Idee radicali? Trova un partner

La storia di Katalin Karikó e Drew Weissman, vincitori del Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina 2023 per le loro scoperte alla base dei vaccini a mRNA contro il Covid-19, offre importanti spunti a coloro che perseguono idee radicali. In un articolo su Harvard Business Review, Paola Bellis, Ricercatrice in Organizational Behavior and Leadership and Innovation, e Roberto Verganti, Professore di Leadership and Innovation, basandosi sulla loro intervista con Karikó spiegano perché le coppie possono essere più efficaci nell’innovare controcorrente e indicano come trovare un compagno  con cui intraprendere il viaggio.

 

Considera l’idea di avere un’idea non convenzionale, che metta in discussione i presupposti dominanti all’interno della tua organizzazione e del tuo settore. Come puoi svilupparla? Andare avanti da soli è difficile. D’altra parte, è improbabile che i singoli individui attraggano o dispongano di una squadra per perseguire un’idea considerata folle all’interno della loro organizzazione.

La ricerca di Paola Bellis e Roberto Verganti suggerisce che chi innova contro gli assunti dominanti in un settore, prospera quando trova un altro individuo con cui lavorare, ossia operando in coppia.

L’articolo “Got a Radical Idea at Work? Find a Partner”, pubblicato recentemente su Harvard Business Review, esplora perché e come una coppia può aiutare a sviluppare idee non ortodosse.

Oltre all’interpretazione della storia di Katalin Karikò e Drew Weissman – basata su un’intervista e altre fonti – lo studio si basa su oltre 30 interviste a coppie in tutto il mondo e sull’analisi di più di 60 casi celebri, come ad esempio Steve Jobs e Steve Wozniak per lo sviluppo del personal computer, Daniel Kahneman e Amos Tversky, J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis, solo per citarne alcuni.

Tra i fattori di successo delle coppie di innovatori emergono aspetti relazionali e comportamentali, come ad esempio il fatto che osare di condividere un’idea pazza è più facile nello spazio intimo del lavoro in coppia. Le coppie sono inoltre piu´ resistenti, rispetto ai team, di fronte ai momenti difficili tipici dell’innovazione radicale.

Per leggere l’articolo completo:
Got a Radical Idea at Work? Find a Partner” – Harvard Business Review

 

 

Cultura del dato e modello di leadership: due facce della stessa medaglia

Gli esperti dei dati diventano nodi fondamentali delle relazioni all’interno di un’organizzazione. Per questo la cultura del dato si porta dietro la necessità di rivedere i modelli organizzativi e di leadership

 

Filomena Canterino, Ricercatrice in People Management & Organization, School of Management, Politecnico di Milano

Gli esperti di data analytics, i cosiddetti data scientist e data analyst, sono da qualche anno tra le figure più ricercate dalle aziende, in tutti i settori, dalla manifattura all’education all’editoria. Il loro lavoro è raccogliere, strutturare, analizzare, interpretare e sintetizzare i dati, per trasformarli in informazioni utili per gli altri attori e decisori di un’organizzazione.

Molto spesso, questi ruoli sono nodi fondamentali all’interno dell’organizzazione, perché interagiscono con diverse funzioni e livelli, diventando un punto di riferimento che scavalca e in alcuni casi addirittura ribalta le gerarchie tradizionali. Gli esperti di dati infatti possono portare grande valore aggiunto in quasi tutte le diverse aree aziendali, dalla manutenzione alla strategia alla gestione delle risorse passando per il marketing. E nel farlo, si interfacciano con una moltitudine di diversi attori aziendali.
Pensiamo al tipico esempio di datification di un impianto produttivo, in cui un sistema di sensori è in grado di raccogliere in tempo reale e continuativo i dati relativi alle performance di produzione (ad esempio numero di pezzi prodotti, numero di scarti, durata degli stop, numero di guasti). Tramite l’analisi e l’elaborazione dei dati, e le informazioni che riesce ad estrapolare da essi, un data scientist o un data expert è in grado di dialogare in modo efficace sia con gli operatori, sia con i team leader, sia con i top manager. E’ in grado di dare voce alle macchine, ma anche alle persone che, avendo un’idea più completa e dettagliata delle performance e delle possibili aree di miglioramento, possono proporre nuove soluzioni e idee.

Altrettanto spesso, purtroppo, le persone che ricoprono questi ruoli vengono superficialmente etichettati come “nerd”, “geek”, o altri termini che alludono ad una certa confidenza ed interesse per le questioni analitiche e tecniche, e meno interesse o spigliatezza negli aspetti relazionali, interpersonali e di leadership.
Questa visione, oltre che essere limitata – pensiamo a quanti “nerd” possiamo enunciare tra i CEO e leader di grandi aziende di successo – è estremamente limitante.

Innanzitutto, perché fa riferimento ad una visione ormai obsoleta del concetto di leadership, ossia la leadership innata, eroica, che pone le sue fondamenta sul carisma “naturale”. Gli esperti di leadership e le aziende più all’avanguardia su questi temi sanno bene che leader non necessariamente si nasce, ma si può diventare – per alcuni con più fatica che per altri certo – semplicemente perché la leadership è caratterizzata da comportamenti, ossia da azioni che si possono praticare, allenare e migliorare, e non da tratti. Quindi, anche una persona con una spiccata predisposizione tecnica e analitica può certamente identificare e mettere in campo i comportamenti per interagire con gli altri e per guidare efficacemente un gruppo di lavoro.
Per di più, nel campo della ricerca accademica, in cui la rilevanza dei comportamenti più che dei tratti è cosa nota da svariati decenni, i più recenti studi ci mostrano come la leadership sia in realtà nella maggior parte dei casi un processo complesso, dinamico e condiviso, che nasce dall’interazione tra i diversi attori di un sistema. Se concepita in questo modo, si potrebbe quasi dire che possa essere più facilmente capita da chi si occupa di intercettare e interpretare flussi di dati, che da altri.

In secondo luogo, questo tipo di visione rende poco efficace la gestione dello sviluppo di queste figure all’interno delle organizzazioni, proprio perché accende i riflettori sulla parte sbagliata della scena, ossia sulle caratteristiche personali di chi ricopre uno specifico ruolo, piuttosto che sul modello di leadership dell’organizzazione.

Cosa fare quindi per mettere questi ruoli nelle condizioni di esprimere al meglio il loro potenziale e sviluppare le loro doti di leadership di contenuto e di processo?

Certamente diffondere un modello culturale che guardi alla leadership come qualcosa di condiviso e diffuso, che si basa su azioni e comportamenti, e sul concetto di accountability – per cui ogni singola persona o piccolo gruppo di lavoro è responsabile di una piccola parte del risultato. Tutto ciò può essere reso possibile sia da piani di formazione e sviluppo coerenti, che riguardino tutta l’organizzazione, sia dalle tecnologie digitali, che facilitano l’acquisizione e la condivisione di dati per informare le decisioni e accorciare di conseguenza le catene gerarchiche. Dati, accountability e leadership condivisa: un circolo virtuoso in cui i data expert possono essere veri protagonisti.

Federico Frattini ospite del X Leadership Learning Lab di Asfor

“Il tempo delle scelte. Responsabilità, iniziativa e coraggio della leadership”  è il titolo del X Leadership Learning Lab di Asfor, in diretta streaming giovedì 26 novembre, dalle 9.00 alle 13.30. Nel corso dell’evento, ospitato in modalità virtuale da AFORISMA School of Management, interverranno anche l’economista Tito Boeri, il direttore generale del Censis Massimiliano  Valerii ed Enrico Letta, Dean della Paris School of International Affairs. E ancora, l’imprenditore Ali Reza Arabnia, il presidente della Fondazione Crui  Alberto Felice De Toni e Raoul Claudio Nacamulli, Università degli Studi di Milano Bicocca. In chiusura, un dialogo con la scienziata Ilaria Capua sul tema “La pandemia e il dopo”.

Non è più tempo di prendere tempo. La pandemia ha messo a nudo problematiche economiche, sociali, culturali e organizzative che affliggono il nostro paese da anni e che occorre risolvere ora. Assumendo la responsabilità di scelte non più rinviabili perché troppo a lungo rinviate.

Da questa constatazione prende le mosse la decima edizione del Leadership Learning Lab promosso da Asfor – Associazione Italiana per la Formazione Manageriale giovedì 26 novembre e intitolato “Il tempo delle scelte. Responsabilità, iniziativa e coraggio della leadership”. La diretta streaming, che andrà in onda dalle 9.00 alle 13.30, è ospitata sulla piattaforma digitale di AFORISMA School of Management, associato Asfor.

Partendo dalla riflessione sui cambiamenti indotti dall’emergenza Covid, l’evento esplora le complessità e le sfide che investono quanti, a tutti i livelli e in tutti i contesti, assumono responsabilità decisionali. L’appuntamento si rivolge infatti ai vertici e al management delle aziende private e pubbliche, ai professionisti della formazione, alle università e alle business school che sviluppano programmi executive sulle tematiche della leadership e dell’innovazione. Lo fa con la guida di ospiti prestigiosi, interpreti attenti della realtà in cui viviamo: l’economista Tito Boeri e il Direttore Generale del Censis, Massimiliano Valerii;

Enrico Letta, Dean della Paris School of International Affairs, e l’imprenditore Ali Reza Arabnia, Group Chairman e CEO di Gecofin. E ancora, Alberto Felice De Toni, Presidente della Fondazione Crui e Direttore Scientifico di Cuoa Business School; Federico Frattini, Dean del Mip – Politecnico di Milano Graduate Business School; Raoul Claudio Nacamulli, docente di Organizzazione aziendale presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca.In chiusura, un dialogo con la scienziata Ilaria Capua sul tema “La pandemia e il dopo”. La virologa italiana, direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, ci aiuterà a capire meglio la fase che stiamo attraversando e quelle che verranno, fino all’auspicabile superamento dell’emergenza.

Afferma il presidente di Asfor, Marco Vergeat: “Come ogni anno, il Leadership Learning Lab di Asfor inquadra, nella maniera più ampia possibile, i temi e le dinamiche sociali più rilevanti della realtà contemporanea. Con l’intenzione di far emergere prospettive, approcci e soluzioni da cui ogni leader possa trarre ispirazione per interpretare il proprio contesto di riferimento, dando significato e direzione alla propria azione manageriale. Occorre mettere a fuoco nuove visioni del mondo in cui viviamo, nuove idee di società, di democrazia e anche di impresa”.

Nel corso dell’evento sarà presentato il Manifesto sulla formazione manageriale elaborato da Asfor in collaborazione con Apaform – Associazione Professionale Asfor dei Formatori di Management.

“La formazione manageriale potrà avere un ruolo primario nel rilancio del paese se saprà indicare valori, strategie e strumenti capaci di mettere a frutto il potenziale evolutivo che ogni crisi racchiude in sé. Nulla sarà più come prima, lo sappiamo, ma non è affatto detto che il cambiamento sia in meglio: molto dipende dalla nostra capacità di trovare le strade che portano a un vero progresso e di percorrerle con determinazione”, conclude Vergeat. Media partner dell’evento, “La Gazzetta del Mezzogiorno” e “FormaFuturi”, il magazine di cultura manageriale promosso da Asfor insieme ad Apaform –Associazione Professionale ASFOR dei Formatori di Management. Trovi FormaFuturi su: www.formafuturi.news.

La partecipazione è gratuita previa registrazione obbligatoria: https://it.surveymonkey.com/r/LearningLabASFOR2020  

Progettare l’innovazione: l’esperienza di IDeaLs – Innovation and Design as Leadership

Il mondo della gestione dell’innovazione è in continuo cambiamento, e molteplici imprese in tutto il mondo sono alla ricerca di nuovi modelli e metodologie a supporto dello sviluppo di nuovi prodotti e servizi. Con l’avvento di tecnologie digitali quali anche l’Intelligenza Artificiale, il ruolo delle persone nei processi di innovazione è sempre più in discussione.

IDeaLs nasce per esplorare come le aziende possano realizzare prodotti e servizi innovativi attraverso attività di co-Design e forme di Leadership diffusa.

Fondata dal Politecnico di Milano e dal Center for Creative Leadership, IDeaLs è una piattaforma di ricerca che unisce l’ambito accademico e professionale per scoprire nuovi metodi per coinvolgere le persone in attività di progettazione collaborativa per fare sì che l’innovazione accada.

Negli ultimi due anni, IDeaLs ha collaborato con nove organizzazioni internazionali attive in diversi settori, dai servizi di pubblica utilità ai fornitori di servizi logistici, organizzazioni sanitarie e abbigliamento sportivo.

Per ogni organizzazione che aderisce alla piattaforma, un team centrale di 2-3 manager pone una sfida di innovazione al team di ricerca. Tramite un progetto della durata approssimativa di 6 mesi, ogni sfida viene analizzata e più workshop eseguiti con l’organizzazione partner. Alla fine del periodo, i risultati della ricerca e l’impatto nell’organizzazione vengono condivisi tra tutti i partner in un evento finale collettivo.

In linea con le richieste mosse dai manager, IDeaLs mira a sviluppare nuovi strumenti e metodologie a supporto delle organizzazioni durante i processi di trasformazione organizzativa. Negli ultimi anni, IDeaLs ha sviluppato un’esperienza di “creazione di storie“: è stata organizzata una serie di workshop in cui i partecipanti hanno progettato la propria storia di trasformazione su briefing da parte dei manager, una roadmap per il cambiamento sia individuale che collettivo. Questa esperienza ha avuto un effetto positivo su tutte le organizzazioni partner: in primo luogo, ogni partecipante si è impegnato in tre azioni concrete da compiere, risultando in media in 120 passi autonomi verso la destinazione delineata dai manager. In secondo luogo, i workshop hanno aumentato l’engagement verso l’innovazione, che è stato costantemente monitorato dal team di ricerca.

In definitiva, IDeaLs rappresenta una comunità di “leader dell’innovazione“, che discutono argomenti rilevanti su tematiche di leadership e innovazione, oltre a conoscere i casi di studio delle altre aziende. Vengono organizzati tre eventi annuali in cui i membri discutono le loro intuizioni, condividono storie di successo e discutono gli approcci di ciascuna organizzazione all’innovazione.

In qualità di fondatore della piattaforma, la School of Management contribuisce sia allo sviluppo dei progetti presso i partner che alle attività di ricerca.

In primo luogo, le attività sono legate alla progettazione di nuovi metodi e strumenti per favorire la collaborazione tra individui in un contesto innovativo. Inoltre, la piattaforma mira a dare un contributo metodologico, in termini di sviluppo di strumenti di misurazione che consentano di valutare la disponibilità strategica di un’organizzazione a perseguire una direzione innovativa.

Dal punto di vista accademico, il team é coinvolto nella progettazione delle direzioni di ricerca e sta attualmente sviluppando tre programmi di dottorato relativi alla piattaforma. La School of Management è inoltre responsabile della diffusione delle conoscenze acquisite attraverso un booklet annuale che descrive i progetti svolti in collaborazione con i partner, presentando inoltre i risultati teorici a conferenze internazionali e pubblicando gli stessi su riviste accademiche.

Quando si tratta di noi come individui, siamo spesso sopraffatti dalle innovazioni e sappiamo molto bene che il problema va ben oltre il processo che applichiamo per realizzarle. Il mondo dell’innovazione era così concentrato sulla ricerca del processo di innovazione perfetto, ma ha dimenticato le persone che lo gestiscono“.[1] IDeaLs mira a riportare la persona al centro, come motore di innovazione organizzativa.

Il team di ricerca
http://www.ideals.polimi.it/
Direttori Scientifici: prof. Roberto Verganti; Prof. Tommaso Buganza; Joseph Press, Ph.D.
Team di ricerca: Paola Bellis; Silvia Magnanini; Daniel Trabucchi, Ph.D.; Federico P. Zasa

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[1] Fonte: IDeaLs Booklet 2019

Leadership Experiential Path: sviluppare le soft skill indispensabili ai leader di domani

Il Leadership Experiential Path è l’esclusivo programma di sviluppo delle soft skill rivolto a candidati MBA e EMBA, che mira a costruire le basi del comportamento organizzativo e dello sviluppo personale.

A tal fine vengono, infatti, organizzati Outdoor Experience, Organizational BehaviourVirtual Team Learning e incontri di Practising Leadership con l’obiettivo di apprendere e applicare concetti innovativi di leadership grazie al supporto di una Faculty riconosciuta a livello internazionale e grazie alla voce di manager e professionisti di imprese leader.

Attraverso le testimonianze di speaker d’eccezione, infatti, il programma favorisce lo sviluppo personale delle key capabilities di cui i leader di domani non possono fare a meno.

I nostri candidati hanno iniziato, nel 2019, un percorso che li ha messi in diretto contatto con figure professionali fortemente ispiranti e che oggi continua, nonostante l’attuale situazione di emergenza, attraverso i canali digitali.

La formazione non si ferma al MIP e neanche il Leadership Experiential Path.

Tra le personalità che sono intervenute o interverranno all’interno del programma troviamo:

  • Arrigo Berni, Independent Management Consultant (Leading with purpose)
  • Davide Paganoni, Group Director Edmond de Rothschild (Storytelling to enhance leadership, culture, branding and sales)
  •  Bernadette Bevacqua, President Henkel italy & General Manager at Henkel Beauty Care Retail (How to manage corporate social responsibility leadership during an internationalization strategy)
  • Enrico Sola, Event Manager McKinsey (Impactful Communication. From synthesis to public speaking)
  • David Bevilacqua, Co-Founder Yoroi – Past CEO Cisco Italy and Vice President Europe at Cisco.

 

 

Il leader alla prova delle soft skill

Nella vita delle aziende, la fusione rappresenta una delle fasi più delicate. È il momento in cui due entità con culture, storie, stili di leadership differenti si incontrano. Un processo che va pianificato e gestito con attenzione, ponendosi l’obiettivo di dare vita a una nuova cultura aziendale condivisa. Solo in questo modo un’integrazione può considerarsi davvero riuscita. Sergio Gonella, Culture and People Development & Recruiting Director di Wind Tre, azienda nata alla fine del 2016 dalla più grande fusione Europea nelle Telecomunicazioni, quella tra Wind Telecomunicazioni e H3G, questo percorso l’ha seguito in prima persona e lo ha raccontato agli studenti dell’Executive MBA della School of Management del Politecnico di Milano all’interno del ciclo “A point of view on Leadership”: «Abbiamo lavorato due anni per realizzare al meglio questa integrazione e, fin da subito, è parso evidente che le sfide maggiori non le avremmo affrontate solo a livello tecnologico o di business. Era fondamentale concentrarsi sulle persone. Così abbiamo deciso di coinvolgerle, attraverso un ampio cantiere di iniziative in cui le soft skill hanno giocato un ruolo preponderante».

I tre pilastri della leadership

Queste iniziative includevano «attività di ascolto come le engagement survey, attività di coinvolgimento attraverso communities, iniziative dedicate al welfare, allo sviluppo, al learning e alla gestione delle performance». Una strategia che è valsa sin da subito a Wind Tre la certificazione di Top Employer, e che ha preso ispirazione da un nuovo modello di leadership, definito anche in questo caso dal coinvolgimento delle persone scelte per guidare la nuova azienda. «Grazie alle interviste e ai focus group che hanno coinvolto i manager», spiega Gonella, «abbiamo individuato i tre pilastri che costituiscono il modello di leadership di Wind Tre: self, people e business».
Per quanto riguarda l’ambito self, «il leader deve dimostrare doti di stabilità, imprenditorialità e esemplarità». Caratteristiche interne che però devono essere poi tradotte all’esterno, ossia portate verso il team. «I nostri leader devono motivare i propri collaboratori e dar loro fiducia, permettere loro di esprimersi liberamente e in maniera costruttiva e stimolare la crescita di un network di relazioni interno ed esterno all’azienda», continua Gonella. Tutti elementi dove la padronanza delle soft skill è centrale.
L’approccio costruttivo della leadership si riflette anche sul business: «Su questo versante, le nostre priorità sono la generazione di valore, un forte orientamento al cliente e un’attitudine all’esplorazione e alla continua innovazione».

Osservare, imparare, innovare

La centralità attribuita alle soft skill è coerente con le trasformazioni del contesto globale, che vedranno mutare profondamente la gerarchia delle competenze lavorative richieste. È lo stesso Gonella a spiegarlo, citando il Future of Jobs Report stilato dal World Economic Forum nel 2018: «Se mettiamo a confronto le skill più richieste nel 2018 con quelle che lo saranno maggiormente nel 2022, possiamo notare non solo che queste ultime sono tutte competenze soft, ma che le capacità di apprendere, la creatività, l’originalità, assumeranno un ruolo preponderante». Questo perché si prevede che nel 2022 i ritmi dell’innovazione e del mutamento degli scenari saranno ancora più rapidi rispetto al presente. «La capacità di imparare, ma anche quella di sapere imparare, mettendo in atto delle strategie definite, diventerà persino più importante dell’onnipresente problem solving. Il leader del futuro dovrà essere in grado di analizzare le criticità pensando sempre a soluzioni innovative. E, per farlo, dovrà mettere in campo tutta le sue capacità di apprendimento», conclude Gonella.

A Point of view on Leadership

Obiettivi definiti e una spiccata intelligenza emotiva. Sono questi, secondo Lorenzo Wittum, amministratore delegato di AstraZeneca Italia, i due pilastri su cui i manager devono costruire il proprio successo. Una certezza che deriva da anni di esperienze personali, le stesse che Wittum ha raccontato in aula agli Executive MBA del MIP Politecnico di Milano. «La pressione senza direzione genera solo agitazione – ha spiegato Wittum –. Le aziende sono orientate al risultato, e per ottenerlo è fondamentale una strategia chiara e precisa, specialmente se ci si ritrova a gestire team di centinaia di persone. Il gruppo di lavoro deve sapere qual è l’obiettivo finale. Per questo è importante che il leader sia in grado di comunicarlo correttamente e con efficacia».

In un contesto simile, le soft skill diventano più determinanti di quelle hard, che però non vanno sottovalutate: «Sono entrato nel mondo del lavoro anch’io grazie a un MBA in Business Administration e Management, senza il quale oggi probabilmente non sarei qui. Ho iniziato il mio percorso lavorativo mettendo a frutto le competenze hard frutto degli anni di studio, e nel frattempo ho potuto sviluppare le capacità empatiche e comunicative, che per un leader sono fondamentali», ha raccontato Wittum.

Sarebbe difficile, infatti, definire come un buon leader una persona non in grado di coinvolgere e motivare i propri collaboratori. «Bisogna saper parlare chiaro: definire le aspettative, il livello di sfida, le opportunità e i rischi. Poche cose sono coinvolgenti come la possibilità di lavorare sulla crescita personale, sia la propria che quella dei colleghi».

Le soft skill, inoltre, a differenza di quelle hard che spesso riguardano alcuni ambiti specifici, possono essere impiegate trasversalmente a tutti i settori lavorativi. «Il business, quale che sia il settore, si fonda sempre sugli stessi principi. A fare la differenza, però, sono sempre gli stessi elementi: il coinvolgimento delle persone, una direzione strategica chiara e la motivazione. Fattori ancora più importanti se pensiamo che, all’interno di un’organizzazione, ci sono molti progetti che coinvolgono alte professionalità provenienti da funzioni aziendali differenti: quando, come in questo caso, si guida un “superteam” di esperti che rispondono ad altre gerarchie aziendali, più che di leadership si parla di lateral influence», ha spiegato Wittum.

Spetta proprio al leader, infatti, creare le condizioni adeguate per stimolare la cooperazione: «In questo, aiuta moltissimo una qualità che ho sviluppato durante il master: quella dell’umiltà che va intesa come la capacità di essere trasparenti, di saper riconoscere quando un’idea altrui è migliore della propria. È questo atteggiamento a generare il coinvolgimento».

Il ruolo del leader, ovviamente, cambia molto rispetto alle dimensioni del team. «Quando guidavo team più piccoli amavo lavorare sempre sul campo e dare l’esempio. Messo alla guida di un gruppo più grande, mi sono reso conto che quell’approccio generava una complessità controproducente. Così ho capito che per coinvolgere e motivare non un team ma un’intera azienda dovevo prima di tutto essere riconosciuto come leader, al di là del ruolo che occupo, dalle figure di riferimento delle varie funzioni aziendali».

L’ad di AstraZeneca Italia ha infine rimarcato l’importanza di un master nel percorso formativo del singolo: «A patto, però, di avere pazienza e di considerare la carriera in un’ottica costruttiva. Non è una serie di sprint da 100 metri, ma è molto più simile a una maratona. È importante sapere che cosa si vuol fare da grandi, ma non per questo bisogna aspettarsi di trovare il lavoro desiderato fin dal primo istante. È un percorso di crescita che richiede, anche in questo caso, un obiettivo chiaro e grandi capacità di resilienza».

Il manager di oggi (e di domani)

Il mercato del lavoro del prossimo futuro passerà attraverso manager aperti al cambiamento e capaci di evolversi. La quarta rivoluzione industriale, ovvero la presenza della tecnologia in numerose attività prima svolte esclusivamente dall’uomo, minaccia alcune figure professionali, promette di crearne delle nuove, e richiede uno sforzo di adattamento a tutti, in particolare a chi riveste ruoli decisionali.

Quella del manager è una delle professioni che ha meno da temere dai cambiamenti in atto, e anzi assume un ruolo sempre più centrale. Ma proprio per questo i manager hanno più degli altri bisogno di aggiornare le proprie competenze in base alla continua evoluzione degli scenari. Quell’evoluzione che sono chiamati a interpretare e gestire.

Il Future of Jobs Report 2018, pubblicato dal World Economic Forum, indica le professioni legate al ragionamento e alla presa di decisioni, e quelle legate al coordinamento, allo sviluppo, alla gestione e alla consulenza, come le due categorie in cui il rapporto fra ore lavorate da umani e da macchine resterà più decisamente a vantaggio dei primi. Ma nel medesimo report si sottolinea anche che entro il 2022, a non meno del 54% dei manager verrà richiesto un re-skilling e upskilling significativo. Molte delle aziende intervistate hanno dichiarato la loro intenzione di concentrare i loro sforzi di aggiornamento delle competenze sui dipendenti che ricoprono ruoli ad alto valore aggiunto.

Il manager del futuro, chiamato a operare in una società complessa che cambia continuamente e a ritmi molto rapidi, necessita da un lato di hard skill sempre nuove, soprattutto in ambito tecnologico, e dall’altro di soft skills come il pensiero analitico, la resilienza, la creatività, l’intelligenza emotiva, la flessibilità. Se n’è parlato anche nella tavola rotonda “Human skills and drivers for change”, tenutasi lo scorso 2 febbraio presso il MIP Politecnico di Milano nel corso del primo EMBA Day 2019 (l’evento fa parte del ciclo “Practising Leadership”, il cui prossimo appuntamento è previsto il 6 marzo sul tema “Empower your career”). In quella occasione, Pino Mercuri, Direttore delle Risorse Umane di Microsoft Italia, si è soffermato fra l’altro sul tema dell’obsolescenza delle competenze nell’IT. “Una competenza ingegneristica o tecnologica media ha una shelf life tra i 24 e i 48 mesi – ha dichiarato Mercuri –. Non abbiamo però chiarezza totale e completa delle competenze che saranno necessarie nel prossimo futuro. Parliamo di Machine Learning, di AI, di IoT, ma spesso sono più delle password che non dei reali concetti”.

A fronte di questa crescente instabilità delle competenze richieste, assumono sempre più importanza la capacità di apprendere e la motivazione a farlo lungo tutto l’arco della vita lavorativa. “In Microsoft abbiamo cercato di mettere tutti in condizioni di capire che apprendere non solo è necessario ma è anche un elemento di valutazione – ha proseguito Mercuri –. Nel nostro sistema di performance management chiediamo di dichiarare cosa si intende fare per crescere e apprendere, e la risposta a quella domanda viene verificata nel successivo step di valutazione”.

L’head hunter Jacopo Pasetti, anch’egli presente all’incontro, ha posto l’attenzione su due concetti, consapevolezza e passione: “La consapevolezza va intesa come comprensione del nostro percorso professionale e di quello che ci piace davvero. È necessaria perché l’aggiornamento continuo richiesto dalla veloce evoluzione delle competenze non venga percepito come un peso. Perciò bisogna scegliere il proprio percorso di carriera non in base alle mode del momento ma seguendo le proprie passioni, oltre a una strategia chiara”.

L’importanza delle soft skill non deve però portare a trascurare le hard skill. “Siamo in un momento storico in cui stanno cercando di convincerci che la competenza e la cultura non siano poi così importanti – ha sottolineato Fulvia Fiaschetti, Global Talent Acquisition Associate Director di Amplifon –. Io credo invece che il mondo delle aziende con grande forza si opponga a questo tipo di pensiero”. La competenza tecnica, secondo la manager, è richiesta soprattutto all’ingresso in azienda, mentre le soft skill si formano dopo e servono a compiere passi ulteriori. Comunicazione, empatia, forward thinking sono competenze che non si apprendono sui libri.

La necessità di imparare in fretta porta poi alla diffusione di una cultura dell’errore, intesa come invito a osare e a sperimentare continuamente, utilizzando anche i fallimenti come modalità di apprendimento. “L’errore non solo è possibile ma è necessario per acquistare sempre più competenze – ha fatto notare ancora Pino Mercuri –. Se si sta sbagliando, è probabilmente perché si sta cercando davvero di innovare”.