto alla conduzione del podcast ha fornito uno spunto di riflessione anche sulle diverse modalità di comunicazione di contenuti e sulle loro possibilità. «Abbiamo dovuto studiare», racconta Moretto. «Per noi è uno strumento nuovo, e abbiamo dovuto apprenderne regole e linguaggi. Per fortuna, a seguirci, c’era Digital MDE. Come già era accaduto nei mesi scorsi con la didattica a distanza, abbiamo avuto la conferma che è importantissimo pensare i contenuti in funzione della piattaforma su cui verranno fruiti. Così come una lezione a distanza non deve essere una replica dei contenuti erogati in presenza, allo stesso modo un podcast non è una banale registrazione audio». Per Chiaroni, poi, questa esperienza segna un importante passo in avanti per il MIP: «Questo podcast sottolinea l’importanza del MIP come luogo dove la formazione passa anche dalla discussione di idee innovative, e non solo dalla didattica. Per la quale, invece, il podcast è solo un primo passo: ci piacerebbe dare vita a dei corsi erogati proprio con questo formato.»

 

Il primo episodio e le puntate successive saranno disponibili sulla pagina Innovators’ Talks e sulle migliori piattaforme di podcast.

 

Ascolta il trailer!

 

 

Stimoli dagli approcci evolutivi: algoritmi e sfide in finanza

Avanzate tecniche analitiche prese in prestito da una letteratura eterogenea per estrarre dai dati informazioni preziose, stanno guadagnando slancio all’interno della comunità finanziaria. Questo articolo introduce brevemente come gli ecosistemi finanziari siano sempre più sensibili all’applicazione di algoritmi biologici ed evolutivi volti ad analizzare il comportamento e le dinamiche dei loro partecipanti.

Andrea Flori, Ricercatore in Management and Finance, School of Management, Politecnico di Milano

 

In un popolare lavoro del 1973, Burton Malkiel mostrò come una scimmia bendata che lancia freccette alle pagine finanziarie di un giornale potrebbe selezionare un portafoglio in grado di performare bene come uno accuratamente costruito da esperti (“A Random Walk Down Wall Street”, 1973), contribuendo ad alimentare il dibattito sulla possibilità di estrarre segnali informativi da dati finanziari e dai comportamenti degli operatori di mercato.

I mercati finanziari costituiscono quindi una arena in cui tecniche ed algoritmi di predizione tentano di sfidare l’efficienza dei mercati attraverso l’identificazione di patterns.

È in tale contesto che numerose metodologie, mutuate da vari ambiti scientifici, si sono diffuse e reciprocamente contaminate per fornire una prospettiva nuova per lo studio della dinamica di sistemi finanziari complessi e delle interdipendenze che governano le relazioni tra i loro partecipanti.

L’infrastruttura di mercato, il ruolo dell’informazione ed il comportamento degli operatori rappresentano pertanto alcuni dei pillars ricorrenti nella definizione di questi approcci di analisi in contesti finanziari.

In particolare, il ricorso ad approcci ispirati da contesti biologici ha catturato l’attenzione di molti operatori finanziari interessati ad una nuova generazione di tecniche intelligenti di analisi e calcolo che imitino l’esecuzione di azioni umane.

Algoritmi genetici e reti neurali hanno pertanto pervaso la letteratura in finanza e contribuito alla diffusione di innovazioni metodologiche ispirate all’evoluzione biologica e al funzionamento umano, ottenendo, attraverso l’utilizzo di una prospettiva di analisi multidisciplinare e computazionalmente evoluta, risultati spesso promettenti rispetto ai tradizionali metodi di analisi statistica.

Nello specifico, gli algoritmi genetici utilizzano strumenti e prospettive proprie della selezione naturale e della genetica per identificare la migliore soluzione al problema. Mimando l’evoluzione biologica, una popolazione iniziale viene iterativamente mutata e ricombinata per determinare generazioni successive, in modo tale che le modifiche che hanno un impatto desiderabile vengono mantenute nel bagaglio genetico delle future generazioni nel tentativo di convergere verso soluzioni ottimali. Ad ogni individuo, cioè soluzione candidata, viene quindi assegnato un valore di fitness rispetto ad una funzione obiettivo e agli individui con caratteristiche più promettenti viene assegnata una maggiore probabilità di accoppiarsi per generare nuovi individui, quindi soluzioni al problema, potenzialmente ancora più performanti, in linea con la teoria darwiniana della “sopravvivenza del più adatto”. Le reti neurali, invece, sono costruite per imparare dalla struttura dei dati e processare un segnale attraverso neuroni artificiali tra loro interconnessi per creare una configurazione simile al funzionamento del sistema nervoso umano. Ad ogni connessione è associato un peso che contiene informazioni sul segnale di ingresso, inibendo oppure stimolando il segnale che viene comunicato ai neuroni per risolvere uno specifico problema. L’informazione rinveniente dall’esterno come input viene quindi elaborata internamente in uno o più layers di analisi che attivano determinati neuroni e trasmettono il segnale ad altri, prima di determinare un output la cui accuratezza previsionale può essere incrementata da un processo di apprendimento delle azioni svolte in precedenza. Le reti neurali sono quindi un sistema adattivo complesso in grado di mutare ed adattare la propria struttura interna in base al contesto e alle informazioni che lo attraversano.

Questi approcci risultano essere pertanto flessibili ed in grado di adattarsi a nuove circostanze, eventualmente imparando dall’esperienza passata e reagendo agli stimoli provenienti da nuovi segnali nel sistema.

Non stupisce, quindi, che tali tecniche, separatamente oppure tra loro combinate, siano sempre più spesso applicate in molteplici ambiti in finanza, quali ad esempio in analisi predittive dei mercati e nella selezione di regole di allocazione di portafoglio, hedging di strumenti finanziari, applicazioni di robo-advisoring.

Negli ultimi anni, con l’aumento della potenza e delle risorse di calcolo e la loro ampia disponibilità, tecniche avanzate per analisi massive di dati stanno infatti guadagnando slancio all’interno della comunità finanziaria, contribuendo ad una letteratura in forte crescita che, oltre alle tecniche sopracitate, sfrutta, più in generale, un uso su larga scala di concetti di statistical learning e di deep learning per identificare patterns nei mercati finanziari, studiare le complesse relazioni non lineari tra e all’interno le serie temporali finanziarie, individuare anomalie di mercato.

In aggiunta, ripetuti episodi di crisi finanziaria con le loro esternalità di vasta portata e gli effetti a cascata sui mercati finanziari e sull’economia reale hanno motivato lo studio e predisposizione di nuovi strumenti per monitorare e prevedere la diffusione di instabilità nei sistemi finanziari e per gestire le criticità che possono emergere.

L’adozione di approcci di statistical learning e di tecniche di deep learning nello studio dei sistemi finanziari richiedono tuttavia nuovi paradigmi, conoscenze ed abilità pratiche necessarie per sviluppare una solida base di modelli ed algoritmi che siano opportunamente applicati nei domini di riferimento e capaci, al contempo, di sfruttare le potenzialità che scaturiscono da un approccio transdisciplinare all’investigazione scientifica.

Nel mondo della finanza, tali strumenti di analisi sono della massima importanza per il futuro sviluppo tecnologico, svolgendo un ruolo fondamentale in molti aspetti dell’ecosistema finanziario. L’analisi massiva dei dati con tecniche avanzate di statistical learning e deep learning è infatti molto richiesta in numerosi ambiti ed in una ampia gamma di applicazioni che comprende, oltre la previsione di andamenti di mercato, anche ad esempio lo studio delle dipendenze tra sistemi finanziari, l’approvazione di linee di credito, la gestione efficiente delle risorse finanziarie, l’individuazione di anomalie e frodi, la valutazione di rischi.

Queste sfide sembrano indicarci quindi una nuova prospettiva di ricerca, al crocevia tra data mining, analisi predittiva e modellazione causale, che permetta di sfruttare la forza di questi algoritmi di analisi e calcolo per investigare problemi economico-sociali di contesti reali e mutevoli.

Cattolica e MIP Politecnico di Milano: presentato il Master Professione Agente

È appena partito ‘Master Professione Agente’, il percorso accademico realizzato da Cattolica Assicurazioni in collaborazione con MIP Politecnico di Milano per promuovere la crescita dei futuri Agenti assicurativi Cattolica.

Il Master, della durata di nove mesi, ha l’obiettivo di trasformare i giovani partecipanti in professionisti in grado di gestire l’attività di Agenzia attraverso l’acquisizione e il potenziamento di specifiche abilità professionali.

Grazie al focus sul ruolo della trasformazione digitale e sulle molteplici competenze commerciali, gestionali e manageriali necessarie a gestire un’attività imprenditoriale, al termine del percorso formativo i partecipanti avranno acquisito un profilo coerente con le sfide del mercato in chiave competitiva, organizzativa e di offerta. Particolare attenzione sarà dedicata al processo di change management conseguente al contesto emergenziale da Covid 19, che ha accelerato trend di mercato quali la digital innovation e la multicanalità e ha fatto emergere nuovi bisogni di protezione.

Si tratta di un percorso di alta formazione, che prevede l’intervento in qualità di relatori anche dei manager di Cattolica, a dimostrazione della volontà della Compagnia di promuovere un investimento convinto a favore della crescita della rete agenziale della Società. Realizzato sotto la Direzione Scientifica dei Professori Marco Giorgino e Giuliano Noci per il Politecnico di Milano e dal Dottor Marco Lamola per il Gruppo Cattolica Assicurazioni, il Master prevede nove momenti didattici così strutturati: un momento di apertura/Kick Off, 7 Challenge tematiche, una fase di project work e Graduation Ceremony. La conclusione del primo ciclo di studi, al quale parteciperanno 24 giovani selezionati, è prevista per luglio 2021 a cui seguiranno i project work finali prima della consegna dei diplomi programmata per novembre.

Marco Lamola, Vice Direttore Generale e Direttore Commerciale del Gruppo Cattolica Assicurazioni, ha commentato: “Il Master Professione Agente, giunto alla sua quinta edizione e oggi completamente rinnovato nel contenuto e nella partnership con una istituzione di riconosciuto valore internazionale come il Politecnico, vuole essere un punto di riferimento per la formazione delle nuove generazioni di Agenti Cattolica. Grazie a un percorso di assoluta eccellenza, interamente finanziato dall’Azienda, possiamo contribuire alla crescita di giovani intermediari secondo le tecniche e gli strumenti più moderni di gestione dell’Agenzia e del business assicurativo. Negli ultimi anni abbiamo coinvolto già quasi cento giovani futuri Agenti nelle nostre iniziative di formazione – gli ultimi dei quali premiati proprio oggi, contestualmente all’avvio del nuovo progetto – e continueremo a farlo, coltivando i migliori talenti della nostra Rete, nel solco della grande tradizione agenziale che da sempre contraddistingue la Compagnia. Con questo investimento Cattolica non coltiva solo giovani di talento ma il talento dei giovani”.

“Siamo felici di essere partner di questa nuova edizione del Master Professione Agente, che dimostra ancora una volta come Cattolica Assicurazioni metta al centro della propria strategia le nuove generazioni di professionisti”, spiegano i Prof. Marco Giorgino e Giuliano Noci, Direttori Scientifici del Master.  “Nel disegnare insieme a Cattolica questo progetto abbiamo voluto concentrarci non solo sulla trasformazione digitale, ma fornire ai giovani agenti anche gli strumenti necessari per poter guidare il cambiamento in questo contesto così sfidante. Alle solide basi teoriche garantite dalle lezioni dei nostri docenti si uniscono momenti più esperienziali, come assignment e testimonianze da parte dei manager di Cattolica Assicurazioni, per dare agli allievi un’esperienza quanto più completa e vicina alla realtà in cui si troveranno ad operare.”

Symplatform 2021: un simposio internazionale sulle piattaforme digitali

 

Negli ultimi anni la rilevanza dei modelli di business basati su piattaforme è aumentata significativamente. Aziende come Airbnb, Uber o BlaBlaCar hanno mostrato le grandi potenzialità dei modelli di business che hanno come obbiettivo il matchmaking di vari gruppi di clienti, come viaggiatori e host, cavalcando le opportunità delle tecnologie digitali.

Siamo felici di lanciare la seconda edizione di Symplatform, un symposium sulle piattaforme digitali che si pone l’obiettivo di unire accademici e practitioner.

Symplatform è un progetto sviluppato in collaborazione da Trinity College Dublin, Politecnico di Milano School of Management e Audencia Business School.

La seconda edizione avrà luogo in 4 sessioni digitali tra il 17 Maggio e il 20 Maggio 2021 dalle 2 alle 3.30 (CET).

Il symposium sarà basato su vari format: sessioni parallele con presentazioni di paper accademici, sessioni guidate dai practitioner “Pitch your challenge” e workshop collaborativi che possano indicare possibile sviluppi per il field delle piattaforme digitali.

Su symplatform.com sono disponibili informazioni aggiuntive sull’evento.

Valorizzare i beni culturali attraverso l’innovazione digitale: la multidisciplinarietà come asset di sviluppo

L’approccio multidisciplinare alla valorizzazione dei beni culturali, in grado di unire la conoscenza del bene e del costruito con le competenze manageriali applicate al contesto specifico, possono rappresentare una chiave strategica per il rilancio del Paese.

 

Deborah Agostino
Associate Professor in Accounting Finance and Control e Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei beni e nelle attività culturali, School of Management Politecnico di Milano.

Stefano Della Torre
Professore Ordinario di Restauro, Politecnico di Milano e Direttore del Master in Management dei Beni e delle Istituzioni Culturali – MIP Graduate School of Business, Politecnico di Milano

 

La situazione pandemica attuale ha riportato al centro dell’attenzione l’importanza di avere un approccio multidisciplinare alla valorizzazione dei beni culturali, che unisca le competenze umanistiche a quelle tecnico-scientifiche.
Il patrimonio culturale è di per sé multidisciplinare, nella diversità dei meccanismi con cui può produrre benefici per lo sviluppo locale, e la resilienza in occasione delle grandi crisi. Nel corso degli ultimi anni si è parlato a più riprese dell’importanza di comprendere nella valorizzazione tutta la complessità dei beni culturali, coinvolgendo discipline diverse, dall’archeologia all’architettura, alla chimica alla matematica fino ad arrivare alle scienze dei materiali, al design e al management.

Con la chiusura fisica dei luoghi della cultura italiani a seguito dei decreti legislativi volti a contenere la pandemia Covid-19, , si è sottolineata ulteriormente l’importanza di creare sinergia tra figure professionali differenti per valorizzare il patrimonio, anche e soprattutto in momenti di crisi. In questo specifico momento storico è l’innovazione digitale, e la capacità di presidiare il canale digitale, a creare il fil-rouge tra discipline differenti. L’esperienza di fruizione si è momentaneamente spostata dal luogo fisico al luogo digitale: la visita in loco si è trasformata in tour virtuali, le visite scolastiche in momenti online o gli eventi e le manifestazioni in loco in dirette streaming. Nella maggior parte dei casi, l’erogazione di questi servizi non è avvenuta in modo strutturato con un team di professionisti. Al contrario, spesso è stato un approccio emergente e di sopravvivenza dettato dalla contingenza, scontando il ritardo su diversi fronti. La School of Management ha monitorato le tipologie di contenuti digitali proposti così come le risorse dedicate. Se i risultati in termini di partecipazione online agli eventi sono stati mediamente elevati (la partecipazione online dei pubblici è raddoppiata nei mesi di lockdown rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), non si può dire lo stesso per le competenze e le risorse coinvolte. Infatti, i risultati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Nelle Attività Culturali della School of Management mostrano che, a livello italiano, un museo su due è dotato di professionisti con competenze dedicate al digitale. Di questi, solo il 6% ha un team dedicato con un digital manager e un set di professionisti.

Sebbene l’approccio emergente utilizzato nel primo lockdown abbia garantito l’erogazione di contenuti culturali in digitale con le risorse disponibili, occorre ora fare una riflessione più strutturata rispetto alla sostenibilità nel medio-lungo periodo del modello di business, ulteriormente provato dalle chiusure e relativi mancati incassi. Questo richiede una riflessione su almeno tre aspetti:

  • La tipologia di contenuto culturale digitale, che non può essere una mera traduzione in digitale delle attività pensate per la fruizione in loco. Occorre, al contrario pensare e sviluppare offerte “native digitali”.
  • I meccanismi di revenue associati alla nuova offerta culturale digitale. I contenuti digitali emergenti nei periodi di lockdown sono stati gratuiti, ma questo non contribuisce alla sostenibilità economica dei musei.
  • Le competenze professionali da ingaggiare nello sviluppo del progetto che, inevitabilmente, deve unire le competenze sul patrimonio e sulle opere con le competenze manageriali, tecnologiche e del design dell’esperienza.

In questo contesto, la School of Management è attiva nel percorso di innovazione digitale delle istituzioni culturali, sia con la ricerca che con la formazione.
Sotto il profilo della ricerca, sono attivi progetti incentrati sull’analisi di nuovi modelli di business sostenibili, sugli approcci di digital transformation messi in atto e sulla misurazione degli impatti generati dall’innovazione. Ad esempio, con riferimento ai nuovi modelli di business, stiamo mappando le offerte fully digital e i relativi meccanismi di costo e ricavo. Dalle prime evidenze emerge una difficoltà nell’identificare una value proposition in grado di evidenziare il valore di una fruizione culturale digitale; questo vuol dire che se il visitatore è disposto a pagare il biglietto per la visita in loco, non è disposto a farlo per una attività digitale. La ricerca è nella fase iniziale, ma proseguirà nella mappatura dei modelli adottati a livello nazionale ed internazionale, anche in settori affini, in modo da contribuire alla definizione di un possibile “phygital approach” che sia in grado di unire la “fisicità” del patrimonio culturale al valore aggiunto dell’esperienza di fruizione digitale.

Sotto il profilo della formazione, è oggi più che mai necessario formare dei profili professionali multidisciplinari, includendo due competenze trasversali chiave: le soft skills e la capacità di comprendere linguaggi diversi all’interno del mondo dei beni culturali, e l’innovazione digitale, che comprende sia l’innovazione nel design dell’esperienza di fruizione, ma anche l’innovazione nelle tecniche di conservazione e nuovi linguaggi digitali. In questo contesto, la School of Management con il Master in Management dei Beni e delle Istituzioni Culturali – un unicum nel panorama italiano per aver unito le competenze politecniche dell’architettura, del management e del design in un unico percorso si è posta l’ambizioso obiettivo di formare figure apicali in grado di presidiare e governare i grandi cambiamenti in atto nel mondo dei beni culturali, unendo una profonda conoscenza del bene e del costruito con le competenze manageriali applicate al contesto specifico.
Questo è stato fatto con un approccio applicativo che consente di “sperimentare” nel contesto reale, la complessità nella gestione e valorizzazione del bene, favorendo il dialogo tra “teoria” e “pratica”, fra università e istituzioni culturali e tra professionisti diversi.
È una sfida ambiziosa quella che ci siamo dati, ma che riteniamo, oggi più che mai, possa essere un valore aggiunto per il mondo dei beni culturali, che sono parte del programma di rilancio del Paese.

 

Multidisciplinarietà: una nuova disciplina

 

Intervista a Vittorio Chiesa
Presidente MIP Graduate School of Business

 

Viviamo in un mondo caratterizzato da crescente contaminazione tra le discipline, in cui i profili professionali richiesti dalle imprese sono mutevoli: quale ruolo può avere una business school in questo contesto?

Il settore delle business school evolve di pari passo con le imprese e con il ruolo che queste assumono nella società in senso ampio. E’ da tempo che alle imprese viene richiesto di operare con “purpose”, ossia agire non solo per profitto ma per scopi più elevati, con la finalità di avere un impatto positivo su tutto il sistema di cui sono parte. Sia i mercati che i consumatori dimostrano una sensibilità crescente sul tema e per questo motivo per le imprese avere un rapporto con i propri stakeholder è diventato un elemento imprescindibile.

Allo stesso modo, le business school devono avere la medesima attenzione sia nei confronti degli allievi, sia nei confronti delle imprese. E’ con questo obiettivo in mente che quest’anno abbiamo ottenuto la certificazione Bcorp (Benefit Corporation) entrando nella community internazionale di società che si distinguono per l’impegno a coniugare profitto, ricerca di benessere per la società, inclusione, attenzione all’ambiente.

Il “purpose” deve diventare parte fondamentale nello sviluppo delle competenze delle persone, affinché si formino manager capaci di concepire l’impresa al servizio della società.
Si tratta di un salto culturale che le stesse imprese ci chiedono e che possiamo facilitare, insegnando ai nostri allievi come un’impresa possa e debba contribuire in modo positivo in un sistema e un territorio.
E’ questo il nostro ruolo: preparare professionisti a introdurre innovazioni fortemente orientate a “purpose” di natura non solo economica ma anche sociale.

La multidisciplinarietà è funzionale a questo obiettivo in quanto impone ampiezza di vedute, flessibilità, spirito critico, intuizione. Formare oggi non è solo specializzare in ambiti ristretti, è soprattutto contaminare con altre discipline per creare profili professionali più completi, capaci di analisi di livello sistemico e in grado di guidare le imprese definendo e ispirandosi ad un “purpose”.

La multidisciplinarietà quindi come strumento per mantenere una mentalità aperta ed elastica nei confronti del mondo. Come integrarla nella formazione?

Tradizionalmente l’approccio alla multidisciplinarietà è quello di fornire prospettive diverse all’interno di un percorso formativo, quindi offrire contributi diversi all’interno della formazione di base e specialistica. La sintesi tra multidisciplinarietà e competenze specialistiche è poi in genere lasciata al singolo individuo.

Ma è possibile applicare un approccio radicalmente diverso integrando in un percorso formativo la multidisciplinarietà, e facendola diventare parte integrante qualsiasi tema si insegni. La sfida oggi è proprio gestire la complessità di questo nuovo approccio, usando per esempio tecniche didattiche innovative che, modificando la logica di interazione tra docente e allievo, possano rendere più efficace questo tipo di formazione. Al momento non è di ampia e facile diffusione, ma sono certamente in corso diverse sperimentazioni.

Richiede una progettazione dei percorsi formativi specifica e quindi anche i docenti, o meglio gruppi di docenti, che operino in team vanno preparati in questa direzione. Dall’altro lato, la formazione multidisciplinare ha bisogno di maggiore interazione, quindi di essere erogata con piccoli gruppi e con forte ricorso a format didattici che coinvolgono gli allievi in modo attivo.

Credo che in futuro l’elemento distintivo tra le offerte formative sarà proprio questo: da un lato iniziative con contenuti specialistici fornite con modalità standardizzate e per grandi numeri, dall’altro iniziative con contenuti più trasversali e metodologie didattiche innovative, dedicate a gruppi più circoscritti.

In questo periodo si parla molto di life-long education come chiave per l’aggiornamento continuo delle competenze. E’ una dinamica che si interseca con quella della multidisciplinarietà?

L’apprendimento continuo vuol dire rimanere allineati con l’evoluzione del contesto e questo avviene solo raramente o in parte attraverso degli approfondimenti verticali. Più spesso equivale ad un allargamento del profilo professionale.

Anche per il life-long learning quindi vale quanto detto finora: deve avvenire su contenuti più ampi, ma anche in modi diversi dal passato, usando per esempio specifiche piattaforme in grado di trattare ampi spettri disciplinari.

“Purpose” e multidisciplinarietà: quali sono i piani del MIP per il futuro relativamente a questi aspetti?

Inserire in tutti i programmi formativi dei moduli sul “purpose”, sul ruolo dell’impresa e quello dei managers in qualità di leader e innovatori in questa direzione.

Sempre su questo tema, inaugurare dei “Purpose lab”, ovvero iniziative formative dedicate a studiare e analizzare in profondità come un’impresa possa costruire il proprio purpose, e supportare così i vertici delle imprese in questa evoluzione.

Infine innovare i formati di erogazione dei nostri servizi, affinché la scuola non sia solo un luogo di formazione, ma un luogo che favorisca la crescita di una persona a tutto tondo: dalla valutazione delle competenze, all’orientamento, allo sviluppo professionale.

Financial Times European Business Schools Ranking 2020: la School of Management del Politecnico di Milano tra le 3 migliori scuole di Università “tecniche” in Europa e la 41° in assoluto

Il MIP Politecnico di Milano, parte della School of Management, migliora ulteriormente il proprio posizionamento rispetto al 2019 in un anno in cui crescono del 13% le application dall’Italia ai propri corsi MBA.

 

MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business è lieta di annunciare la propria presenza all’interno del Financial Times European Business Schools Ranking 2020, la classifica che premia le migliori Business School europee.

La scuola si posiziona come la terza tra le realtà appartenenti a una Università tecnica in Europa e, più in generale, la 41° su 90 scuole totali, guadagnando quattro posizioni rispetto al 2019, quando era risultata 45° su 95.

La Business School del Politecnico di Milano guadagna tre posizioni anche nella classifica dedicata ai corsi MBA, classificandosi al 38° posto e migliorando soprattutto nel parametro riguardante “Salary increase”, che indica l’aumento della retribuzione a tre anni dalla graduation. Tra le eccellenze dei percorsi formativi proposti, si evidenziano i risultati nell’Executive Education 2020, con gli Open programmes e i Custom programmes che passano entrambi dal dal 41° al 39° posto. Cresce anche la percentuale “Female faculty” (dal 39% al 41%) e “Faculty with doctorate” (dall’81% all’83%).

Per quanto riguarda la classifica delle Università tecniche con una Business School o un Dipartimento di Management, la School of Management del Politecnico di Milano conferma il 3° posto in graduatoria, dietro a Imperial College School (UK) e Aalto University (Finlandia). Se si considerano poi le realtà generaliste con competenza tecnica e una Business School, la School of Management si piazza in 11° posizione.

Il posizionamento nel ranking si accompagna ad altrettanto importanti dati relativi al coinvolgimento degli studenti. In un periodo reso particolarmente complessa dalla pandemia, MIP ha infatti aumentato del 13% le application da parte di candidati residenti in Italia ed è cresciuto significativamente il numero complessivo dei partecipanti a corsi MBA e Master Specialistici.

Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean del MIP Politecnico di Milano: “La nostra Business School è riuscita a raggiungere straordinari risultati anche nelle difficoltà dell’anno che sta per concludersi. Siamo lieti di condividere la soddisfazione per il riconoscimento del Financial Times con studenti e candidati, in costante crescita, e con tutte le persone che con noi hanno contribuito al raggiungimento di questi traguardi attraverso il proprio impegno quotidiano”.

Tra soft skill, personalizzazione ed empowerment: il management secondo il MIP

La figura del manager oggi deve confrontarsi con nuove sfide e opportunità, come quelle presentate dal digitale. E se le competenze hard sono fondamentali, sono le soft skill a fare la differenza. Ce lo racconta Simone Franzò, direttore dell’Executive master in management

 

Una profonda conoscenza dei principi del management e un buon bilanciamento tra soft e hard skill. Sono queste le basi su cui un manager deve costruire il proprio successo. Ce lo racconta Simone Franzò, direttore dell’Executive master in management (Emim) presso il MIP Politecnico di Milano. «Sembra scontato, eppure troppe volte le figure manageriali mostrano gravi lacune nella formazione. Oggi più che mai, invece, è fondamentale poter contare su competenze solide. Anche perché il digitale sta cambiando i confini di questa professione».

 

Affrontare le sfide, cogliere le opportunità

La diffusione sempre più pervasiva delle tecnologie digitali sta giocando un ruolo molto importante: «Da una parte abbiamo delle sfide, dall’altra delle opportunità», spiega Franzò. «Pensiamo alla diffusione dello smartworking. Pone sicuramente una sfida dal punto di vista della gestione del team». Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: «Le nuove tecnologie abilitano nuove opportunità, possono migliorare la produttività e l’efficacia del lavoro svolto. Non sono però la panacea di tutti i mali: devono essere opportunamente gestite. Solo così possono diventare uno strumento virtuoso a beneficio dell’azienda». La sfida è anche culturale: «È necessario un cambio di mindset. Così come la presenza fisica sul posto di lavoro non può più essere considerata un valore imprescindibile, allo stesso modo l’adozione del digitale richiede una formazione che coinvolga tanto i manager quanto le risorse umane. Facciamo un esempio: il tema della gestione dei dati e della conoscenza. Non si può digitalizzare senza saper gestire il flusso relativo al knowledge management». Ma le tecnologie, appunto, non sono tutto. Anzi, non sono niente, senza competenze. «Oggi più che mai», continua Franzò, «è evidente l’esigenza di coniugare le hard skill, ossia le competenze più nozionistiche, che si apprendono tramite i classici percorsi formativi, con le soft skill: per esempio, la gestione della leadership, del team, il public speaking. Sono queste le competenze che diventano sempre più fonte di successo e di vantaggio competitivo per alcuni manager rispetto ad altri».

 

Un master per chi vuole rafforzare le proprie competenze

L’Executive master in management offre una formazione in linea con questi principi. «Si tratta di un master in general management che si rivolge a chi ha un’esperienza di lavoro tipicamente consolidata e sente il bisogno di aggiornare e rafforzare le proprie competenze in aree chiave del sapere manageriale», illustra Franzò. «La struttura formativa si articola in quattro macro-blocchi. Il primo set di corsi si basa sui fondamentali di management, all’interno dei quali lo studente potrà scegliere tra i sei e gli otto corsi. Il secondo blocco è costituito da corsi elective: proponiamo oltre cento corsi, e tra questi gli allievi ne sceglieranno tra i sei e gli otto. Il terzo blocco è il Percorso executive: un percorso di otto moduli precostituiti che affrontano un macrotema da molteplici punti di vista fra loro complementari (digital transformation, project management, energy management e così via). Infine, il project work, che ha l’obiettivo di applicare le nozioni apprese fino a quel momento su un problema reale di stampo manageriale».

 

Dal networking al career empowerment, passando dalle soft skill

Il master, che può essere fruito online a seguito del manifestarsi della pandemia Covid-19, si caratterizza quindi per un’elevata personalizzazione dei contenuti. «È il suo punto di forza. Non solo perché ogni studente potrà scegliere quali ambiti approfondire, ma anche perché questo permetterà a tutti gli iscritti di incrociare un ampio numero di colleghi diversi da un corso all’altro e che condividono le medesime esigenze formative. Approssimativamente, il networking potrebbe raggiungere un’ampiezza di oltre un centinaio di persone, tutte legate da interessi comuni». Particolare rilievo, poi, è dato proprio alle soft skill, oltre che al career empowerment: «Oltre ai corsi maggiormente incentrati sulle competenze soft, abbiamo previsto una serie di iniziative a supporto dello sviluppo di carriera per i nostri allievi. Ad esempio, i nostri allievi avranno l’opportunità di confrontarsi con manager e head hunter, che illustreranno quali sono le competenze più appetibili dal mercato», conclude Franzò.