Il MIP ricomincia, pur non essendosi mai fermato: studenti, professori e staff riprendono a vivere il campus

Adottando tutte le misure necessarie per rendere i nostri locali accoglienti e soprattutto sicuri, da lunedì 7 settembre studenti, professori e staff hanno ripreso a vivere il nostro campus!

I partecipanti del Percorso Executive in Digital Innovation e i partecipanti dell’Executive MBA Serale, hanno inaugurato questo momento tanto atteso: in piena osservanza dei parametri di distanziamento sociale, hanno incontrato di nuovo docenti e colleghi.

   

Durante l’emergenza sanitaria abbiamo potuto contare su una consolidata esperienza nella didattica digitale e ancora oggi, le nostre piattaforme di digital learning, continueranno ad ospitare tutte le lezioni, sia in diretta streaming sia registrate, al fine di garantire continuità formativa a chi non potesse essere presente in aula.

Per chi invece preferisce le lezioni in presenza, queste sono state organizzate su turni diversi, e stiamo collaborando con le imprese partner per far si che, le testimonianze aziendali e i project work che le coinvolgono, incluse le company visits, possano realizzarsi con le dovute accortezze.

Dopo la ripartenza ufficiale di lunedì, mercoledì 9 settembre tutto lo staff MIP si è riunito per ripercorrere insieme le attività e i risultati dell’anno in corso e inquadrare gli obiettivi futuri della Business School.

I team, parte in presenza e parte in diretta streaming, hanno assistito agli speech del Presidente Vittorio Chiesa, del Dean Federico Frattini e degli altri membri del Comex: Tommaso Agasisti, Davide Chiaroni, Antonella Moretto, Sergio Terzi.

   

Siamo orgogliosi e felici di rivedervi di nuovo nella nostra Scuola!

 #NiceToMIPYou #WelcomeBackToMIP

Dalla tecnologia al luxury, passando per il MIP: l’esperienza di Merry Le

Alumna dell’MBA, racconta il successo ottenuto alla Mark Challenge, competizione per startup nell’ambito luxury&yachting. Un risultato che passa anche dalla capacità di utilizzare al meglio le proprie skill

 

C’è una frase, attribuita ad André Citroën, fondatore dell’omonima casa automobilistica francese, che recita più o meno così: “Saper fare è nulla senza far sapere.” Perché a volte la sfida più grande non è trovare un’ottima idea e svilupparla. Può essere molto più complesso raccontarla in modo efficace, soprattutto quando si ha di fronte un pubblico variegato, con diversi background formativi. Come convincere tutti? È quanto si è chiesta Merry Le, che dopo aver frequentato il Master in Business Administration presso il MIP Politecnico di Milano è diventata business strategy lead per Moi Composites. L’azienda, uno spin off del Politecnico di Milano, opera nel mercato della stampa 3D on demand e si è aggiudicata lo Special award in Yachting nell’ambito della Mark Challenge, competizione per startup in ambito luxury. «La nostra tecnologia brevettata, la Continuous Fiber Manufacturing, permette la produzione di prodotti uniciin maniera più efficiente e economicamente più accessibile», spiega Le. «Caratteristiche che si sposano alle esigenze produttive di un settore di lusso come lo yachting, in cui la personalizzazione è ricercata. La Mark Challenge ci sembrava il palcoscenico adatto per valorizzare i vantaggi unici della nostra startup. C’era un ostacolo principale: poiché si tratta di un innovazione tecnologico, era difficile far comprendere le sfumature più tecniche».

 

L’importanza di un buon pitch

Merry Le e i suoi colleghi, tutti e quattro provenienti dal MIP e dal Politecnico, hanno così deciso di sfruttare il proprio network di conoscenze, inclusi i docenti del MIP: «Abbiamo presentato il progetto a numerose persone, per ottenere dei feedback sulla sua efficacia. Quindi abbiamo semplificato il linguaggio e reso più chiaro alcuni messaggi. La presentazione vera e propria, poi, ci ha messi di fronte a una complicazione ulteriore», racconta Le, «poiché è avvenuta nel pieno dell’emergenza sanitaria da Covid-19, così tutto si è svolto online». Ma la strategia di Moi Composites ha pagato, perché Merry Le e i suoi colleghi sono stati premiati e hanno ottenuto la possibilità di presentare il proprio pitch davanti alla commissione del Monaco Yachting Cluster. Non solo: la stessa presentazione è stata votata dal pubblico come miglior pitch. «Un successo che abbiamo ottenuto, io e miei colleghi, anche grazie ai nostri differenti background, che ci hanno permesso tanto di sviluppare un business plan solido, quanto di lavorare con una tecnologia innovativa.»

 

Il futuro del lusso tra personalizzazione e sostenibilità

Le caratteristiche del business di Moi Composites si adattano alle ultime evoluzioni del mercato del lusso in generale, e non solo dell’industria nautica: «Il trend attuale è quello della personalizzazione. I clienti cercano sempre più prodotti tagliati su misura, adatti alle loro specifiche esigenze. È una tendenza accompagnata da una richiesta sempre maggiore di sostenibilità ambientale e sociale, oltre che di circolarità», continua Le. «Sono convinta che, nonostante il Covid-19 abbia avuto un grande impatto sull’economia, e quindi anche sul luxury, siamo più preparati ad affrontare il cambiamento. La recessione del 2008 colpì all’improvviso, cogliendo tutti di sorpresa; ma proprio grazie a quella crisi le persone hanno imparato come affrontare la ripresa ea diventare più creative e più propositive».

 

La ricchezza dell’MBA

Merry Le ha frequentato il Master in Business Administration presso il MIP perché, dopo anni di carriera, sentiva il bisogno di ampliare il proprio bagaglio di competenze: «Il mondo cambia in fretta, è sempre più importante poter contare su skills che permettano di comprendere e affrontare al meglio i cambiamenti in atto». Statunitense della East Coast, dopo 14 anni nell’industria aeronautica e aerospaziale, oggi Merry Le, nel suo nuovo ruolo di business strategy lead, ha la possibilità di impiegare le conoscenze acquisite durante il master. Non solo: il project work con cui ha partecipato alla Mark Challenge le è stato proposto proprio dal MIP. E se si tiene conto che Moi Composites, con sede nella vicina cittadina di Pero, è nata grazie al supporto del Politecnico di Milano, appare evidente come l’offerta del MIP non sia limitata alla formazione, ma possa contare anche su un tessuto produttivo geograficamente vicinissimo, popolato di aziende di alto livello alla costante ricerca di professionalità altrettanto valide. «La mia esperienza è stata fantastica», conclude Le. «Consiglierei a chiunque la scelta che ho fatto. Ad attrarmi è stata soprattutto l’enfasi sul tech e sui big data, ma più in generale sentivo il bisogno di imparare qualcosa di nuovo, oltre che di migliorare e affinare le skill di cui ero già in possesso. Un ulteriore valore aggiunto è dato dall’eterogeneità della classe: gli studenti provenivano da venti Paesi differenti, e questo ci ha permesso di confrontarci con punti di vista inediti. Una grande ricchezza».

Come sarà la nuova #MIPexperience? Fai un tour virtuale nella nostra scuola

Per gestire il tour, premi i tasti W, A, S, D per muoverti rispettivamente in avanti, a sinistra, indietro e a destra. In alternativa, puoi anche usare le frecce della tastiera per spostarti in qualsiasi direzione desiderata.

Usa il mouse per ruotare la vista, sia quando sei fermo, che quando sei in movimento.

Premi il tasto E per uscire dalla simulazione e riabilitare il puntatore del mouse.

Goditi la visita!

#NiceToMIPyou

Imprenditorialità in un mondo interconnesso: è online il nuovo numero di SOMeMagazine

E’ uscito il #2 di SOMe, l’eMagazine della nostra Scuola in cui raccontiamo storie, punti di vista e progetti attorno a temi-chiave della nostra missione.

Il titolo di questo numero è “Being entrepreneurial in a high tech world”. Mettiamo sotto la lente d’ingrandimento il cambio di approccio all’imprenditorialità in un mondo sempre più connesso, sempre più interconnesso, ma anche alle prese con la più grave crisi sanitaria dell’ultimo secolo.

Ne parliamo in apertura con una intervista ad Andrea Sianesi, presidente esecutivo PoliHub, che ci racconta come sta evolvendo alla luce della pandemia e come cambia il ruolo degli incubatori. Ne trattiamo poi elementi specifici come la strategia, la leadership e i modelli di business, con editoriali di Federico Frattini, Antonio Ghezzi, Roberto Verganti.

E, infine, raccontiamo storie di Alumni che con le loro idee hanno realizzato iniziative imprenditoriali di successo.

Per leggere il #2 di SOMe clicca qui.

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I numeri precedenti di SOMe:
• # 1 “Sustainability – Beyond good deeds, a good deal?”
• Special Issue Covid-19 – “Global transformation, ubiquitous responses”

Intervista a Fulvio Catalano, founder MOKAPEN, dal MBA alle regole d’oro per lanciare una start-up

1. Raccontaci MOKAPEN: com’è nato, cos’è, a chi si rivolge.

Mokapen è una piattaforma CRM che nasce da una constatazione: le piattaforme di collaborazione esistenti nel mercato sono complesse, non modulari e non sempre in lingua italiana. Questo crea una barriera di accesso non permettendo alle piccole imprese italiane di avere un “fast CRM”. Ho deciso quindi di sviluppare un tool che potesse essere semplice, logico, ma che fosse anche pronto per essere scalabile. Mokapen può quindi essere utilizzata da piccole imprese per organizzare le attività, liberi professionisti per collaborare con i clienti nei vari progetti o studenti per coordinare attività di studio, ma anche da aziende più strutturate dove l’organizzazione per funzioni aziendali è indispensabile. Perché “Mokapen”? Perché credo fermamente che la vera digital transformation tenga un piede nel cloud e uno per terra. La caffettiera moka e la penna sono due oggetti tradizionali ai quali ancora non rinunciamo quando siamo digital.

2. “Gratuito. Semplice. Italiano.” Quali sono gli obiettivi di lungo termine dietro il claim di MOKAPEN?

Quando si parte è sempre importante sapere dove si vuole arrivare, pur non escludendo cambi di programma. Sicuramente tutti i CRM trattano più o meno gli stessi argomenti: task, progetti, collaborazione, contatti e altro. La competitività si sposta quindi sull’accessibilità economica, su come queste entità vengono organizzate e su quanto l’utente è in grado di capire in autonomia come funziona la piattaforma. Poiché Mokapen deve sempre permettere l’accessibilità, in futuro manterrà sempre una base gratuita senza limiti temporali pur offrendo funzionalità premium a pagamento oltre quelle attualmente disponibili. Pur crescendo il focus dietro ogni sviluppo o logica è sempre la semplicità, per questo spendo molto tempo nell’analizzare come un processo deve funzionare per non rendere Mokapen complessa come le altre piattaforme. Italiano, si perché ho deciso questa volta di partire dall’Italia, anche se Mokapen è già disponibile anche in lingua inglese. Ovviamente il piano è di introdurre altre lingue, ma il punto di forza della localizzazione credo sia soprattutto il far conoscere Mokapen come qualcosa di, appunto, “locale”.

3. Quanto bisogno di uno strumento come MOKAPEN c’è in questo momento di ricorso massiccio a Smartworking e Homeworking?

Ben detto. Smartworking e homeworking sono due concetti diversi. Strumenti come Mokapen sono proprio da smartworking, innanzitutto per far risparmiare tempo tenendo traccia delle cose da fare. Anni fa, ogni mattina ero solito scrivere la tipica lista dei task da fare, alcuni dei quali dovevo rimandare al giorno successivo. Perché quindi scrivere sempre lo stesso task ogni giorno quando sarebbe più smart scriverlo solo una volta in un tool online? Se poi pensiamo allo stato forzato di homeworking di questo periodo, è immediato vedere in strumenti digitali la risposta smart per imparare a lavorare in un modo migliore, abbattendo le barriere delle distanze, comprimendo il tempo di esecuzione e raggiungendo il 100% della condivisione delle attività di un team. Lavorare da Palermo, Milano o Mumbai è quindi indifferente.

4. Dopo il tuo primo successo con Wardroba, nata al MIP e incubata al Polihub, quanto dell’esperienza “politecnica” hai messo nella tua nuova iniziativa?

Sorrido. Wardroba è stata la prima fiamma, ma la scintilla è stato il MIP. In questa esperienza si è letteralmente aperta la mente e grazie al progetto Wardroba ho avuto con i miei compagni qualcosa dove letteralmente sporcarci le mani, tra idee a volte non chiare, piani strategici visti e rivisti, soddisfazioni e aspettative deluse. Poi è arrivata l’incubazione al Polihub dove ho capito che la realtà su come si lancia una startup è ben diversa da quello che raccontiamo negli elevator pitch. Dalle esperienze MIP/Polihub ho imparato tre regole per me d’oro che hanno determinato la nascita Mokapen:

– Per avere successo devi sapere “fare” in prima persona. A differenza di Wardroba, ho imparato la programmazione web e ho creato Mokapen.

Parti dal basso, rendi solido e poi cresci. Il mio socio di Wardroba Federico Della Bella mi ha fatto capire che è meglio far poche cose bene che molte male (grazie Fede).

Devi realmente risolvere un problema, altrimenti lascia perdere. Spesso qualcosa che per me è una soluzione per gli altri non è niente di utile.

Premio di laurea sul tema “Logistica” in memoria del prof. Gino Marchet – Anno 2020

E’ aperto il bando per 2 premi di laurea del valore di € 2.000,00 lordi ciascuno sul tema “logistica”, sono destinati a laureati/e in Ingegneria (Laurea Magistrale) presso le Facoltà di Ingegneria italiane che abbiano conseguito il titolo dal 1 ottobre 2019 al 31 luglio 2020.

I lavori dovranno trattare tematiche di logistica quali: Automazione di magazzino, Picking, Logistica 4.0, Ottimizzazione dei processi logistici e della supply chain, Outsourcing Logistico, Gestione delle scorte.

Il bando è stato istituito in ricordo del Professor Gino Marchet, Professore Ordinario di Logistica presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, scomparso prematuramente nel 2017.

Per maggiori informazioni, si prega di consultare il bando disponibile alla pagina https://www.som.polimi.it/albo-e-bandi/

KeepONLearning. La pandemia non ha fermato la formazione

KeepONLearning volge al termine. Quattro mesi dopo il suo esordio, l’iniziativa del MIP Politecnico di Milano dedicata all’apprendimento continuo e rivolta ai suoi stakeholder, giunge alla sua naturale conclusione, per lasciare spazio, a settembre, alla riapertura in sicurezza del campus. Da marzo a luglio, KeepONLearning ha proposto ininterrottamente contenuti e approfondimenti a una vasta community di studenti, aziende, docenti, partner, coinvolgendo top manager e professionisti di assoluto rilievo nel panorama internazionale. Così facendo, non solo gli studenti hanno potuto continuare a frequentare i corsi a cui erano iscritti, ma anche le aziende e i partner hanno avuto accesso a una serie di contenuti che, tra gli altri, avevano l’obiettivo di fornire strumenti utili per fronteggiare l’emergenza da Covid-19.

Prima di dare vita a KeepONLearning, l’ultima settimana di febbraio il MIP ha innanzitutto trasferito tutta l’offerta formativa online per non interrompere l’erogazione dei corsi: una sfida non semplice, ma che è stata resa possibile anche dall’attenzione che ormai da anni il MIP rivolge al digital learning.

Due settimane dopo, il 18 marzo, è stato varato KeepONLearning, anche grazie allo staff del MIP che ha lavorato con entusiasmo e convinzione per il successo dell’iniziativa. Il sito del MIP si è così arricchito di numerosi contenuti messi a disposizione dei nostri stakeholder: articoli, webinar, corsi online, talk con docenti e manager, strumenti operativi, approfondimenti. Un bouquet di conoscenze che ha affrontato temi importanti come lo smart working, l’impatto del Covid-19 sulle aziende e sulla supply chain, l’aiuto che può derivare dall’intelligenza artificiale, la gestione dell’innovazione digitale nell’emergenza, anche in un settore cruciale come quello della sanità, e tanto altro ancora, con la partecipazione di multinazionali come Microsoft, Lamborghini, Pirelli e personalità di rilievo internazionale come Carlo Cottarelli.

I partecipanti agli oltre 90 live webinar organizzati sono stati tantissimi, oltre 20mila. Grazie a KeepONLearning, il sito del MIP ha visto crescere le visite di oltre il 60% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Numeri che testimoniano da una parte l’impegno del MIP nella sua mission di condividere conoscenza al servizio dei suoi stakeholder, dall’altra il grande bisogno di competenze sempre aggiornate in un panorama globale caratterizzato da evoluzioni rapidissime.

La ripartenza è prevista per settembre, quando il MIP tornerà a ospitare nelle proprie aule e nei propri spazi, in piena sicurezza, persone provenienti da tutto il mondo pronte a scambiarsi idee e punti di vista innovativi. La parola d’ordine, stavolta, sarà “Nice to MIP You”. Una riapertura che si porterà dietro anche il bagaglio di conoscenze e scoperte accumulato in questi ultimi mesi proprio grazie a KeepONLearning.

 

Essere imprenditori in un mondo interconnesso

Ne parliamo con Andrea Sianesi, Professore di gestione dei sistemi logistici e produttivi della School of Management
Presidente Esecutivo PoliHub, Innovation District e Startup Accelerator del Politecnico di Milano

 

Andrea, sei a capo di un incubatore, e quindi abbracci nuove idee imprenditoriali quando sono ancora nella culla. Che caratteristiche ha un buon imprenditore in questo momento storico?

Prima di tutto coraggio. E questa è la stessa risposta che avrei dato anche prima della crisi provocata da Covid-19. L’iniziativa imprenditoriale è un salto nel vuoto, e impegnare risorse e tempo per sviluppare idee richiede sangue freddo.
Oltre al coraggio, credo sia fondamentale la capacità di correggere i propri errori e far tesoro degli “inciampi” che capitano durante il percorso.

Do per scontato ovviamente la necessità di possedere conoscenze tecniche e tecnologiche che riguardano la propria impresa. L’imprenditore che passa per PoliHub, in genere, ha una solida competenza tecnologica, mentre si trova ad essere un po’ più debole sulle conoscenze legate al mondo del business. Per questo, l’imprenditore deve essere aperto a fare partnership con altre persone che possano portare all’impresa competenze complementari, come ad esempio la capacità di sviluppo del mercato, o la conoscenza del framework normativo di riferimento.
Bisogna sempre essere disponibili a farsi aiutare.

PoliHub è un incubatore universitario: perché serve l’università, e a cosa esattamente?

L’ecosistema universitario è un asset fondamentale per chi vuol fare impresa. In particolare, al Politecnico di Milano, garantiamo contemporaneamente accesso alla business school, agli hub di innovazione POLI.design e Cefriel, a migliaia di docenti e ricercatori, a laboratori che coprono tutte le discipline ingegneristiche e che sono fondamentali, ad esempio, nel processo di trasformazione di un’idea a prodotto.

E noi per questo motivo non siamo soltanto un luogo che ospita le start up: offriamo un contesto unico rispetto ad altri incubatori. Spesso, nelle start up deep tech, è necessario svolgere attività sperimentale in laboratori che di fatto si trovano solo in università, e ci sono imprese che, seguendo sviluppi tecnologici in diversi settori, hanno distaccato alcuni loro dipartimenti per venire a localizzarsi da noi. Questo consente loro di collaborare e interagire con le start up e allo stesso modo avere la stessa facilità di accesso all’hub nella sua interezza.

Questo fa la differenza e i numeri ce lo confermano. Faccio un esempio: PoliHub, assieme al TTO (Techology transfer office) del Politecnico di Milano, gestisce ogni anno Switch To Product, il programma che valorizza sul mercato soluzioni innovative, nuove tecnologie e idee di impresa proposte da studenti e laureati da un massimo di tre anni, ricercatori, alumni e docenti del Politecnico di Milano, offrendo risorse economiche e servizi consulenziali per supportare lo sviluppo dei progetti d’innovazione attraverso percorsi di validazione tecnologica e accelerazione imprenditoriale. Quest’anno la call ha avuto un incremento delle domande del 20%. Si tratta di una crescita molto significativa, che ci fa anche ben sperare nell’aumento di nuove imprese di successo.

Covid-19 ha ribaltato il tavolo, modificando i confini e gli ecosistemi di business; gli effetti potrebbero essere di breve o di lungo periodo, che cosa hai osservato in particolare a riguardo?

Negli ultimi mesi si è temuto che la pandemia potesse spazzare via il mondo delle start up, che sono impossibilitate ad accedere a forme di sussidio messe in campo per altre categorie imprenditoriali e professionali. Il problema è reale e contingente: le start up oggi si trovano in maggiore difficoltà rispetto a imprese già navigate, ma per il momento il sistema sta reggendo e sta dando anche segnali incoraggianti.

L’effetto inatteso è stato infatti un aumento della domanda di accesso ai servizi di incubazione. C’è una forte richiesta di entrare nel mondo imprenditoriale, forse dovuto anche alla presa di coscienza che ora più che mai è necessario sapersi rimettere in gioco, anche per coloro che hanno una carriera consolidata, creando nuove opportunità di reddito laddove venisse meno una stabilità lavorativa.

E l’incremento della domanda di servizi avviene non solo da parte di potenziali start up, ma anche di aziende già formate, che decidono di delocalizzarsi in uffici più piccoli e snelli situati accanto a centri di eccellenza. Una nuova tendenza forse facilitata anche dal diffondersi dello smart working, che rende di più facile gestione uffici piccoli rispetto a sedi più grandi.

Dipingi un quadro con diverse opportunità all’orizzonte. Quali sono quindi i programmi futuri di Polihub?

La sfida per noi rimane quella di trovare le risorse che possano accompagnare le start up dall’idea, e quindi dall’università, con il suo fermento e la disponibilità di risorse legate a progetti europei e grant, a fondi e investitori disponibili a sostenerle in tutta la fase della loro crescita.

Mi piace visualizzare il processo come l’attraversamento di una valle: le start up hanno bisogno di un “ponte” tra le due fasi, di un accompagnamento che permetta loro di avere le risorse necessarie per rendere la loro idea interessante per gli investitori.
E affinchè l’idea sia interessante necessita di due elementi: dimostrarsi solida e verificata dal punto di vista tecnico, e avere un mercato target a cui rivolgersi.

Spesso le prove tecniche richiedono già investimenti considerevoli e tempi lunghi: noi ci impegniamo per far sì che questo “ponte” sia efficace, e possibilmente breve, rispetto agli obiettivi.

Il nostro progetto per il futuro è quindi quello di lavorare certamente per reperire investitori istituzionali e venture capital, ma con un approccio di ampio respiro che contempli il contesto internazionale e non solo una esposizione domestica delle nostre start up.

Abbiamo intenzione di pensare in logica internazionale, non solo per quanto concerne la parte finanziaria, ma anche per quanto riguarda l’uso di tutti i possibili asset messi a disposizione dal network degli incubatori di eccellenza su scala mondiale.

Siamo certi che mettere a fattor comune queste capacità ci permetterà di fare davvero la differenza.

Disruption? No grazie. Innovazione e Leadership nel New Normal

Qualunque sia il futuro post-Covid, la nuova normalità richiederà un cambiamento fondamentale nella guida delle aziende. Che tipo di mentalità dovranno avere i leader per fare business e innovazione in un mondo che sarà completamente diverso? In un periodo in cui la tentazione sarà di essere sempre più competitivi a causa delle scarse risorse a disposizione, imparare a condividere può essere l’unica strategia in grado di garantire la sopravvivenza.

 

Roberto Verganti, Professore di Leadership and Innovation
School of Management Politecnico di Milano, Stockholm School of Economics e Harvard Business School

 

Molti manager si interrogano su un quesito fondamentale: come prepararsi alla “nuova normalità”? Come saranno i mercati quando l’ondata o le ondate principali della pandemia di Covid-19 si esauriranno? Come riprogettare prodotti, servizi e operatività per affrontare i. cambiamenti dello scenario?
La scadenza per ripensare il nostro modo di operare è sempre più vicina. Chi si prepara ora inizierà con il piede giusto. Chi aspetta sembrerà un dinosauro di un’altra era (anche se quell’era risale ad appena qualche mese fa).

Riviste, futuristi, consulenti, organizzazioni. Tutti cercano di immaginare come sarà il New Normal. E tutti sono d’accordo su due cose: in primo luogo, il mondo avrà un aspetto diverso rispetto a prima. In secondo luogo, questa trasformazione non sarà temporanea. Anche quando il Covid-19 sarà completamente sconfitto (e si spera lo sarà), il nostro atteggiamento verso la socializzazione, la nostra apertura verso il mondo, il nostro bisogno di salute (e l’ansia per le nuove infezioni), saranno radicalmente diversi, nel bene e nel male.

Eppure, mentre ci avviciniamo sempre più e esploriamo una nuova vita, i nuovi mercati, la nuova operatività, emerge la vera sfida: il fenomeno che stiamo affrontando è senza precedenti, così sproporzionato e rapido che è inverosimile poter cogliere l’essenza di ciò che accadrà. Un semplice numero per spiegare la rapidità e l’entità della discontinuità: nel marzo 2020 oltre 7 milioni di americani a settimana hanno presentato richiesta di sussidi di disoccupazione. Questo numero è quasi decuplicato rispetto a quanto accaduto durante la crisi finanziaria del 2008. Pertanto, a prescindere dalla perspicacia e dallo sforzo profuso per prevedere cosa accadrà, dobbiamo ammettere che la risposta alla domanda “come sarà il mondo?” è: nessuno lo sa veramente. Questo ci sgomenta, perché per come solitamente immaginiamo i leader (e gli esperti), supponiamo che sappiano sempre tutto. Eppure, in questo contesto, “fingere di sapere” è l’errore più tragico che si possa commettere.

Amy Edmondson illustra nel suo libro The Fearless Organization che quando una persona ammette di non sapere, essa apre le porte all’apprendimento. Per capire come fare business nella nuova normalità, l’atteggiamento mentale di cui abbiamo bisogno non è quindi indovinare come sarà, ma prepararsi ad imparare.

Come? Essendo il contesto completamente nuovo, non possiamo fare affidamento sulle esperienze passate. Dovremo imparare “in corsa” attraverso continui esperimenti e adattamenti. Ci sono due modi per sperimentare e imparare: competere (imparare da soli) o collaborare (imparare condividendo).

Imparare da soli. Questo è il classico modo di imparare. L’obiettivo è di imparare meglio degli avversari per poter superare la concorrenza. Con questo approccio, le aziende competono tra loro conducendo diversi esperimenti. L’apprendimento, in altre parole, è una leva di differenziazione. Ogni azienda prova le proprie idee, fallisce, impara, corregge il tiro e ripete. Dal momento che le aziende mirano a battere la concorrenza, non vorranno certo condividere i propri risultati e approfondimenti con altre aziende, né i dati che alimentano l’apprendimento. Ciò implica che ogni volta che un’azienda ha un’idea, essa deve studiarla e analizzarla affidandosi solo alle proprie risorse.

Imparare condividendo. Anche con questo approccio, le aziende conducono diversi esperimenti. Generano le proprie idee e ripetono. Tuttavia, condividono i dati e i risultati dei propri esperimenti. Perché? Perché in questo modo possono apprendere dalle prove degli altri player. Se un’idea è già stata testata e fallisce, altri possono evitare questo percorso poco promettente e concentrarsi su altre opzioni. E se l’idea ha successo, altri possono costruire su di essa, invece di partire tutti da zero. Naturalmente questo percorso riduce le distanze tra i concorrenti. Tuttavia, il vantaggio è che questo approccio richiede meno risorse (individuali e collettive) e meno tempo per trovare buone soluzioni. Questo aumento della produttività complessiva e della velocità facilita la crescita della domanda di soluzioni, il che alimenta i rendimenti per ogni player. In altre parole, questo meccanismo di apprendimento replica i meccanismi del dilemma del prigioniero: la cooperazione tra i player porta a rendimenti superiori di quelli che i player otterrebbero se massimizzassero i propri rendimenti individuali.

Imparare da soli è il tipo di apprendimento che è stato promosso nell’ultimo decennio da molti studiosi dell’innovazione ed esemplificato dal motto “fail often to succeed sooner”. Ha funzionato fintanto che l’ambiente è cambiato rapidamente ma in modo lineare, così che l’apprendimento proveniente da un esperimento potesse essere applicato a quello successivo senza che nel frattempo il contesto cambiasse drasticamente. Il cambiamento che stiamo affrontando ora con il Covid-19 è invece discontinuo e senza precedenti. Se in questo contesto ognuno conduce esperimenti da solo, non c’è tempo sufficiente per ciascun player di analizzare questo spazio inesplorato delle soluzioni e poi ripetere prima che il contesto si evolva di nuovo.

Per innovare nella nuova normalità dobbiamo imparare condividendo. Questa strategia è l’unica in grado di garantire sufficiente margine, velocità e produttività degli esperimenti. Infatti, la condivisione dei dati permette ad una più ampia comunità di player di partecipare agli esperimenti, includendo una gamma più eterogenea di contesti. E la condivisione dei risultati permette di evitare test improduttivi.

L’apprendimento attraverso la condivisione è già praticato nella ricerca scientifica legata al Covid-19. Per esempio, PostEra, una start-up con sede a Santa Clara, California e Londra, sta coordinando un grande progetto di collaborazione, Covid Moonshot, per sviluppare rapidamente farmaci anti-Covid efficaci e facili da produrre. L’obiettivo del progetto è quello di progettare gli inibitori della proteasi principale della SARS-CoV-2 (l’enzima che permette al virus di replicarsi). Il progetto fa leva sui dati condivisi da esperimenti condotti presso un laboratorio delle radiazioni da sincrotrone, Diamond Light Source, il quale ha identificato 80 frammenti di molecole che potrebbero legarsi alla proteasi. Una comunità di scienziati e produttori utilizza questi dati per progettare gli inibitori dei composti, i quali vengono sottoposti attraverso il sito web di PostEra. La start-up esegue poi gli algoritmi di machine learning in background per verificare la presenza di duplicazioni e dare priorità ai candidati per i test. Sono stati presentati più di 3.600 tipi di molecole con solo 32 duplicazioni nei progetti.

L’apprendimento condiviso si sta facendo strada anche nei profit business non collegati al Covid-19. Microsoft ha recentemente lanciato una campagna Open Data. Il movimento Open Data promuove la condivisione dei dati, analogamente a quanto fa Open Source con la condivisione del codice software. Microsoft svilupperà 20 nuove collaborazioni basate su dati condivisi entro il 2022, tra cui, ad esempio, la pubblicazione di un set di dati Microsoft sull’utilizzo della banda larga negli Stati Uniti.
Da notare che l’apprendimento condiviso non implica che player diversi collaborino sulla stessa idea o soluzione, come nei consorzi. Al contrario, le aziende analizzano idee ed esperimenti diversi. Questo permette di esplorare l’intero spazio delle soluzioni. Ciò che viene condiviso, invece, sono i dati che alimentano gli esperimenti, e/o gli approfondimenti e i risultati che essi generano.

L’apprendimento attraverso la condivisione si basa sulla volontà di cooperare. Il che non è facile da realizzare. Soprattutto in un periodo in cui le risorse a disposizione sono scarse. La tentazione è quella di guardarsi dentro e comportarsi in modo ancora più competitivo, per assicurarsi le poche cose rimaste, invece di concentrarsi, in modo collaborativo, sul costruire di più. Di che tipo di cultura e mentalità avranno bisogno i leader dell’innovazione per promuovere l’apprendimento attraverso la condivisione nelle proprie aziende?

Qualunque sarà il futuro, la nuova normalità richiederà un cambiamento fondamentale nel modo in cui creeremo innovazione e guideremo le nostre aziende. Mentre il mantra dell’innovazione dell’era pre-Covid era quello della “disruption” dei concorrenti, questo non è proprio il momento di fare disruption. Questo è piuttosto il momento di ricostruire collettivamente una nuova economia e un nuovo mondo. I veri eroi, nel business e nella società, non saranno i disruptors, ma quei catalizzatori che favoriranno una mentalità cooperativa. Il che, nell’innovazione, significa condividere i dati e gli insegnamenti degli esperimenti condotti da tutti. Le aziende dovranno provare diverse idee in competizione tra loro, ma potranno anche trarre vantaggio dalla condivisione dell’apprendimento, al fine di evitare strade poco promettenti, migliorare la produttività collettiva e costruire rapidamente una nuova società. Il Covid-19 è il momento della verità per i leader: ora possono dimostrare il proprio orientamento autentico a guidare le aziende con determinazione e significato.

Il futuro delle Business School tra innovazione e imprenditorialità

Il contesto in cui competono le business school di tutto il mondo è oggetto di una profonda e rapida trasformazione. La necessità di formazione manageriale sempre più specialistica, la competizione da parte di nuovi attori e, non ultima, la necessità di ridefinire il proprio contributo per la costruzione di un futuro più inclusivo e sostenibile, obbligano un ripensamento dei propri modelli operativi e di business.
Quali sono le trasformazioni da mettere in atto nell’ottica di una maggiore imprenditorialità e capacità innovativa delle business school?

 

Federico Frattini, Dean MIP-Graduate School of Business, Politecnico di Milano

Il contesto in cui competono le business school di tutto il mondo è oggetto di una profonda e rapida trasformazione, che determina la necessità di ripensare profondamente la sostenibilità del modello di business e del modello operativo “classici” delle business school.

Alcuni dei trend che si sono manifestati con più forza nel corso degli ultimi anni sono lo spostamento della domanda di formazione manageriale da programmi di “general management” a programmi “specialistici”, e una competizione sul mercato della formazione manageriale che si sta enormemente accentuando come conseguenza dell’ingresso di nuovi player. Da un lato infatti, le società di consulenza e di executive search stanno espandendo la loro offerta includendo servizi di formazione a sviluppo del capitale umano. Dall’altro, nuovi player “edtech” si stanno prepotentemente affacciando sul mercato della formazione, e i colossi globali della tecnologia (si pensi ad esempio a Microsoft, Google, Amazon) stanno sempre più seriamente considerando il mondo della formazione come una possibile nuova frontiera per sostenere i loro tassi di crescita.
La domanda di servizi di life-long learning sta crescendo rapidamente, anche per effetto della sempre più rapida obsolescenza delle competenze che vengono apprese nei percorsi di formazione manageriale “classici”; le attività extra-curriculari e quella che possiamo chiamare “campus life” stanno assumendo una crescente rilevanza nelle scelte degli studenti; infine, si rileva una “crisi” del valore sociale attribuito alle istituzioni accademiche, che stanno rapidamente perdendo reputazione, specialmente agli occhi delle generazioni più giovani.

Oltre a queste trasformazioni, ve ne sono altre che sono state profondamente accelerate dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus. Da un lato, le business school dovranno ridefinire il loro “purpose” e chiarire il contributo che intendono e sono in grado di dare nella costruzione di un futuro più inclusivo e sostenibile. Dall’altro, non potranno più ritardare l’avvio di un profondo processo di digitalizzazione dei loro processi e delle loro modalità ed approcci didattici.

Rispondere a queste sfide richiede un profondo ripensamento del modello di business delle business school. Alcuni dei cambiamenti più rilevanti che dovrebbero essere attentamente considerati dalla leadership delle business school in tutto il mondo sono i seguenti: da un focus sul trasferimento di competenze “disciplinari” a competenze “trasversali”, tra cui l’imprenditorialità, le digital skills, la sostenibilità, il critical thinking; da modelli di formazione “separata dalla pratica” a formazione “hands-on” e basata su una crescente contaminazione con la pratica manageriale ed imprenditoriale; da approcci alla formazione “uniformi per popolazioni omogenee di studenti”, a formazione “personalizzata”, in ottica “one-to-one”; da formazione “intermittente” e concentrata nel tempo, a formazione “on demand”, e continuamente mescolata all’attività professionale ed alla vita privata degli studenti; da formazione face-to-face vs. digitale, a modelli di formazione “omnicanale”; dal focus sulla produzione di conoscenza attraverso la ricerca ed il suo trasferimento attraverso il proprio portafoglio di prodotti formativi, alla ricerca ed integrazione della conoscenza disponibile al di fuori dei confini della business school (si pensi ad esempio alla disponibilità di contenuti di formazione di alta qualità sulle piattaforme MOOCs – Massive Online Open Courses).

Queste trasformazioni hanno una portata ed un potenziale impatto che spesso si scontrano con la cultura “burocratica” delle business school, con i processi di creazione di consenso che le contraddistinguono, e con i meccanismi di governance che spesso richiedono tempi di approvazione delle decisioni che male si sposano con le condizioni di contesto identificate in precedenza. Diventa quindi fondamentale per la leadership delle business school di tutto il mondo promuovere una trasformazione della cultura organizzativa, dei processi, delle competenze dello staff, e delle strutture organizzative nell’ottica di una maggiore imprenditorialità e capacità innovativa. Questo significa mutuare le soluzioni e gli approcci manageriali che le business school insegnano ai propri allievi ed applicarli nei propri modelli di gestione. Ad esempio, per gestire progetti di innovazione “radicali”, che richiedono profondi cambiamenti alle routine ed ai modelli operativi consolidati (si pensi, ad esempio, al lancio di piattaforme per la formazione a distanza, oppure di servizi di life-long learning abilitati dalle tecnologie digitali), molte business school stanno dando vita a degli spin-off per collocare questi progetti in un contesto organizzativo più agile e imprenditoriale. Molte business school stanno creando delle posizioni all’interno del loro staff di Chief Innovation Officer (CIO), che ha il compito di promuovere un processo di innovazione e trasformazione digitale continuo delle operations e dell’offerta. Si stanno sempre più diffondendo modelli di coopetition tra business school, con l’obiettivo di raggiungere una superiore massa critica e condividere i rischi ed i costi che progetti di innovazione radicale comportano (come ad esempio la messa a punto di innovativi Learning Management Systems).

Molte di queste trasformazioni richiederanno tempo per manifestarsi nel mondo delle business school, ma saranno fondamentali per sostenere la loro competitività nel tempo e garantirne la sopravvivenza.