Microsoft e MIP insieme per formare consulenti junior in 8 settimane. E le aziende partner assumeranno chi ottiene la certificazione finale

 

Microsoft Dynamics 365 Fast On-board è un programma erogato da Microsoft Italia in partnership con la Business School del Politecnico di Milano che trasforma giovani con formazione tecnico-scientifica in professionisti in grado di essere inseriti su progetti di consulenza, colmando il gap tra le loro conoscenze e le professionalità richieste dal mercato sui temi della trasformazione digitale. 

Un programma di formazione manageriale e tecnologica di 8 settimane per neolaureati o laureandi in facoltà tecnico-scientifiche tra i 21 e i 29 anni, un’opportunità formativa e di inquadramento professionale davvero unica che vuole integrare le conoscenze acquisite in Università con le competenze richieste oggi dal mercato in materia di innovazione digitale, così da trasformare gli allievi in professionisti junior in grado di essere direttamente inseriti dalle imprese partner di Microsoft su progetti di consulenza.

Si tratta di Microsoft Dynamics 365 Fast On-board ed è il progetto realizzato da MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business, in collaborazione con Microsoft, rivolto a giovani in possesso di una laurea triennale (o in procinto di ottenere la magistrale) in Informatica, Ingegneria, Fisica, Matematica, Statistica e facoltà equivalenti, con una buona conoscenza della lingua inglese.

La partecipazione al percorso formativo è gratuita per i candidati selezionati dalle aziende poiché il costo dell’iniziativa formativa (se si escludono gli eventuali costi di vitto e alloggio a Milano) sarà a carico delle aziende che collaborano con Microsoft e che sono protagoniste nel mondo della consulenza e della trasformazione digitale tra le quali ABS (on the web), Agic Tech, Alterna, Avanade, Capgemini, Cegeka, Cluster Reply, Concert, EY, Microsys, Würth Phoenix. I candidati che non trovano riscontro positivo nei colloqui con le aziende possono comunque partecipare al percorso formativo pagandolo autonomamente.

A conclusione del programma, dal 16 settembre al 9 novembre, chi avrà ottenuto la certificazione Microsoft Dynamics 365 sarà assunto in una delle aziende che partecipano al programma.

Entrando meglio nella struttura del progetto, si tratta di un percorso misto di studio in aula e studio autonomo dei candidati che utilizzeranno la piattaforma di digital learning del MIP seguiti da tutor specializzati. La prima settimana sarà unica per tutti i partecipanti e servirà ad acquisire le competenze fondamentali relative ai temi base di general management, tra cui Strategy, Organization Design & Business Process Management, Project Management, Operations & Supply Chain Management (SCM), Marketing, Finance and Sales Management.
Dalla seconda settimana partiranno tre percorsi paralleli specifici di formazione tematica in base al profilo professionale scelto: Marketing & Sales Management, Finance oppure Operations & SCM. Il percorso in aula durerà tre settimane una erogata dal MIP e due di docenza tecnica erogate dalle società di consulenza partner di Microsoft.

Seguiranno poi tre settimane di studio individuale per prepararsi all’esame, finalizzate all’ottenimento della certificazione Microsoft, durante le quali i candidati potranno servirsi dei contenuti della piattaforma di digital learning del MIP In questo periodo, due volte alla settimana si potrà contare su tutor disponibili per incontri online della durata di 1 ora, così da ottenere il supporto e i chiarimenti necessari.

Il venerdì della sesta settimana si terrà l’esame di certificazione nei Training Center delle società partner, con possibilità di ri-sostenerlo il venerdì successivo qualora non lo si superi subito.
Infine, per coloro che avranno ottenuto la certificazione, l’ottava settimana sarà dedicata a un Bootcamp in Microsoft House, con docenza di Microsoft, su temi verticali quali PowerBI-Power App, Iot, Machine Learning, Azure Fundamentals, M365 e Project.

Secondo una recente indagine di IDC, il mercato italiano delle applicazioni business sta evolvendo con ritmi dinamici, registrando un tasso di crescita medio annuo del 21% sia dell’ERP su Cloud, sia del CRM su Cloud, che insieme supereranno un valore di 1 miliardo di Euro entro il 2022. Tuttavia, la carenza di professionisti con le giuste competenze potrebbe rallentare il percorso di crescita delle realtà italiane, che considerano le business application elementi cruciali per rispondere alle principali esigenze di business. È quindi fondamentale continuare a puntare sulla formazione: nell’ambito della più ampia iniziativa Ambizione Italia, Microsoft ha già coinvolto in attività di formazione online e d’aula su ERP e CRM 9.000 persone nell’ultimo semestre e s’impegna a formare nel prossimo biennio 2.000 risorse qualificate ed esperte di Sistemi Gestionali e CRM. È in questa cornice che si inserisce la nuova academy Microsoft Dynamics 365 Fast On-board, che ha l’obiettivo di preparare i giovani ai lavori del futuro”, ha commentato Claudia Angelelli, One Commercial Partner Technology Lead, di Microsoft Italia.

Crediamo molto in questo progetto come in tutte quelle iniziative su cui ci stiamo impegnando e che sono volte a diffondere la cultura dell’innovazione digitale nel nostro Paese – commenta Federico Frattini, Associate Dean for Digital Transformation del MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business -. Come Business School di una grande Università tecnica ci proponiamo di combinare ed integrare competenze manageriali e tecnologiche progettando ed erogando programmi di formazione attraverso cui essere tra i protagonisti dell’innovazione in Italia”.

 

Flessibilità, tecnologia, responsabilità. Lo smart working è il futuro

La parola del momento? Smart, senza dubbio. In tasca o in borsa abbiamo tutti uno smartphone, se parliamo di futuro abbiamo in mente la smart city e, quando affrontiamo il tema del lavoro, ci imbattiamo nello smart working.

Il Politecnico di Milano già 10 anni fa, quando si iniziava a parlare di “lavoro agile” e “flexible work”, ha affrontato uno studio specifico sull’argomento arrivando alla definizione di un modello “etichettato” smart working, che supera il concetto di telelavoro con il quale spesso, erroneamente, viene fatto coincidere. «Il “lavoro agile” nasce in un’ottica di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa, in particolare in un ambito di pari opportunità, mentre lo smart working si occupa dei modelli organizzativi e delle modifiche relative dettate dalle nuove tecnologie – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Hr Innovation Practice e dell’Osservatorio Smart Working e docente di Leadership AND Innovation alla School of Management del Politecnico di Milano –. Lo smart working è un modello di organizzazione del lavoro che si basa sulla maggiore autonomia del lavoratore che, sfruttando appieno le opportunità della tecnologia, ridefinisce orari, luoghi e in parte strumenti della propria professione. È un concetto articolato, che si basa su un pensiero critico che restituisce al lavoratore l’autonomia in cambio di una responsabilizzazione sui risultati, mentre il telelavoro comporta dei vincoli ed è sottoposto a controlli sugli adempimenti».

Compreso nella sua essenza, lo smart working, superando per la prima volta la barriera tra lavoro autonomo e subordinato, è stato inserito nel Jobs Act come misura di miglioramento dell’efficienza delle aziende e non come misura di conciliazione fra lavoro e vita privata, anche se un evidente vantaggio per il lavoratore c’è, per esempio nella limitazione degli spostamenti.

Ma è possibile applicare concretamente lo smart working a tutti gli ambiti? «Chiaramente ha i suoi migliori sviluppi in ambito di information work, lavoro impiegatizio e informatizzato, ma anche la manifattura oggi rivela ampie possibilità di applicazione dei principi di autonomia e responsabilità – risponde Mariano Corso –. Inoltre, al momento, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico, circa il 60% delle aziende medio-grandi nel nostro Paese ha introdotto iniziative di smart working, mentre il fenomeno appare molto ridotto nel mondo della piccola impresa a causa di un ritardo di natura culturale-manageriale. Lo smart working presuppone un nuovo stile di leadership con manager maturi in grado di programmare le attività, controllare i risultati e dare feedback. Va introdotto lavorando sulle policy organizzative e sulla corretta riprogrammazione della tecnologia disponibile e la logica degli spazi fisici».

Parlando di smart working, il pensiero va immediatamente a Paesi più avanzati del nostro nell’organizzazione del lavoro, come quelli scandinavi. È corretto? «A livello internazionale riscontriamo molti concetti legati a quello che noi etichettiamo come smart working, che però in molti casi, soprattutto nel Nord Europa, hanno origine più nel mondo della conciliazione che nell’aumento della competitività – risponde Mariano Corso –. In questo senso, Regno Unito e Paesi Bassi hanno adottato una normativa molto spinta e cogente nei confronti delle imprese. Poi abbiamo Paesi che presentano per tradizione un elevato grado di flessibilità nel mondo del lavoro e una notevole diffusione di telelavoro, come Svezia, Norvegia, Danimarca e Repubblica Ceca. Qualcosa di più simile allo smart working lo individuiamo in Belgio, però anche in questo caso non siamo di fronte al quadro normativo italiano, in cui, con una portata rivoluzionaria, riscontriamo il superamento di molte rigidità del lavoro subordinato».

Lo smart working fa bene al mondo del lavoro, ma non solo. Si inquadra in un fondamentale e auspicabile processo di transizione verso una politica di attenzione all’ambiente. Uno dei concetti di base dello smart working, così come della smart city, è infatti l’ottimale utilizzo delle risorse e degli spazi. Oltre a limitare gli spostamenti con una conseguente riduzione delle emissioni di CO2, lo smart working riesce a dare risposte emergenziali, dalla riduzione dello spopolamento di alcune aree del Trentino alla riorganizzazione del lavoro nel comune di Genova a seguito del crollo del ponte Morandi.

Il Team della School of Management vince la Global Student Challenge 2019

Raffaello Barri, Alberto Midali, Andrea Napolitano e Alessio Pedrazzoli, studenti della Laurea Magistrale in Management Engineering, hanno vinto la finale mondiale della Global Student Challenge, la più importante competizione studentesca internazionale di Supply-Chain Finance.
Ogni anno la Challenge preseleziona team di studenti da Business School e Università di tutto il mondo e le fa sfidare simulando la direzione di un’azienda alla ricerca del “Top Talent in Supply Chain Management and Finance”. Nella settimana della finale, che si è svolta dal 28 aprile al 3 maggio 2019 alla Windesheim University of Applied Sciences nei Paesi Bassi, il team della School of Management si è classificata prima su 27 squadre presenti, con studenti provenienti da 15 paesi e di 24 nazionalità diverse, aggiudicandosi una borsa di studio di 10.000€ e la possibilità di entrare in un CV book dato ad imprese multinazionali di rilievo.
Li abbiamo incontrati per saperne di più su questa esperienza.

Cosa vi ha spinto a partecipare alla Challenge?

La voglia di competere e in generale l’entusiasmo per l’opportunità di metterci alla prova in una competizione internazionale ci hanno spinto a partecipare e a fare del nostro meglio.
Per questo ci teniamo a ringraziare la professoressa Antonella Moretto che ha introdotto la competizione all’interno del corso Supplier Relationship Management, dandoci poi la possibilità di competere alla Regional Final dove ci siamo guadagnati l’unico biglietto italiano per le finali mondiali nei Paesi Bassi.
La competizione aveva come obiettivo dirigere un’azienda virtuale rialzandone le sorti economiche applicando nuove strategie di business.

Che difficoltà avete incontrato?
Le simulazioni su cui si basa la competizione erano due, una focalizzata sulla parte Operations e l’altra sulla parte Finance; ogni simulazione era costituita da tre round, ogni round aveva una durata di un’ora e mezza. E’ stato difficile gestire le proprie emozioni e le proprie risorse avendo a disposizione un tempo limitato che scorre molto in fretta. In questo senso è stata una vera sfida sia dal punto di vista delle hard che delle soft skills.
Nella prima simulazione, dopo un iniziale 21º posto, siamo riusciti a rimontare fino a conquistare il 4º, mentre nella seconda ci siamo inseriti subito nelle prime posizioni. La posizione nella classifica finale è stata definita dalla media dei due risultati.

E così avete sbaragliato altre 27 squadre da tutto il mondo, qual è stata la vostra marcia in più?
Siamo studenti del Politecnico di Milano! Scherziamo ovviamente, ma non troppo… Ci siamo confrontati con il gruppo di studenti che aveva partecipato alla Challenge nel 2018 e ci troviamo d’accordo sul fatto che è stato il buon senso acquisito in università a fare la differenza. Errori ne abbiamo commessi, ma la nostra marcia in più è stata avere dimestichezza con i numeri e capire quali erano le priorità di gestione, prendendoci certamente dei rischi che tuttavia sapevamo di poter gestire.
Poi una buona comunicazione all’interno del team è stata fondamentale. Noi la diamo per scontato ma abbiamo notato che negli altri team non era proprio così semplice.

Cosa farete del premio e quali sono i programmi per il futuro?
Ognuno di noi ha idee chiare su come spendere il premio: viaggiare, investire nei propri hobby, tenerlo da parte per progetti futuri. Per ora siamo tutti alla fine del nostro percorso universitario e molto concentrati per concluderlo al meglio.
Aggiungere questa esperienza alla nostra carriera accademica è stata la ciliegina sulla torta: torniamo a casa non solo con l’assegno con la cifra più alta, ma consapevoli di aver imparato moltissimo e delle nuove e consolidate amicizie, molto probabilmente il più alto valore aggiunto che ci ha dato questa esperienza.

Nuovo valore alle materie umanistiche nella consulenza

Bip – Business Integration Partners, in collaborazione con MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business, ha sviluppato la seconda edizione del BipBootcamp, un programma intensivo di Business & Management Induction rivolto a laureandi e neolaureati che desiderano intraprendere una carriera nel Management Consulting pur non avendo intrapreso un percorso di studi STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

Forte del successo della prima edizione, frequentata da 12 meritevoli studenti che al termine dello stage formativo hanno ottenuto un contratto a tempo indeterminato nella multinazionale di consulenza, BipBootcamp punta anche quest’anno sulla qualità del programma formativo offerto grazie alla ormai consolidata collaborazione con il MIP.

Il percorso prevede l’utilizzo della metodologia Smart Learning, basata sul Digital Learning (formazione digitale, accesso alla piattaforma da qualsiasi device, test sulla comprensione di contenuto e Tutorship del MIP) e sull’Experiental Learning (giornate di formazione intensiva, testimonianze di esperti, casi studio, esercitazioni pratiche e lavori di gruppo), con l’obiettivo di massimizzare l’efficacia della formazione e di rendere i partecipanti pronti ad affrontare le sfide della consulenza.
Anche in questa edizione tutti gli studenti avranno l’opportunità di mettere alla prova il proprio bagaglio di conoscenze e skills acquisite durante il Bootcamp attraverso uno stage formativo retribuito in Bip.

“Fin dalla prima edizione, il BipBootcamp si è rivelato per noi un’ottima opportunità per contribuire alla formazione dei nostri migliori talenti e per riuscire a colmare il gap tecnico, portando creatività e pensiero laterale ai nostri team di lavoro- commenta Carlo Capè, Amministratore Delegato di Bip- Grazie anche all’unione tra il valore delle competenze specialistiche fornite dal MIP e la profonda conoscenza del mondo aziendale di Bip, gli studenti hanno una importante opportunità di acquisire gli strumenti operativi indispensabili nel mondo del lavoro”.

Il percorso, della durata di 5 settimane, avrà inizio il 13 settembre 2019.
Per maggiori informazioni visita https://bipbootcamp.it/.

Sostenibile, autonoma e condivisa. Ecco la mobilità del futuro

Nuove forme di propulsione, sharing economy, sostenibilità ambientale. Sono i percorsi che si intrecciano lungo la strada che porta alla mobilità del futuro. Una rivoluzione che riguarda da una parte la natura tecnologica dei mezzi di trasporto e, dall’altra, il rapporto che gli utenti hanno con i veicoli. Lo conferma Simone Franzò, ricercatore presso la School of Management del Politecnico di Milano e Direttore dell’Executive Master in Management presso il MIP: «Uno dei principali macrotrend che sta ridisegnando la mobilità è l’elettrificazione, ossia il passaggio dai tradizionali motori a combustione interna alimentati tipicamente a benzina o diesel ai motori elettrici. Senza dimenticare altri “combustibili” emergenti, come ad esempio l’idrogeno, che nel prossimo futuro potranno giocare un ruolo significativo. L’altro grande tema è la cosiddetta guida autonoma: veicoli in grado di svolgere, in toto o in parte, le attività di un normale guidatore, un ambito che promette di rivoluzionare l’esperienza stessa della guida e, più in generale, della fruizione di un veicolo».

Ma i cambiamenti sono anche di natura sociale: «Come in moltissimi altri ambiti, la sharing economy sta prendendo sempre più piede anche nella mobilità – prosegue Simone Franzò –, favorita da un’evidenza molto chiara: un veicolo di proprietà viene utilizzato mediamente per il 5% della sua vita utile, mentre per il restante 95% del tempo rimane inutilizzato. Superando il concetto di proprietà, la sharing economy permette di valorizzare maggiormente l’asset-veicolo. E questo non vale solo per l’automobile, ma anche per altri mezzi come biciclette, scooter e monopattini».

Un secondo esempio di sharing, applicato alla mobilità elettrica, fa rifermento al concetto di vehicle-to-grid (V2G) o, nella sua accezione più ampia, di vehicle-to-everything (V2X): in questo caso a essere condiviso non è il mezzo di trasporto, ma la sua fonte di energia. «Un veicolo elettrico può condividere il suo asset fondamentale, ossia la batteria, con la rete elettrica, oppure con utenze energetiche quali un appartamento o un edificio. Nel primo caso, le auto elettriche potranno mitigare le criticità della rete elettrica scambiando energia con la rete in maniera bi-direzionale, in funzione delle esigenze della rete stessa; nel secondo caso, esse permetterebbero di alimentare le utenze in caso di deficit della rete».

In generale, il tema della sostenibilità ambientale dei veicoli elettrici – che rappresenta uno dei principali driver per la diffusione della mobilità elettrica – è ampiamente dibattuto, e per certi versi ancora sotto la lente di ingrandimento, come conferma Franzò: «Numerosi studi mostrano che la fonte con cui è prodotta l’energia elettrica che alimenta le batterie impatta significativamente sul livello di emissioni dei veicoli e, quindi, sulla loro sostenibilità. Il percorso di decarbonizzazione della produzione di energia intrapreso a livello nazionale avrà un effetto positivo a tal proposito».

Al momento la diffusione dei veicoli elettrici è ancora piuttosto limitata in Italia e strettamente connessa alla parallela diffusione di un’idonea infrastruttura di ricarica. Se in ambito urbano, e quindi per tragitti brevi, le alternative non mancano, è sulle lunghe distanze che l’elettrico mostra ancora i suoi limiti: «A oggi il numero di punti di ricarica in Italia è ampiamente inferiore rispetto ai principali Paesi europei. Inoltre la loro dislocazione, in prevalenza in contesti urbani, rende più complesso l’utilizzo del veicolo elettrico su lunghe tratte, nonostante un’autonomia media che ormai si aggira sui 300-400 chilometri».

Ovviamente le sfide cambiano se facciamo riferimento al contesto urbano e a quello circostante. Secondo Franzò, «bisogna pensare tema della mobilità in maniera olistica per unire città e periferie, ad esempio creando punti di interscambio in cui chi arriva dalla periferia verso i centri cittadini possa utilizzare con facilità i veicoli in condivisione, magari elettrici».

Una sinergia sempre più necessaria, soprattutto in un contesto in cui le città puntano sempre più al decongestionamento del traffico e a ridurre il loro impatto in termini di inquinamento.

 

A Point of view on Leadership

Obiettivi definiti e una spiccata intelligenza emotiva. Sono questi, secondo Lorenzo Wittum, amministratore delegato di AstraZeneca Italia, i due pilastri su cui i manager devono costruire il proprio successo. Una certezza che deriva da anni di esperienze personali, le stesse che Wittum ha raccontato in aula agli Executive MBA del MIP Politecnico di Milano. «La pressione senza direzione genera solo agitazione – ha spiegato Wittum –. Le aziende sono orientate al risultato, e per ottenerlo è fondamentale una strategia chiara e precisa, specialmente se ci si ritrova a gestire team di centinaia di persone. Il gruppo di lavoro deve sapere qual è l’obiettivo finale. Per questo è importante che il leader sia in grado di comunicarlo correttamente e con efficacia».

In un contesto simile, le soft skill diventano più determinanti di quelle hard, che però non vanno sottovalutate: «Sono entrato nel mondo del lavoro anch’io grazie a un MBA in Business Administration e Management, senza il quale oggi probabilmente non sarei qui. Ho iniziato il mio percorso lavorativo mettendo a frutto le competenze hard frutto degli anni di studio, e nel frattempo ho potuto sviluppare le capacità empatiche e comunicative, che per un leader sono fondamentali», ha raccontato Wittum.

Sarebbe difficile, infatti, definire come un buon leader una persona non in grado di coinvolgere e motivare i propri collaboratori. «Bisogna saper parlare chiaro: definire le aspettative, il livello di sfida, le opportunità e i rischi. Poche cose sono coinvolgenti come la possibilità di lavorare sulla crescita personale, sia la propria che quella dei colleghi».

Le soft skill, inoltre, a differenza di quelle hard che spesso riguardano alcuni ambiti specifici, possono essere impiegate trasversalmente a tutti i settori lavorativi. «Il business, quale che sia il settore, si fonda sempre sugli stessi principi. A fare la differenza, però, sono sempre gli stessi elementi: il coinvolgimento delle persone, una direzione strategica chiara e la motivazione. Fattori ancora più importanti se pensiamo che, all’interno di un’organizzazione, ci sono molti progetti che coinvolgono alte professionalità provenienti da funzioni aziendali differenti: quando, come in questo caso, si guida un “superteam” di esperti che rispondono ad altre gerarchie aziendali, più che di leadership si parla di lateral influence», ha spiegato Wittum.

Spetta proprio al leader, infatti, creare le condizioni adeguate per stimolare la cooperazione: «In questo, aiuta moltissimo una qualità che ho sviluppato durante il master: quella dell’umiltà che va intesa come la capacità di essere trasparenti, di saper riconoscere quando un’idea altrui è migliore della propria. È questo atteggiamento a generare il coinvolgimento».

Il ruolo del leader, ovviamente, cambia molto rispetto alle dimensioni del team. «Quando guidavo team più piccoli amavo lavorare sempre sul campo e dare l’esempio. Messo alla guida di un gruppo più grande, mi sono reso conto che quell’approccio generava una complessità controproducente. Così ho capito che per coinvolgere e motivare non un team ma un’intera azienda dovevo prima di tutto essere riconosciuto come leader, al di là del ruolo che occupo, dalle figure di riferimento delle varie funzioni aziendali».

L’ad di AstraZeneca Italia ha infine rimarcato l’importanza di un master nel percorso formativo del singolo: «A patto, però, di avere pazienza e di considerare la carriera in un’ottica costruttiva. Non è una serie di sprint da 100 metri, ma è molto più simile a una maratona. È importante sapere che cosa si vuol fare da grandi, ma non per questo bisogna aspettarsi di trovare il lavoro desiderato fin dal primo istante. È un percorso di crescita che richiede, anche in questo caso, un obiettivo chiaro e grandi capacità di resilienza».

Banor SIM presenta il nuovo studio in ambito ESG sul mercato obbligazionario

Dopo la ricerca sulla relazione tra le performance azionarie e i criteri ESG presentata lo scorso anno che considerava il mercato azionario europeo, BANOR SIM e la School of Management del Politecnico di Milano hanno esposto oggi a Roma i risultati dello studio che guarda alla relazione tra mercato obbligazionario e rating ESG, sempre in riferimento all’Europa.

Abbiamo adottato lo stesso approccio e la stessa metodologia utilizzata dal Prof. George Serafeim della Harvard Business School, tra i più autorevoli esponenti nell’ambito dell’investimento responsabile, che da anni analizza il fenomeno e la correlazione tra criteri ESG e performance di mercato.” illustra Massimiliano Cagliero, AD e fondatore di Banor SIM, che prosegue “Nel 2018 ci siamo concentrati sull’analisi del mercato azionario, che ha fatto emergere il valore per l’investitore dell’integrazione delle variabili ESG nel processo d’investimento in combinazione al value investing. Quest’anno abbiamo voluto esplorare l’altra faccia del mercato, quello obbligazionario, su cui i nostri clienti sono sempre stati storicamente molto presenti. Era per noi quindi d’obbligo analizzare a fondo la questione.”

Il convegno organizzato da Banor SIM ha portato oggi a Roma il Prof. George Serafeim della Harvard Business School, il Dott. Alessandro Tappi, Chief Investment Officer dell’European Investment Fund, e il Prof. Giancarlo Giudici della School of Management del Politecnico di Milano, coordinatore dello studio, per illustrare e commentare i risultati della ricerca.

Le evidenze mostrano una performance migliore dei titoli associati alle buone pratiche ESG, soprattutto nel periodo più recente, in particolare per i titoli high yield. Inoltre, il parametro che discrimina di più è quello legato alla buona governance mentre i fattori environment e social sembrano essere percepiti come meno rilevanti per quegli investitori interessati a ridurre il rischio di insolvenza nel breve periodo piuttosto che la sostenibilità e il vantaggio competitivo di lungo termine.

Le tematiche ESG sono al centro dell’attenzione come non mai; da una parte gli investitori dimostrano sempre di più la volontà di impiegare i risparmi considerando parametri di sostenibilità ambientale, sociale e di buona governance societaria, dall’altra i policymaker europei stanno introducendo una serie di obblighi formativi e informativi – osserva il Prof. Giancarlo Giudici, Politecnico di Milano -. È quindi imprescindibile per gli asset manager studiare il mercato e farsi trovare pronti per questa nuova sfida”.

È stata anche confermata l’ipotesi iniziale secondo cui il mercato, nel corso del tempo, abbia attribuito uno spread negativo alle emittenti con punteggio ESG migliore, reputandole meno rischiose nel breve e medio termine. Questo effetto sembra essere limitato al vantaggio dell’adozione di buone pratiche per il governo societario che per gli investitori può implicare costi di agenzia inferiori, minor rischio di comportamenti opportunistici e miglior monitoraggio.

Approccio

La ricerca portata avanti da Banor SIM e dalla School of Management del Politecnico di Milano ha studiato la relazione tra rating ESG e spread di rendimento dei titoli obbligazionari sui mercati europei seguendo l’approccio di Khan et al. (2016) già utilizzato sul mercato statunitense, per cui il peso attribuito ad ogni indicatore ESG varia da settore a settore per tenere conto delle specificità di ogni area di business. È il principio della materialità, su cui SASB (Sustainability Accounting Standards Board) ha costruito una matrice per l’analisi e l’attribuzione di un peso specifico a ciascuna dimensione ESG in base al settore di attività dell’impresa.

Metodologia

L’analisi ha riguardato 536 obbligazioni quotate sui listini europei ed emesse da 146 imprese di medie e grandi dimensioni tra gennaio 2014 e dicembre 2018 ad esclusione dei titoli convertibili e di quelli collocati da banche e società immobiliari. La selezione si è concentrata sulle obbligazioni incluse in due ETF di Barclays, lo SPDR Bloomberg Barclays EU High Yield Bd UCITS ETF e lo SPDR Bloomberg Barclays Euro Corp Bond UCITS ETF. Per ciascun titolo sono stati raccolti i prezzi di Borsa (fonte: Datastream), i bilanci dell’emittente (fonte: Worldscope) e i parametri rilevanti in ambito ESG (fonte: Thomson Eikon ESG e ricerca manuale sui prospetti informativi e sui bilanci di sostenibilità delle emittenti). Arrivati a 424 indicatori disponibili, ad ognuno si è associata una delle 30 classi di variabili della matrice SASB che mostra l’importanza relativa dei parametri ESG per ogni settore.

I punteggi ottenuti sono poi stati normalizzati e per ogni anno si è calcolato un punteggio ESG finale per singola impresa emittente come media ponderata di E, S e G secondo i pesi raccomandati da SASB. In seguito le emittenti sono state suddivise in due gruppi in funzione del punteggio ESG superiore o inferiore alla mediana. Successivamente si è proceduto al calcolo del Total Return Index mensile dei titoli dei due gruppi, conducendo analisi separate per quelli investment grade e high yield.

Evidenze

Lo studio ha fatto emergere che anche il mercato obbligazionario europeo, specie negli ultimi anni, considera il rating ESG di un’emittente come elemento che influisce sul rendimento atteso. Confrontando un panel di obbligazioni quotate tra le più liquide si è visto che la performance dei titoli associati alle migliori pratiche ESG è stata migliore, soprattutto per i titoli ad alto rendimento. In realtà il parametro determinante è di gran lunga quello legato alla buona governance mentre i fattori environment e social sembrano andare in senso opposto.

L’analisi dello Z-spread lascia supporre che il mercato negli ultimi anni abbia cominciato ad offrire uno “sconto” sul costo del capitale richiesto alle imprese che seguono buone pratiche ESG, determinando un apprezzamento maggiore dei loro titoli.

I risultati della ricerca sono molto interessanti – ha spiegato Angelo Meda, Responsabile della Ricerca Banor SIM, a conclusione della presentazione – Le nostre ipotesi hanno in parte trovato conferma, in parte lo studio ha gettato nuova luce e fatto chiarezza. Ci aspettavamo che l’integrazione di valutazioni ESG nell’asset allocation potesse migliorare la qualità delle analisi dell’approccio value che seguiamo. Il fatto che le tre variabili E, S e G non si muovano di concerto è viceversa un fatto inatteso e di cui terremo conto.”

African Innovation Leaders in formazione per la New Production Revolution

Sono 21 i Leaders africani che stanno partecipando al programma “Emerging African Innovation Leaders – G7 exchange & empowerment program for enabling innovation within the next production revolution’” (AIL ) gestito da Politecnico di Milano e Politecnico di Torino.

Il programma della durata di 18 mesi, avviato ad aprile del 2018 grazie al supporto dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), ha lo scopo di promuovere innovazione ed imprenditorialità in 6 paesi africani, in particolare Etiopia, Kenia e Niger sul settore Green-tech e Mozambico, Nigeria e Tunisia sul Digital-tech, entrambi individuati come settori chiave che possono creare sinergia tra paradigmi di produzione e sviluppo sostenibile.  Il programma era stato annunciato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri durante il G7 di Taormina nella sessione conclusiva di Outreach Africa.

I Leader coinvolti, selezionati tra 450 candidature vagliate dal comitato scientifico del progetto, hanno preso parte ad un percorso di formazione svolto presso il MIP, arricchito dalla partecipazione al World Manufacturing Forum e dalla visita ad imprese italiane dei settori chiave. L’obiettivo è creare le condizioni per lo sviluppo di una comunità di leaders in grado di innescare processi di innovazione nell’ambito della Next Production Revolution in Africa.

I Leaders, supportati da mentori dedicati, hanno identificato come output della formazione 6 progetti di innovazione che affrontano problematiche centrali per lo sviluppo socioeconomico e industriale locale. In un’ottica di blended learning, un percorso guidato di formazione online MOOC (Massive Open On-line Courses) sta accompagnando i Leaders lungo tutta l’evoluzione del progetto.

AIL è un programma con diversi elementi di novità nell’ambito della cooperazione allo sviluppo” afferma la prof.ssa Paola Garrone, coordinatrice del progetto “Una selezione molto competitiva ci ha permesso di avere partecipanti con profili ottimi in termini accademici e di esperienza; molti di loro rivestono ruoli importanti nei settori del business, delle istituzioni o dell’università.  Per sviluppare le competenze dei Leaders, il programma fa uso di un mix di strumenti: formazione specialistica, incontri con imprese che hanno trasformato i propri processi, sviluppo di un progetto, attività di disseminazione e networking. A queste condizioni, diventa realistica l’ipotesi che i Leaders progettino e guidino percorsi di innovazione all’altezza delle sfide che caratterizzano il manifatturiero, l’agricoltura e le infrastrutture nei paesi Africani di provenienza”.

Quella che è stata definita la “prima generazione” di Leaders si trova in Italia in questi giorni per partecipare a Seeds & Chips – The Global Food Innovation Summit e a EXCO2019 (Expo della Cooperazione Internazionale, Roma 15-17/05/2019) con lo scopo di coinvolgere aziende per sostenere i progetti di innovazione ideati e concretizzandoli in partnership industriali e imprenditoriali che impattino sullo sviluppo locale in modo stabile.

E nel frattempo una “seconda generazione” di Leaders è già stata ingaggiata: circa 250 nuovi African Innovation Leaders sono stati selezionati dalla prima generazione. Grazie al programma consolidato, seguiranno il percorso di formazione on line attraverso i MOOCs (disponibili nella piattaforma Polimi Open Knowledge – www.pok.polimi.it ) supportati dai 21 Leaders, in un circolo virtuoso che valorizza e promuove la rete di Alumni e quella dei mentori in varie discipline.

 “La seconda generazione è una componente fondamentale di AIL” spiega Garrone. “Il coinvolgimento dei nuovi esperti nel programma moltiplica le possibili sorgenti di trasformazione del sistema produttivo. Soprattutto, è la presenza della seconda generazione a rendere credibile l’idea che nei 6 paesi Africani target operi una comunità di innovatori.  Alcune decine di Leaders per paese condividono l’imprinting dato dal metodo e dai contenuti AIL e i legami con gli attori della Next Production Revolution in Italia, in particolare con il Politecnico di Milano e la sua School of Management e con le imprese italiane maggiormente innovative.”

Il programma sta inoltre proseguendo con la presentazione dei Leaders e dei loro progetti nel corso di innovation days dei paesi di provenienza, con la presenza di docenti della School of Management. In particolare, la seconda generazione, supportata dalla prima, partecipa ad una competizione di idee imprenditoriali innovative. In partnership con il programma AIL, il MIP e la Fondazione World Manufacturing Forum sostengono l’impegno delle due generazioni con premi consistenti nella partecipazione all’International Flex EMBA e all’edizione 2019 del WMF.

 

 

MBA Career Services & Employer Alliance – European Conference

La quarta rivoluzione industriale e l’Intelligenza Artificiale stanno avendo un grande impatto sull’evoluzione del mercato del lavoro e sulle skill ricercate nei lavoratori di domani.

Di questo si è parlato alla conferenza annuale tenuta da MBA Career Services & Employer Alliance, il principale fornitore di istruzione, informazioni e competenze per il supporto e lo sviluppo degli studenti MBA.

Uno degli aspetti interessanti emersi durante l’evento è che, a differenza di quanto si possa immaginare, l’Intelligenza Artificiale ha uno stretto legame anche col mondo delle soft skill.
Infatti, in uno studio di LinkedIN, si mostra come la crescita dell’AI non faccia che accrescere l’importanza delle soft skill.
Questa previsione indica che tra le competenze più richieste dal mondo del lavoro negli anni a venire ci saranno skill come analysis & problem solving interpersonal relationships & leadership, time management, self awareness & self development.

Di fronte a questo tipo di cambiamenti, è quindi importante per la nostra Scuola mantenersi aggiornati sulle nuove sfide che si troveranno ad affrontare gli studenti e sulle nuove competenze digitali ricercate dai recruiter.

L’MBA CSEA European Conference ha rappresentato non solo un’occasione per approfondire questi temi ma anche un momento di incontro e di condivisione di idee e di metodologie tra le più importanti Business School internazionali. Ecco perché all’evento tenutosi a Berlino ad aprile c’era anche il Career Development Center del MIP.

GEMOS: scopri la CAB Scholarship

Il CAB – Corporate Advisory Board – del master GEMOS ha il piacere di annunciare che sono disponibili cinque contributi allo studio fino al 30% per candidati meritevoli.

Per partecipare è necessario dimostrare il proprio contibuto allo sviluppo della leadership internazionale e delle pratiche di business come descritto negli obiettivi del programma. Tutte le scholarship sono erogate in base al merito.

Possono partecipare i candidati che rispettano i requisiti di ammissioni e che durante l’application presentano un breve scritto – non più di 500 parole – sul tema:

Do you have “the factor” required for leading effective operations and supply management in today’s global and competitive markets? Make a concrete example of a recent project you have successfully managed in the field.