86 candidati, provenienti da 24 diversi Paesi, hanno appena iniziato il loro viaggio digitale al MIP chiamato International Flex EMBA

E’ appena partita la nuova edizione del nostro International Flex EMBA, registrando un alto numero di partecipanti da tutto il mondo, pronti a vivere un’indimenticabile esperienza di formazione in distance learning.

Le decine di candidati connessi da 26 differenti Paesi d’Europa, del Medio Oriente, dell’Asia e dell’America Latina, che venerdì 6 novembre hanno ufficialmente iniziato l’Executive MBA in distance learning del MIP, sono la prova tangibile che nulla può fermare la formazione!

Una classe composta in media da professionisti tra i 30 e i 40 anni, con una formazione pregressa prevalentemente nell’ambito dell’ingegneria e dell’economia, già impegnati da oltre 10 anni principalmente nel settore dell’Information Technology e delle Construction nel ruolo di Project, Sales o General Manager, si è appena formata nella nostra Business School.

Questa è evidenza del fatto che tanti professionisti continuano a nutrire la voglia di migliorarsi, di affinare le proprie skills manageriali e soprattutto, di guardare con positività e lungimiranza al futuro. Ma è anche evidenza del fatto che il MIP Politecnico di Milano, servendosi del potenziale del digital learning, intende perseguire con determinazione l’obiettivo di formare innovatori che sapranno fare delle tecnologie digitali una delle leve principali per un impatto economico e sociale. Questo impegno ci ha infatti portato a scalare importanti classifiche mondiali, posizionandoci in particolare 5° nel QS Online MBA Ranking 2020 9° nel Financial Times Online MBA Ranking 2020.

La nostra Scuola è entusiasta della diversity che caratterizza questa edizione dell’EMBA, della sua portata internazionale, dei variegati background dei suoi partecipanti, che arricchiranno senza dubbio il bagaglio culturale e personale di tutti loro. Sono infatti molteplici i commenti degli studenti durante la cerimonia di apertura del master che sottolineano come questa classe sia “un incredibile mix di competenze ed esperienze” in cui “è rappresentato l’intero mondo del business” anche in termini geografici.

Congratulazioni a tutti per aver deciso di investire nella formazione!

E congratulazioni a tutte le centinaia di giovani laureati e professionisti che, da settembre ad oggi, hanno scelto il MIP per la propria crescita professionale e umana.

Career skills e professional development: i servizi del nostro Career Development Center

Oggi è quanto mai fondamentale, soprattutto dal momento in cui si sceglie un percorso di alta specializzazione, lavorare al proprio personal brand.

Che cos’è il personal branding? Quel complesso di strategie messe in atto per promuovere sé stessi, le proprie capacità ed esperienze, la propria carriera alla stregua, appunto, di un brand.

Per questo il nostro Career Development Center offre agli studenti del MIP, sia dei Master EMBA ed MBA che dei Master Specialistici, tutta una serie di servizi finalizzati a sviluppare una strategia di carriera e a potenziare il network professionale, preparandoli ad affrontare il mercato del lavoro, sempre più complesso e cangiante.

Tra le diverse attività in cui vengono coinvolti i canditati, vi sono i cosiddetti Career workshop & LAB, momenti formativi ed esperienziali che hanno l’obiettivo di fornire strumenti concreti per lo sviluppo delle Career skills: Self Awareness & Context Analysis, Career Self- Design, Planning and Execution, sulle quali bisogna lavorare per diventare attori della propria carriera e governarla con successo.

Di recente, ad esempio, i nuovi studenti dell’International Full Time MBA, hanno preso parte ad un progetto innovativo di Assessment Center, dedicato allo sviluppo delle competenze di imprenditorialità. Circa 53 corsisti hanno preso parte a questo momento laboratoriale virtuale, esercitando le proprie attitudini imprenditoriali.

Concretamente, in seguito alla somministrazione di alcuni test di tipo situazionale, i ragazzi si sono dovuti cimentare nell’elaborazione di una propria idea di business. L’idea è stata poi presentata in plenaria, contribuendo così anche all’esercitazione delle competenze di public speaking e alla successiva costruzione di dinamiche di gruppo, lavorando in team al raggiungimento di un obiettivo comune.

Dopo questa esperienza, attraverso incontri one-to-one con i Consulenti Career, potranno creare un piano di sviluppo customizzato per divenire Career Leaders, sulla base delle evidenze emerse durante l’Assessment.

Non c’è hard skill che tenga, senza il supporto di altrettante consolidate soft skills, per raggiungere i più ambiziosi obiettivi professionali!

#AlumniTeamUP: storie dalla community di innovatori per costruire un futuro migliore per tutti

Riccardo Terraneo, Studente del Percorso Executive in Smart Manufacturing al MIP Politecnico di Milano, racconta opportunità della rivoluzione digitale, di cui è protagonista con il progetto Komete BeSafe.

 

Kometebesafe sembra l’alleato perfetto per mantenere il social distancing a lavoro. Raccontaci di più.

Komete BeSafe è una soluzione IoT composta da un dispositivo indossabile da dare ad ogni lavoratore e un software in cloud che raccoglie gli allarmi e le segnalazioni dei dispositivi.
L’obiettivo è quello di migliorare la sicurezza sul posto di lavoro sia per quanto riguarda le tematiche relative al COVID-19 ma anche per tematiche riguardanti la sicurezza in azienda più in generale.
Il dispositivo è grande quanto un badge e può essere indossato al collo, oppure tenuto in tasca. Le principali funzionalità si raggruppano in due moduli, uno per la sicurezza (rilevazione di cadute, accesso a zone di pericolo, chiamate e messaggi di emergenza, richieste di soccorso, invio della posizione GPS) e uno più focalizzato sul distanziamento sociale in azienda. Infatti i device agiscono come dissuasori di contatto emettendo a seconda della personalizzazione un suono, una vibrazione, oppure un segnale luminoso, in caso di mancato rispetto delle distanze di sicurezza. Inoltre si può risalire alla catena di contatti avvenuta in azienda e ricevere un messaggio di allarme se troppe persone sono presenti in uno spazio chiuso ristretto. Ciò è reso possibile grazie al Bluetooth Low Energy, tecnologia in grado di rilevare il contatto tra due o più dispositivi. In caso di contagio il medico aziendale o il referente dell’asl, può visionare la catena dei contatti del contagiato.

 

Al centro della mission di Komete ci sono trasformazione digitale e il 4.0. Quali sono ancora oggi gli ostacoli e le opportunità maggiori della quarta rivoluzione industriale?

L’obiettivo di Komete è offrire soluzioni IoT per aiutare le nostre PMI industriali a diventare più efficienti. Le nostre soluzioni sono caratterizzate dalla semplicità di utilizzo, dalla poca invasività nei processi aziendali e dalla loro accessibilità, da qui deriva il nostro claim “Smart Factory Made Easy”.

L’ostacolo principale è il timore verso il cambiamento. Introdurre soluzioni digitali significa ripensare gli aspetti organizzativi, andare contro la logica del ‘si è sempre fatto così’, questo non è facile, perché bisogna coinvolgere le persone a tutti i livelli, bisogna istruirle, motivarle e ascoltarle. In questo il MIP svolge un ruolo di primo piano in termini di formazione e consapevolezza. Le opportunità sono enormi, abbiamo la possibilità di fornire strumenti tecnologici per migliorare la vita delle persone in azienda, aiutando tutti gli operatori a tutti i livelli nel prendere decisioni migliori. Pensiamo all’utilizzo di Google Maps, ci ha permesso di raggiungere qualsiasi luogo senza conoscere la strada, ci permette di prendere decisioni diverse in base al traffico. Ecco questa è l’opportunità: prendere decisioni migliori.

In particolare con Komete stiamo creando una gamma di prodotti digitali semplici da utilizzare per fornire alle PMI nuovi strumenti per misurare e controllare quanto avviene in fabbrica in tempo reale.

 

In che modo il tuo percorso al MIP ti sta aiutando nel tuo progetto e, più in generale, nella tua esperienza in Komete?

Sto migliorando come persona e come professionista e questi miglioramenti lì sto portando in azienda. La crescita maggiore la sto avvertendo in merito a due aspetti: l’approccio al problem solving e nell’ideazione di nuovi prodotti/servizi. La possibilità di frequentare una classe composta da persone di grande esperienza proveniente da aree e settori diversi, mi ha portato a conoscere nuove esperienze in merito a soluzioni di problemi aziendali. Questo fatto unito allo studio di casi aziendali proposti in classe, mi ha fornito un’ampia gamma di soluzioni e punti di vista che mi hanno arricchito e mi hanno permesso di avere una visione più completa e aperta. Nel caso di lancio di nuovi prodotti/servizi, occupandosi Komete di soluzioni digitali per le PMI, ci ha consentito maggiormente di capire quali sono i bisogni delle PMI, grazie al confronto con i colleghi di classe e dei casi svolti insieme con i professori, quest’ultimi sono fonte di stimolo e continuo miglioramento.

Ad esempio Komete in sinergia con il MIP nei prossimi mesi valuterà e testerà il lancio di un nuovo prodotto digitale per migliorare il coordinamento con il fornitore, le prestazioni in produzione e la gestione del cliente.

 

Il MIP ha recentemente ottenuto la certificazione B Corp, prima business school italiana, e unica europea, spinta dalla consapevolezza del ruolo che ogni impresa giocherà nel costruire un futuro migliore per tutti. Quale consiglio daresti alla nostra Community per sviluppare iniziative di impatto sociale?

Colgo l’occasione per complimentarmi per il traguardo raggiunto, questo penso sia il giusto riconoscimento dell’impatto positivo sociale del MIP. Ogni organizzazione dovrebbe avere un impatto sociale positivo, infatti le aziende sono il centro dell’innovazione e dei cambiamenti nella società, con i nostri prodotti, i nostri servizi, e i nostri comportamenti possiamo incidere positivamente e credo che per un gruppo di persone con la stessa visione e condivisione degli obiettivi, non ci sia nulla di più soddisfacente nell’avere un impatto positivo sulla vita delle persone. Non ho consigli in particolare da dare, credo di avere tanto da imparare. Posso solo dire quanto noi di Komete crediamo nell’ascolto dei bisogni delle persone; le organizzazioni nascono per soddisfare i bisogni delle persone, e in un momento delicato come questo credo che i Sustainable Development Goals suggeriscano quali siano gli obiettivi da raggiungere a lungo termine.

Digital transformation: adesso o mai più

Il professor Antonio Ghezzi presenta l’International master in digital transformation: dalle ricadute strategiche a quelle organizzative, passando dalla necessità di sviluppare un mindset imprenditoriale per gestire un cambiamento ormai ineludibile. Per qualsiasi azienda

 

Digital transformation sì. Ma a patto di parlarne nel modo giusto, comprendendone a fondo la natura e le ricadute sulle aziende. «Oggi assistiamo a un abuso di questo termine da parte di molte realtà, allo scopo di collocarsi e riposizionarsi», ci spiega Antonio Ghezzi, Professore Associato e Direttore dell’International Master in DigitalTransformation presso il MIP Politecnico di Milano. «Quello che dobbiamo fare, invece, è definire i confini di questo concetto. Troppa enfasi rischia di portare a un’inflazione, con il rischio di vedere esplodere una bolla come accadde con le dot-com nei primi anni 2000. Dobbiamo cercare invece di capire la natura delle ondate tecnologiche, che cosa possono portare al business e come cambierà il ruolo dei manager, che non possono più permettersi di ignorare le trasformazioni in atto».

 

Un’opportunità anche per i più piccoli

Secondo Ghezzi, adottare la digital transformation porta prima di tutto a dei processi di trasformazione che vanno interpretati. «Il primo tema è di natura strategica. Attraverso la combinazione di diverse tecnologie, possono crearsi nuovi mercati. Inoltre, la natura della competizione cambia, si evolve, abbandona le forme del passato. Il secondo tema è di natura imprenditoriale», continua Ghezzi. «Questo fenomeno fa emergere nuove opportunità di business, che bisogna saper cogliere. La creatività diventa fondamentale, da questo punto di vista. E permette alle startup e a tutte quelle realtà born digital di competere con aziende molto più strutturate». Il terzo e ultimo tema è quello organizzativo: «Difficile mettere in atto un piano strategico, se l’organizzazione non è allineata. E poi, bisogna pensare a come incide il digitale: che impatto ha sulla macrostruttura? E sulla microstruttura? Sono presenti le competenze adeguate per portare avanti il piano?»

 

L’azienda digital deve sperimentare

Ovviamente, il ruolo del manager diventa fondamentale di fronte a un cambiamento così ineludibile e così necessario. «È importante riconoscere che il mondo, ormai, è digitale», spiega Ghezzi. «Anche chi è riuscito a posizionarsi in uno spazio ristretto, deve sapere che, prima o poi, quella nicchia si eroderà. Per trovare nuove strade, le aziende devono imparare a sperimentare, investendo poco in direzioni diverse, imparando a saggiare la qualità delle proprie scelte, per capire quale sia la migliore. In un contesto così turbolento, dove le discontinuità non sono solo di natura tecnologica, diventa impossibile una pianificazione classica. Lo hanno capito anche le aziende più grandi, che ora cominciano a imitare questo approccio finora tipico delle start-up». Per affrontare queste sfide, il mindset imprenditoriale è, secondo Ghezzi, ideale: «La ricerca delle opportunità di business deve essere costante. La discontinuità in cui viviamo ci costringe a farlo. A meno che le aziende non vogliano essere soppiantate. Pensiamo a quanto hanno realizzato, in poco tempo, imprese digitali come Amazon, Airbnb, Uber».

 

Dal know-how al know-where

Le tecnologie in gioco, però, bisogna conoscerle. Meglio ancora, bisogna sapere dove andare a cercarle. «Passiamo dal modello del know-how al modello del know-where. È improbabile che una singola impresa detenga tutte le tecnologie che oggi stanno segnando la digital transformation. Se mettiamo in cima alla piramide l’intelligenza artificiale, scendendo vedremo che questa avrà bisogno del machine learning, dei big data e della raccolta dati, che può avvenire a livello consumer, o tramite l’Internet of Things. E tutti questi dati, poi, vanno immessi nel cloud. Ecco, difficile per una sola azienda gestire questa complessità, e per questo diventa importante conoscere dove trovare questi servizi digitali».

Il MIP Politecnico di Milano ha creato l’International master in digital transformation allo scopo di formare professionalità capaci di destreggiarsi in questo ambito. «Noi diamo innanzitutto dei fondamenti di general management a tutti i nostri iscritti, insieme a nozioni di strategia di marketing e di finanza. Quindi approfondiamo le tecnologie, valutandone l’impatto manageriale. Il terzo blocco prevede un’analisi degli approcci lean start-up e di design thinking. Gli studenti avranno modo di mettere concretamente in pratica quanto studiato. Non esiste momento migliore di questo per iscriversi. Le organizzazioni che non mettono in attesa questo processo rischiano di finire ai margini», conclude Ghezzi.

 

QS MBA Career Specialization Rankings 2021: lavoro, ricerca e placement rendono la School of Management del Politecnico di Milano tra le migliori al mondo

La classifica di QS premia gli MBA del MIP in ben sei ambiti. Spicca l’ottimo risultato nell’Operations Management, seguito da Entrepreneurship e Marketing. A conferma che il mondo del lavoro apprezza il lavoro di formazione della scuola e i suoi alumni.

 

Gli MBA del MIP sono tra i migliori al mondo, anche per quel che riguarda le specializzazioni nei vari ambiti lavorativi. È quanto emerge dal QS MBA by Career Specialization Rankings 2021: la graduatoria è stata stilata da Quacquarelli Symonds, società che si occupa dell’analisi dell’offerta accademica a livello globale. Questa classifica in particolare, basata sui risultati ottenuti dalle varie scuole e dagli alumni nei vari ambiti del business, ha visto la School of Management del Politecnico di Milano posizionarsi nella top 100 in ben sei categorie, distinguendosi in particolar modo nei settori dell’Operations Management, dell’Entrepreneurship e del Marketing.

 

Nello specifico, il risultato migliore è stato ottenuto nell’Operations Management, in cui la Scuola si è classificata al quinto posto al mondo. A seguire, la 35esima posizione in Entrepreneurship e la 43esima nel Marketing, sempre a livello global. A influire in maniera significativa su questi risultati è soprattutto l’altissimo punteggio ottenuto nella ricerca legata alle specializzazioni considerate, insieme alla reputazione tra i datori di lavoro e al career placement.

 

Risultati ancora più rilevanti se si tiene conto della metodologia con cui è stata stilata la classifica: sono stati infatti presi in considerazione oltre 37 mila datori di lavoro, a cui si sono sommate le analisi di milioni di pubblicazioni accademiche e delle statistiche sull’impiego degli alumni. Significa, innanzitutto, che il mondo del lavoro riconosce la validità delle persone formate nella School of Management, e che quelle stesse persone perseguono poi carriere di alto livello, in proprio o all’interno di organizzazioni di assoluto rilievo.

 

Colpisce positivamente, poi, la varietà degli ambiti considerati, a conferma della vocazione della scuola nel percorrere una strada dove management, economia e tecnologia si incontrano e si uniscono in un unicum formativo.

 

Oltre ai tre settori citati, la School of Business entra poi nella top 100 anche negli ambiti del Consulting, dell’Information Management e della Technology.

 

Si tratta della terza conferma in pochi giorni della qualità dell’offerta formativa della Scuola. MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business è entrata infatti per la seconda volta nella sua storia nella prestigiosa classifica internazionale Financial Times Executive MBA 2020, così come i corsi del MIP sono stati premiati nella QS Business Masters Rankings 2021. Un duplice riconoscimento a cui si somma appunto il risultato raggiunto nel QS MBA by Career Specialization Rankings 2021.

Design e tecnologie innovative per una società inclusiva: nuovo Joint Research Center


Creare un mondo più inclusivo e più smart: questo lo scopo del nuovo Joint Research Center “Design e tecnologie innovative per una società inclusiva” creato con un accordo quinquennale tra Politecnico di Milano, NTT DATA e POLI. Design, a cui partecipa come partner anche il Dipartimento di Ingegneria Gestionale della School of Management.

Nel nuovo Research Center lavoreranno NTT DATA, multinazionale giapponese leader nella consulenza e nel settore IT, POLI.Design, realtà di riferimento per la formazione post laurea e che svolge un ruolo di cerniera tra università, istituzioni, imprese e lavoro, e per il Politecnico il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, il Dipartimento di Design e il Dipartimento di Ingegneria Gestionale.

La volontà di lavorare insieme nasce non solo dal desiderio di compiere studi congiunti su tematiche tecnologiche innovative, ma anche e soprattutto dalla condivisione di valori importanti da promuovere insieme, quali il supporto all’uguaglianza, alla diversità e all’inclusione.

Obiettivo primario della collaborazione è avviare una trasformazione culturale, abilitata da un uso sinergico degli strumenti tecnologici e di design più avanzati, per “mettere l’uomo al centro”, supportando uno sviluppo inclusivo della società portando la tecnologia al servizio dell’individuo.

La collaborazione prevede il finanziamento di attività e progetti di ricerca che interesseranno diversi ambiti e tematiche di primaria rilevanza per ideare e realizzare soluzioni tecnologiche “trasparenti” che impattino sulla vita quotidiana individuale: Smart Mobility, Cybersecurity, Blockchain, Internet of Humans, Diversity Management, Universal Design, Design for Social Benefit, Product and Service Design.

In particolare, il contributo del Dipartimento di Ingegneria Gestionale si focalizzerà sui temi Data Analytics e Technology Tools for Diversity and Inclusion, in stretta collaborazione con il Dipartimento di Elettronica, Informatica e Bioingegneria del Politecnico di Milano.

Per saperne di più, leggi il comunicato stampa.

L’accreditamento dei nostri corsi: un valore aggiunto per la nostra Business School

Già nel 1991, MIP ha visto riconosciuto il suo primo programma MBA da ASFOR, dimostrando di essere in grado di diffondere la cultura manageriale nel nostro Paese. Oggi, con un approccio votato alla continua innovazione, continua ad impegnarsi nella formazione delle future generazioni di manager, per prepararli ad affrontare le sfide del “new normal” e della digital transformation.

Essere parte di organizzazioni come ASFOR – Associazione per la formazione manageriale, dopo quasi 30 anni dal primo accreditamento, continua ad essere motivo di orgoglio, garanzia del valore dell’offerta formativa e fonte di preziosi contatti e collaborazioni per MIP.

«L’accreditamento ASFOR di un programma passa per una serie di rigorosi parametri di valutazione – spiega Tommaso Agasisti, Associate Dean for Internationalization, Quality and Services – e la sua qualità, una volta certificata, viene costantemente monitorata nel tempo. Questo rigore costituisce una garanzia per chi sceglie di affidarsi alla nostra esperienza e motiva la nostra Business School, ogni giorno, a mantenere alto il valore di tutti i programmi erogati.»

Il mercato della formazione sta diventando infatti sempre più ricco e variegato: centinaia di enti e università, in Italia e all’estero, erogano percorsi formativi, in presenza e in distance learning. Optare per un percorso MIP accreditato, riduce il rischio e la paura di commettere una scelta non ottimale, che caratterizzano tipicamente la selezione di un corso di specializzazione.

MIP è anche la prima Business School italiana ad aver ricevuto l’accreditamento EOCCS -EFMD Online Course Certification per i corsi erogati in digital learning, fa parte dell’ 1% a livello globale di scuole accreditate da EQUIS – EFMD Quality Improvement System, e i suoi programmi MBA ed EMBA hanno raggiunto da tempo gli standard qualitativi di eccellenza, così come definiti da AMBA – Association of MBAs.

Essere parte di queste realtà consente di avere uno scambio continuo con i migliori operatori del settore e, soprattutto, di coltivare un contatto diretto con i potenziali studenti. Grazie a diversi eventi di orientamento, come il D-Day dei Master Accreditati ASFOR che si terrà il prossimo 29 ottobre, hanno luogo preziosi confronti one-to-one con i candidati. Questa giornata, nello specifico, coinvolgerà 41 master accreditati in un palinsesto ricco di appuntamenti, celebrando il valore di grandi istituzioni formative, tra cui ovviamente il MIP Politecnico di Milano.

«Parteciperemo, come ogni anno, a questa giornata dedicata alla formazione manageriale di qualità: i nostri Recruiting Team saranno a disposizione delle centinaia di studenti e professionisti Italiani che stanno valutando, in questo momento quanto mai delicato, di investire sul futuro tramite la formazione. Del resto, per dirlo con le parole di Nelson Mandela, “l’istruzione è l’arma più potente per cambiare il mondo”… Ma per farlo, è necessario istruirsi bene!» conclude Agasisti.

«Tra il MIP e la Croce Rossa: studio e lavoro per aiutare il Libano»

Christian Lenz è iscritto all’Emba i-Flex del MIP Politecnico di Milano. Un corso che riesce a seguire da Beirut, dove guida una squadra di ingegneri che si occupa di salute pubblica. Qui racconta le sfide del suo lavoro e la conciliazione dello studio con un ruolo così impegnativo

 

Lavorare per la Croce Rossa Internazionale (Icrc) in un Paese come il Libano e, al contempo, frequentare un master presso il MIP Politecnico di Milano. È quello che fa Christian Lenz, Deputy water and habitat coordinator per l’organizzazione e studente del corso iFlex 2019-2021. Un doppio impegno che lascia poco spazio ad altro, senza dubbio: «La pressione, sia nello studio sia nel lavoro, cambia nel corso del tempo e può portare a livelli significativi di stress», spiega. «Ma non mancano i benefici. Grazie al master, sono più consapevole dei problemi chiave quando redigo un budget, e ho sviluppato un buon background che mi permette di capire le dinamiche della crisi economica del Libano. Questo ha reso il mio lavoro più soddisfacente, più solido da un punto di vista tecnico e anche più efficiente».

 

L’esplosione di Beirut

Christian Lenz lavora per la Icrc da oltre quattro anni. Attualmente, è impiegato presso il dipartimento che si occupa di salute pubblica: «Guido una squadra di ingegneri. Uno degli aspetti chiave è l’integrazione di queste attività nello scenario più ampio di ciò che fa la Icrc, con l’obiettivo di massimizzare l’impatto umanitario». L’evento drammatico verificatosi nella capitale libanese lo scorso 4 agosto (l’esplosione di un deposito presso il porto, che ha provocato l’uccisione di oltre 200 persone e il ferimento di 7mila, ndr) ha richiesto un grande sforzo a Lenz e alla Icrc: «La Croce Rossa è un’organizzazione abituata a operare in contesti emergenziali, così siamo stati in grado di rispondere immediatamente ai bisogni più urgenti. Il mattino successivo all’esplosione, i nostri ingegneri hanno lavorato fianco a fianco con le autorità locali, ripristinando le riserve idriche per 120 mila persone entro la fine del pomeriggio», racconta. «Adesso continuiamo a rispondere ai bisogni urgenti fornendo medicinali, donazioni di denaro alle famiglie maggiormente colpite e sostegno psicologico alle persone coinvolte».

 

Sfide, ostacoli, urgenze: un lavoro diverso

Il lavoro di Lenz non è quindi un lavoro come tutti gli altri, a causa del contesto e delle situazioni, quasi sempre difficili, in cui si opera: «La Croce Rossa è presente in situazioni di conflitti armati e violenza. Questo accresce il livello di sfida rispetto ai “normali” ambienti lavorativi. Oltre agli ostacoli tecnici, dobbiamo affrontare altre sfide: comprendere il contesto in cui lavoriamo, identificare i bisogni umanitari più pressanti e definire delle priorità, ma anche prenderci cura del nostro staff e guidarlo in condizioni difficili. In situazioni di urgenza, siamo chiamati a prendere decisioni basate su informazioni limitate per poter sviluppare rapidamente soluzioni efficienti sia in termini di tempo che di costi. Può essere molto stressante. In alcuni contesti, le costrizioni logistiche possono rallentare significativamente il nostro lavoro».

 

L’importanza delle soft skill in un contesto umanitario

Ma se queste sfide sono eminentemente tecniche, è anche vero che non sarebbe possibile affrontarle senza delle ottime soft skill. Competenze che Lenz sta sviluppando anche grazie all’Emba che frequenta: «Sono le soft skill a permetterti di realizzare un lavoro di qualità, anche quando è di natura tecnica. Nel lavoro umanitario probabilmente sono ancora più importanti: ci troviamo di continuo in contesti nuovi e sconosciuti. Lavoriamo in team multiculturali, i cui membri provengono da decine di Paesi. È importantissimo sapersi approcciare con una mentalità aperta, rispettosa, conservando sempre un’attitudine positiva. Per orientarsi e sviluppare delle strategie significative è fondamentale ascoltare gli altri, che si tratti di colleghi o di persone colpite dalla violenza e dai conflitti armati».

 

i-Flex: i vantaggi di un formato flessibile

In un contesto simile, è il formato i-Flex a permettere a Lenz di frequentare l’Emba: «È erogato quasi del tutto digitalmente. Provenendo da un approccio tradizionale, all’inizio mi spaventava. Ma durante la settimana iniziale, svolta in presenza, siamo stati introdotti ai concetti di didattica e collaborazione online. Mi sono adattato e ho imparato in fretta che la didattica e la collaborazione online rappresentano il futuro. Le interazioni con la mia classe sono piacevoli. Raccomando l’iFlex a chiunque sia interessato a un Emba internazionale di alta qualità e che richieda flessibilità sia in termini di tempo che dal punto di vista geografico».

 

Financial Times Global Executive MBA 2020: La School of Management del Politecnico di Milano è tra le migliori al mondo.

L’Executive MBA del MIP, la Graduate School of Business parte della School of Management, entra per la seconda volta nella sua storia nella classifica internazionale dedicata ai migliori programmi, dove si distingue per le proprie attività di CSR.

 

MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business entra per la seconda volta nella sua storia nella prestigiosa classifica internazionale Financial Times Executive MBA 2020, posizionandosi al centesimo posto. Dopo il novantaquattresimo posto ottenuto nel 2010, la Business School del Politecnico di Milano è di nuovo protagonista tra le scuole premiate per la qualità dell’offerta didattica dei propri corsi Executive MBA.

 

Nel dettaglio, l’Executive MBA del MIP si posiziona al trentacinquesimo posto per ciò che concerne il focus e l’attenzione ai temi della sostenibilità, al settantunesimo per l’internazionalità del programma e all’ottantesimo in base al parametro che prende in considerazione le attività di ricerca della School of Management. Ottimi risultati si registrano anche per la presenza di donne sia all’interno del corpo docenti (female faculty, 41%), che nell’advisory board della School of Management (women on board, 50%).

 

Rispetto alla classifica Europea del 2019, migliorano ulteriormente anche i parametri che considerano sia lo stipendio medio a tre anni dalla graduation, con un aumento del 9% rispetto al parametro del 2019, che l’incremento delle retribuzioni dopo la graduation, dal +43% del 2019 al +49% del 2020.

 

Nel complesso, la School of Management figura tra le uniche tre Università Tecniche con una Business School o un Dipartimento di Management presenti in classifica, preceduta da Imperial College (UK) e Aalto University (Finlandia).

 

Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean del MIP Politecnico di Milano: “E’ per noi un piacere vedere riconosciuta la qualità dei nostri Executive MBA da un Ranking prestigioso come quelle redatto dal Financial Times. Essere annoverati tra i migliori 100 programmi al mondo, ancora una volta a distanza di dieci anni, rappresenta per noi un ulteriore stimolo per continuare a lavorare costantemente sulla qualità di tutta la nostra offerta formativa

 

Clicca qui per consultare il Financial Times Executive MBA 2020 Ranking completo

Expo Dubai 2020: un World Expo per ripartire

Lucia Tajoli
Professoressa Ordinaria di International Economics, School of Management, Politecnico di Milano

Lucio Lamberti
Professore ordinario di Multichannel Customer Strategy, School of Management, Politecnico di Milano
Coordinatore del Laboratorio PHEEL – Physiology, Emotion and Experience Lab

 

Expo Dubai 2020, che si terrà tra l’ottobre 2021 e marzo 2022 dopo il posticipo di un anno a causa della pandemia, sarà – presumibilmente e auspicabilmente – uno snodo fondamentale del post-Covid. I World Expo sono considerati dei mega eventi, paragonabili per impatto solo ai campionati del mondo di calcio e alle Olimpiadi per esposizione mediatica, numero di partecipanti e impatti sull’economia ospitante, ma, a differenza dei mega-eventi sportivi, hanno una durata maggiore (6 mesi) e, potenzialmente, hanno una maggiore influenza sull’economia anche dei paesi partecipanti.

Le ultime due edizioni del World Expo hanno avuto delle connotazioni particolari. Quella del 2010 a Shanghai è stata la più grande della storia per partecipanti, con circa 84 milioni di visitatori. Il tema trattato era la qualità della vita nelle città (“Better City, Better Life”), ma, non casualmente insieme alle Olimpiadi di Pechino del 2008, rappresentava anche la dimostrazione della Cina al Mondo della sua raggiunta prominenza socio-economica. L’Expo del 2015, tenutosi a Milano e incentrato sul tema della capacità di fornire cibo di qualità all’umanità (“Feeding the planet, Energy for life”), ha attirato circa 20 milioni di visitatori e ha rappresentato, in un contesto economico nazionale stagnante e pur in mezzo a notevoli complessità organizzative, un motore per quello che molti analisti internazionali hanno considerato il “Rinascimento” milanese dell’ultimo lustro.
Il tema di Expo Dubai 2020 è “Connecting Minds, Creating the future”; si tratta di un evento che si focalizza sul ruolo dell’interconnessione come chiave per lo sviluppo sostenibile.

192 Paesi hanno aderito, e tra questi l’Italia, che parteciperà con un padiglione dal tema “La Bellezza Unisce le Persone”.
Il Politecnico di Milano e la sua School of Management sono partner del commissariato del Ministero degli Esteri nazionale che sta organizzando la partecipazione italiana ai Expo Dubai 2020, e ha sviluppato, a partire dal 2018, diversi studi volti a quali-quantificare i potenziali impatti di tale presenza. Infatti, al di là dell’ovvio bisogno di giustificare l’investimento di risorse pubbliche nella realizzazione del Padiglione, la misurazione dei ritorni (economici e non economici) è resa particolarmente rilevante dalle specificità geopolitiche di questo evento: la posizione geografica di Dubai, fulcro dell’area ME.Na.Sa. (Middle East, North Africa e South Asia) e snodo logistico e dei corridoi della Nuova Via della Seta rende questo Expo un punto di contatto fondamentale tra l’Europa e quelle che sono le aree del mondo con i maggiori tassi di crescita economica e di crescita della classe media.

Non a caso, l’evento, nelle previsioni iniziali avrebbe dovuto attrarre una vastissima maggioranza di visitatori non locali, e prevede una partecipazione convinta e rilevante in termini di progettualità tanto di Paesi del Medio Oriente quanto di economie emergenti come quelle dell’India e dell’asia centro-meridionale. Si tratta di un’occasione di grande rilevanza per affrontare il tema dello sviluppo sostenibile in queste aree del mondo, ad esempio con riferimento alle Infrastrutture e ai trasporti, alla valorizzazione dei beni culturali, alle scienze della vita e all’aerospazio.

Tre principali ordini di considerazioni giustificano la grande attenzione che nel mondo gli operatori economici stanno rivolgendo all’evento.
In primo luogo, essendo il primo World Expo tenuto in Medio Oriente, Expo Dubai 2020 rappresenta un’occasione di consolidamento di rapporti commerciali e di rappresentanza a vari livelli tra quest’area del mondo, il mondo arabo, il Nord Africa e l’Europa.
In secondo luogo, si tratta di un Expo a forte connotazione di ricerca (ancor di più considerando che la pandemia potrebbe ridurre il numero di visitatori “reali” e accrescere il connotato di interconnessione virtuale): archiviata ormai da un paio di edizioni la stagione degli Expo interpretati come mera “vetrina” degli Stati partecipanti, la logica di partecipazione di molti dei Paesi coinvolti, tra cui l’Italia, è quella di creare in seno a Expo 2020 un vero e proprio hub di competenze per sviluppare piattaforme di collaborazione stabili, da perpetuare anche dopo l’evento.
In terzo luogo questo Expo rappresenta uno dei primi mega eventi, insieme alle Olimpiadi di Tokio, del post-pandemia, e quindi avrà il duplice ruolo di mostrare il possibile profilo della nuova normalità in termini di eventi, flussi di persone e interconnessioni, e dall’altro di contribuire alla ripresa economica dopo le interruzioni legate alla pandemia.

La misurazione delle ricadute della partecipazione a un mega evento con World Expo sull’Organizzatore, e ancora di più sui Paesi che partecipano senza ospitarlo, è un tema su cui la letteratura scientifica non ha ancora dato risposte definitive: con riferimento ai giochi olimpici, mentre ci sono indicazioni qualitative circa il risultato espansivo sul paese ospitante, ci sono anche molte voci critiche che evidenziano come queste iniziative tendono, a livello finanziario diretto (differenza tra investimenti e biglietti, diritti televisivi, sponsor, ecc.), a non ripagarsi.
E’ però evidente, da un lato, che gli effetti finanziari diretti sono solo un aspetto delle ricadute indotte (vi sono impatti turistici, di advertising equivalente del territorio, ecc.) e, dall’altro, che i World Expo hanno un profilo di indotto differente dai Giochi Olimpici, in ragione del fatto che dura 6 mesi e quindi movimenta un flusso di visitatori molto più elevato, e poiché la partecipazione dei Paesi ospitanti e organizzatori è orientata a obiettivi precipuamente di sviluppo economico e diplomatico.

Con riferimento ai Paesi partecipanti, in particolare, è possibile ricondurre gli ambiti di ricaduta a un impatto potenziale sull’export, in quanto la partecipazione è un momento di promozione delle proprie eccellenze e di organizzazione di missioni diplomatiche e commerciali. Vi è poi, e nella visione ad hub di Expo Dubai 2020 gioca un ruolo rilevante, la possibilità di favorire l’incontro tra domanda e offerta di capitali, ovvero tra iniziative imprenditoriali innovative e finanziatori, generando flussi in entrata e in uscita di investimenti diretti esteri. In terzo luogo, la partecipazione con un padiglione a un Expo è connessa anche alla promozione delle specificità culturali di un territorio (e la connotazione incentrata sulla bellezza e sulle tecnologie per i beni culturali della partecipazione italiana rende questo tema particolarmente centrale) e quindi tende a essere un momento di promozione turistica, con i potenziali effetti economici espansivi che ciò comporta. Infine, meno facilmente qualificabile ma certamente non per questo meno importante, la vicinanza diplomatica e l’esposizione a piattaforme di collaborazione scientifica rappresentano sempre più un fondamentale obiettivo della partecipazione a un Expo. L’analisi svolta nel 2018 aveva evidenziato come una stima cautelativa delle ricadute espansive legate a questi fenomeni per l’Italia potesse raggiungere il valore di 1,7 miliardi di Euro all’anno almeno per i 3-4 anni successivi all’evento.

E’ evidente che queste stime devono essere, se non riviste, riconsiderate alla luce della pandemia. Però, paradossalmente, al netto degli eventuali ulteriori freni all’evento legati a fenomeni in questo momento imprevedibili di continuazione dello stato di emergenza, il bisogno delle economie mondiali di recuperare le posizioni perdute negli ultimi mesi, e la possibilità di sperimentare nuove forme – più digitali e meno fisiche – di presidio di iniziative di promozione internazionale, potrebbero avere addirittura un effetto ancora più espansivo. Quello che è certo, è che Expo Dubai 2020 può avere un valore simbolico di desiderio di riscatto, e, al contempo, di tappa di ulteriore consolidamento del rapporto tra Europa e Asia. Analizzarne gli impatti nel breve, nel medio e nel lungo periodo è una sfida affascinante e che va raccolta per rendere queste occasioni sempre più centrali nel processo di sviluppo delle relazioni economiche (e non solo) internazionali.