Machine Learning & Big Data Analytics

Le tecnologie digitali e gli algoritmi per analizzare i dati rappresentano l’evoluzione più recente delle tecnologie intellettuali. Grazie ad esse ci siano trasformati in quello che oggi siamo, in quello che sappiamo, nei nostri modi di pensare. Viviamo in stretta simbiosi con le tecnologie intellettuali e sarà sempre più così anche nei confronti degli algoritmi dell’intelligenza artificiale

 

Carlo Vercellis, Professore Ordinario di Machine Learning, School of Management, Politecnico di Milano

La maggior parte dei nostri gesti quotidiani, acquisti, spostamenti, decisioni personali o professionali sono orientati da un algoritmo di Machine Learning: è comodo ricevere suggerimenti circa prodotti da acquistare, di alberghi e mezzi di trasporto per i viaggi, le indicazioni di film o brani musicali che potrebbero piacerci.

Molte aziende da decine di anni raccolgono grandi moli di dati nei loro sistemi informativi. Gestori di carte di credito, che nel corso di un weekend registrano quasi due miliardi di transazioni, grandi retailer, operatori delle Telco e delle Utility.

Tuttavia, la vera rivoluzione che ha portato ai Big Data coincide con l’avvento dei social network, fenomeno indicato con il termine Internet of People. Ognuno di noi si è trasformato da lettore di informazioni in autore di contenuti. La necessità di immagazzinare questa mole di dati immensa e in rapida crescita ha indotto le grandi aziende del web a creare un nuovo tipo di database basato su architetture a rete distribuite e di fatto a dare vita al cloud.

Accanto alle persone, ormai in Internet ci sono anche le “cose”: si tratta della Internet of Things, costituita da innumerevoli oggetti dotati di sensori e spesso capaci di comportamenti intelligenti e autonomi. Siamo in grado di accendere le luci di casa a km di distanza, di regolare il termostato e di osservare attraverso l’impianto di videosorveglianza. L’automobile potrà guidare in modalità autonoma senza il nostro intervento. Si tratta di un universo composto da quasi 30 trilioni di sensori che registrano valori numerici con altissima frequenza temporale (un trilione è pari a “uno” seguito da 18 “zero”!). Abbiamo inoltre i contatori digitali per gas e power, capaci di registrare puntualmente i nostri consumi e di suggerire comportamenti che rendano più efficiente e sostenibile il nostro utilizzo dell’energia. Indossiamo dispositivi di fitness e smart watch al polso, che registrano la nostra attività fisica, i principali parametri vitali, le nostre abitudini alimentari, la qualità del sonno, e ci forniscono suggerimenti utili a migliorare le nostre condizioni fisiche. Oggetti intelligenti che contribuiranno a rendere sempre più comoda la nostra vita.

Da quanto abbiamo detto finora, è chiaro che il valore predittivo e il valore applicativo contribuiscono a generare un grande valore economico, per le imprese, per la pubblica amministrazione, per i cittadini nel loro complesso.

Tuttavia, i dati di per sé non servono a nulla se non vengono analizzati automaticamente da algoritmi intelligenti. In particolare, gli algoritmi di machine learning nell’ambito dell’intelligenza artificiale vengono applicati a grandi moli di dati per riconoscere regolarità ricorrenti e per estrarre conoscenze utili che permettono di prevedere con notevole accuratezza eventi futuri. Si tratta di una logica induttiva, un po’ come il meccanismo di apprendimento di un bimbo, cui la mamma indica alcuni esempi di lettere dell’alfabeto ponendolo in breve tempo in grado di identificarle autonomamente e quindi di imparare a leggere.

Ad esempio, gli algoritmi sono in grado di interpretare l’umore, il cosiddetto “sentiment”, di post testuali sulle reti sociali con accuratezze del 95-98%, maggiore di quella che potrebbe ottenere un lettore umano. Analogamente, oggi gli algoritmi sono in grado di effettuare con grande precisione il riconoscimento automatico dei contenuti e del contesto delle immagini analizzate.

Le tecnologie digitali e gli algoritmi per analizzare i dati rappresentano l’evoluzione più recente delle tecnologie intellettuali e ci aiuteranno a vivere meglio. Pensiamo infatti che lungo il corso della storia, dai primi strumenti preistorici all’invenzione della scrittura, dall’invenzione della stampa all’ideazione dei computer, le tecnologie intellettuali sono state il motore dell’evoluzione umana. Grazie ad esse noi ci siano trasformati in quello che oggi siamo, in quello che sappiamo, nei nostri modi di pensare. Viviamo in stretta simbiosi con le tecnologie intellettuali e sarà sempre più così anche nei confronti degli algoritmi dell’intelligenza artificiale.

Sul versante economico, osserviamo che le imprese più mature nell’analisi dei dati hanno una maggiore capacità di competere e continuano a rafforzarsi nei confronti delle imprese meno evolute e meno tempestive nell’adozione di strategie di innovazione digitale. Da anni si parla di digital divide in riferimento alle diverse opportunità di accesso alle risorse digitali da parte dei cittadini. Nell’ambito dell’Osservatorio Big Data Analytics che abbiamo avviato al Politecnico di Milano sin dal 2008, abbiamo introdotto dallo scorso anno il termine Analytics Divide per indicare il gap che si è venuto a creare e che purtroppo si sta ampliando tra le imprese virtuose nell’impiego di big data e intelligenza artificiale e quelle meno innovative, che faticheranno di più a uscire dalla palude in cui il virus ci ha spinti.

Per poter progredire come azienda data driven occorre tuttavia disporre di talenti e competenze adeguate, che possono essere ottenute mediante l’acquisizione di nuove risorse o il reskilling di risorse già disponibili in azienda. In questa prospettiva, presso il MIP-Politecnico di Milano abbiamo avviato diverse attività formative su temi di Machine Learning, Artificial Intelligence, Big Data Analytics, Data Science, quali il master internazionale in Business Analytics & Big Data e il percorso executive in Data Science & Business Analytics.

Cultura del dato e modello di leadership: due facce della stessa medaglia

Gli esperti dei dati diventano nodi fondamentali delle relazioni all’interno di un’organizzazione. Per questo la cultura del dato si porta dietro la necessità di rivedere i modelli organizzativi e di leadership

 

Filomena Canterino, Ricercatrice in People Management & Organization, School of Management, Politecnico di Milano

Gli esperti di data analytics, i cosiddetti data scientist e data analyst, sono da qualche anno tra le figure più ricercate dalle aziende, in tutti i settori, dalla manifattura all’education all’editoria. Il loro lavoro è raccogliere, strutturare, analizzare, interpretare e sintetizzare i dati, per trasformarli in informazioni utili per gli altri attori e decisori di un’organizzazione.

Molto spesso, questi ruoli sono nodi fondamentali all’interno dell’organizzazione, perché interagiscono con diverse funzioni e livelli, diventando un punto di riferimento che scavalca e in alcuni casi addirittura ribalta le gerarchie tradizionali. Gli esperti di dati infatti possono portare grande valore aggiunto in quasi tutte le diverse aree aziendali, dalla manutenzione alla strategia alla gestione delle risorse passando per il marketing. E nel farlo, si interfacciano con una moltitudine di diversi attori aziendali.
Pensiamo al tipico esempio di datification di un impianto produttivo, in cui un sistema di sensori è in grado di raccogliere in tempo reale e continuativo i dati relativi alle performance di produzione (ad esempio numero di pezzi prodotti, numero di scarti, durata degli stop, numero di guasti). Tramite l’analisi e l’elaborazione dei dati, e le informazioni che riesce ad estrapolare da essi, un data scientist o un data expert è in grado di dialogare in modo efficace sia con gli operatori, sia con i team leader, sia con i top manager. E’ in grado di dare voce alle macchine, ma anche alle persone che, avendo un’idea più completa e dettagliata delle performance e delle possibili aree di miglioramento, possono proporre nuove soluzioni e idee.

Altrettanto spesso, purtroppo, le persone che ricoprono questi ruoli vengono superficialmente etichettati come “nerd”, “geek”, o altri termini che alludono ad una certa confidenza ed interesse per le questioni analitiche e tecniche, e meno interesse o spigliatezza negli aspetti relazionali, interpersonali e di leadership.
Questa visione, oltre che essere limitata – pensiamo a quanti “nerd” possiamo enunciare tra i CEO e leader di grandi aziende di successo – è estremamente limitante.

Innanzitutto, perché fa riferimento ad una visione ormai obsoleta del concetto di leadership, ossia la leadership innata, eroica, che pone le sue fondamenta sul carisma “naturale”. Gli esperti di leadership e le aziende più all’avanguardia su questi temi sanno bene che leader non necessariamente si nasce, ma si può diventare – per alcuni con più fatica che per altri certo – semplicemente perché la leadership è caratterizzata da comportamenti, ossia da azioni che si possono praticare, allenare e migliorare, e non da tratti. Quindi, anche una persona con una spiccata predisposizione tecnica e analitica può certamente identificare e mettere in campo i comportamenti per interagire con gli altri e per guidare efficacemente un gruppo di lavoro.
Per di più, nel campo della ricerca accademica, in cui la rilevanza dei comportamenti più che dei tratti è cosa nota da svariati decenni, i più recenti studi ci mostrano come la leadership sia in realtà nella maggior parte dei casi un processo complesso, dinamico e condiviso, che nasce dall’interazione tra i diversi attori di un sistema. Se concepita in questo modo, si potrebbe quasi dire che possa essere più facilmente capita da chi si occupa di intercettare e interpretare flussi di dati, che da altri.

In secondo luogo, questo tipo di visione rende poco efficace la gestione dello sviluppo di queste figure all’interno delle organizzazioni, proprio perché accende i riflettori sulla parte sbagliata della scena, ossia sulle caratteristiche personali di chi ricopre uno specifico ruolo, piuttosto che sul modello di leadership dell’organizzazione.

Cosa fare quindi per mettere questi ruoli nelle condizioni di esprimere al meglio il loro potenziale e sviluppare le loro doti di leadership di contenuto e di processo?

Certamente diffondere un modello culturale che guardi alla leadership come qualcosa di condiviso e diffuso, che si basa su azioni e comportamenti, e sul concetto di accountability – per cui ogni singola persona o piccolo gruppo di lavoro è responsabile di una piccola parte del risultato. Tutto ciò può essere reso possibile sia da piani di formazione e sviluppo coerenti, che riguardino tutta l’organizzazione, sia dalle tecnologie digitali, che facilitano l’acquisizione e la condivisione di dati per informare le decisioni e accorciare di conseguenza le catene gerarchiche. Dati, accountability e leadership condivisa: un circolo virtuoso in cui i data expert possono essere veri protagonisti.

Research Impact Assessment: un modello in continua evoluzione

Dal 2016 la School of Management (SoM) del Politecnico di Milano promuove la cultura della valutazione e del miglioramento dell’impatto della ricerca su istituzioni, aziende, studenti e docenti, cittadini e comunità accademica

 

Federico Caniato, Professore Ordinario di Supply Chain & Procurement Management, School of Management, Politecnico di Milano
Stefano Magistretti, Assistant Professor di Innovation & Design Management, School of Management, Politecnico di Milano

Sempre più spesso oggi viene messo in discussione il contributo che le università forniscono alla società, per cui sempre più spesso si richiede loro di misurare e dimostrare tale contributo, spesso definito “impatto”. L’approccio tradizionale è stato quello di identificare tre grandi missioni: ricerca, formazione e la cosiddetta “terza missione”, termine ampio che include le interazioni con la società in generale, ad esempio il trasferimento tecnologico, la promozione culturale, la comunicazione esterna. Vi è però un limite in questo approccio, in quanto rischia di vedere le tre missioni come attività separate, ognuna con le proprie regole e metriche.

Dal 2016 la School of Management (SoM) del Politecnico di Milano sta lavorando su questo tema con un approccio più integrato, che non vede le tre missioni come separate, ma piuttosto la ricerca come motore che può generare impatto su molteplici domini, non solo la comunità accademica e gli studenti, ma la società in generale. Per questo motivo promuoviamo la cultura della valutazione e del miglioramento dell’impatto della ricerca, in linea con la nostra mission:

contribuire al bene collettivo attraverso una comprensione critica delle opportunità offerte dall’innovazione. Questa missione si realizza creando e condividendo la conoscenza attraverso un’istruzione di alta qualità, una ricerca di alta qualità e un impegno attivo con la comunità“.

Quando abbiamo iniziato questo cammino, abbiamo prima di tutto voluto incoraggiare tutti i colleghi a riflettere sull’impatto dei loro progetti di ricerca a 360 gradi. Nei primi anni, ci siamo occupati di stimolare il pensiero critico e la creazione di una cultura della misura dell’impatto. Inizialmente non era scontato che ogni progetto, dal più semplice al più complesso, dal più breve al più lungo potesse avere un impatto su diverse aree della mission della nostra scuola. Questa cultura della misura era ed è tutt’oggi però fondamentale per valutare e dimostrare l’impatto su molti domini e non solo sugli indicatori più tradizionali (e.g., numero di pubblicazioni academiche, numero di pubblicazioni su testate giornalistiche).

Per questo motivo abbiamo sentito la necessità di sviluppare un nostro modello per guidare la valutazione dell’impatto all’interno di tutta la SoM, che ci permettesse di perseguire i seguenti obiettivi:

  • Aumentare la consapevolezza di tutta la nostra comunità
  • Imparare a valutare l’impatto della ricerca
  • Incoraggiare tutti i colleghi a progettare, condurre e diffondere ricerche volte ad avere un impatto misurabile
  • Migliorare la capacità di rendere conto dell’impatto generato
  • Riconoscere i risultati della ricerca della SoM
  • Diffondere i risultati della ricerca sia all’interno della SoM sia all’esterno

Per raggiungere questi obiettivi, abbiamo costruito un modello, ispirato alla letteratura scientifica, che identifica 5 domini e 3 livelli di maturità di impatto della ricerca.
I 5 domini rispetto ai quali viene misurato l’impatto sono:

  1. Le istituzioni
  2. Le imprese
  3. Gli studenti e i docenti
  4. I cittadini
  5. La comunità accademica

L’impatto su ciascun dominio è poi misurato su una scala di maturità crescente a 3 livelli:

  • Comunicazione dei risultati della ricerca
  • Adozione dei risultati della ricerca
  • Benefici ottenuti tramite l’adozione

Questo modello è volutamente generale, affinché possa essere adattato ai diversi temi e tipologie di ricerca della SoM. Per ciascun dominio e ciascun livello di maturità, è necessario identificare precisi indicatori, possibilmente quantitativi (e.g., numero di partecipanti a eventi, numero di articoli in rivista pubblicati, numero di conferenze academiche organizzate), che permettano di misurare e dimostrare l’impatto. Tali indicatori devono essere scelti coerentemente con la natura di ciascun progetto di ricerca.

Il modello è stato dapprima testato da alcuni colleghi che nel 2019 hanno valutato 16 progetti su queste dimensioni. Questo ha permesso di comprendere la solidità e validità del modello e identificare numerose metriche utili per i diversi domini e i diversi livelli di maturità.

Nel 2020 abbiamo investito nel coinvolgimento di tutta la SoM nel compiere questo importante esercizio, allargando così la partecipazione, arrivando a raccogliere il Research Impact Assessment per 42 diversi progetti condotti all’interno della SoM, di cui almeno uno per ciascuna linea di ricerca della Scuola.
E’ stata prima di tutto un’occasione formativa e di riflessione sul tema per tutta la scuola, per cui sono stati organizzati momenti di confronto e discussione. La sintesi e le evidenze principali sono state raccolte in un Booklet, che presenta una grande ricchezza e varietà di impatti e che servirà inizialmente come strumento di comunicazione interna per creare consapevolezza e raccogliere best practice.

Il lavoro continua, è già partita la raccolta per il 2021, con l’obiettivo di aggiornare le informazioni sui 42 progetti e ampliare ulteriormente la partecipazione.
La speranza e l’augurio è che questo esercizio permetta sempre più non solo di misurare a posteriori, ma anche di pianificare sin dall’inizio l’impatto dei progetti di ricerca, e spinga a coprire tutti i domini e a raggiungere il massimo livello di maturità possibile, ovvero quello dei benefici concreti.

SOM per gli SDGs: premi di laurea per tesi con impatti connessi ai Sustainable Development Goals

E’ aperto il bando per 2 premi di laurea: SOM per gli SDGs: Tesi con impatti connessi ai Sustainable Development Goals.

La School of Management del Politecnico di Milano promuove i principi di una gestione responsabile e sostenibile in tutti i suoi programmi e sostiene attività di apprendimento e ricerca coerenti con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile/ Sustainable Development Goals (SDG) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (https://unric.org/it/agenda-2030).

I premi di laurea, del valore di € 1.000,00 ciascuno, sono destinati a laureati/e al corso di Laurea Magistrale o Laurea Specialistica o V.O in Ingegneria Gestionale che abbiano conseguito il relativo titolo nel periodo novembre 2020 – ottobre 2021.

I lavori (tesi o tesine) dovranno dimostrare di avere ricadute su uno o più SDGs (es. sviluppo di ricerche in ambito di progetti, prodotti o servizi alla persona per la promozione della salute e del benessere, parità di genere, sicurezza, protezione dell’ambiente, conservazione del patrimonio culturale, miglioramento delle condizioni di vita delle fasce deboli).

Per maggiori informazioni, si prega di consultare il bando disponibile alla pagina: https://www.som.polimi.it/albo-e-bandi/

 

 

SER Social Energy Renovations

Al via il progetto H2020 per finanziare l’edilizia sostenibile nel terzo settore

 

Finanziare ristrutturazioni edilizie sostenibili nel Terzo Settore grazie a uno strumento innovativo che consentirà di accelerare la transizione ecologica e contrastare la povertà energetica. È l’obiettivo del progetto europeo SER-Social Energy Renovations, cui partecipano, per il nostro Paese, CGM Finance,  la School of Management del Politecnico di MilanoENEA e Fratello Sole, società consortile di enti no profit impegnata nel contrasto alla povertà energetica;  gli altri partner sono la società spagnola GNE Finance, capofila del progetto, Secours Catholique-Caritas France e la filiale bulgara della società Econoler.

Il progetto, finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020, si sviluppa sull’arco di tre anni, nei quali verrà ideato e sviluppato un meccanismo di de-risking per ridurre il rischio associato ai finanziamenti e consentire l’accesso al credito anche a soggetti con capacità economica limitata. Il  meccanismo includerà l’analisi e la standardizzazione tecnica del processo di definizione degli interventi di efficientamento energetico degli immobili.

I progetti saranno aggregati e sottoposti a valutazione dell’impatto sociale per poi essere finanziati, consentendo agli investitori di accedere a investimenti sicuri, efficaci, in linea con i criteri ESG; e alle imprese sociali di effettuare ristrutturazioni green a prezzi accessibili, con l’assistenza tecnica necessaria.

ENEA e Fratello Sole coinvolgeranno gli enti del Terzo Settore e selezioneranno gli edifici dedicati ad attività no profit sui quali intervenire con le ristrutturazioni edilizie energicamente efficienti e sostenibili. I lavori di riqualificazione energetica saranno a cura di Fratello Sole Energie Solidali – ESConata dalla joint venture tra Fratello Sole Scarl e Iren Energia.

Nell’ambito del progetto, la School of Management identificherà gli indicatori di valutazione e analizzerà l’impatto sociale dei progetti finanziati.

“La questione della valutazione dell’impatto sociale è tanto attuale quanto com­plessa, e da argomento di interesse di pochi è diventato ormai parte integrante della strategia imprenditoriale e tema essenziale della finanza”, sottolinea il professor Mario Calderini, Professore di Social Innovation del Dipartimento di Ingegneria Gestionale.
E aggiunge: “Con questo progetto si vuole valorizzare non solo l’impatto ambientale generato dagli interventi di efficientamento energetico degli immobili, ma anche quello sociale generato dalle organizzazioni del Terzo Settore che grazie ai benefici di questo intervento saranno in grado di offrire maggiori servizi.”

Infine, Secours Catholique-Caritas France insieme alla filiale bulgara della società di consulenza sull’efficienza energetica Econoler esploreranno la replicabilità dello strumento in altri Paesi europei.

“Innovation with a human touch”: è online il nuovo numero di SOMeMagazine

E’ uscito il #6 di SOMe, l’eMagazine della nostra Scuola in cui raccontiamo storie, punti di vista e progetti attorno a temi-chiave della nostra missione.

In questo numero intitolato “Innovation with a human touch” parliamo di innovazione e di come la componente umana e umanistica giochi un ruolo tanto fondamentale quanto complementare nel progresso tecnologico.

Ne abbiamo discusso con Giovanni Valente, che ci spiega come le scienze umane e sociali siano essenziali per affrontare qualsiasi sfida innovativa in campo scientifico e tecnologico, e per questo è importante promuovere un approccio interdisciplinare in ambito accademico.

L’uomo deve essere al centro della trasformazione digitale e le tecnologie devono essere sviluppate non al posto di ma per le persone, come raccontano Raffaella Cagliano, Claudio Dell’Era e Stefano Magistretti nei loro editoriali su Industry 4.0 e Design Thinking.

Ma l’innovazione tecnologica può essere veramente a misura d’uomo? Giovanni Miragliotta cerca di rispondere a questo quesito riflettendo su quanto le nuove tecnologie abbiano profondamente modificato la società e il lavoro dell’uomo.

Infine nelle “Stories” alcuni nostri progetti di ricerca: l’ impatto economico del cambiamento climatico, il riuso di scarti elettronici per dar vita a prodotti eco-compatibili, la distribuzione del Venture Capital in Europa.

 

 

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I numeri precedenti:

  • # 1 “Sustainability – Beyond good deeds, a good deal?”
  • Special Issue Covid-19 – “Global transformation, ubiquitous responses
  • #2 “Being entrepreneurial in a high-tech world”
  • #3 “New connections in the post-covid era”
  • #4 “Multidisciplinarity: a new discipline”
  • #5 “Inclusion: shaping a better society for all”

ERS European Research Seminar 2021

 

Il 10 e 11 Giugno scorsi il Politecnico di Milano ha ospitato la sedicesima edizione dello European Research Seminar (ERS) on Logistics and Supply Chain Management (https://www.ers-conference.org/).

A causa dell’emergenza COVID, la conferenza si è tenuta interamente online, ma questo non l’ha resa meno interattiva e stimolante, e non sono mancate occasioni di scambio.

Hanno partecipato circa 50 professori e ricercatori da tutto il mondo, che hanno presentato i propri lavori e fornito interessanti elementi di discussione in merito ai principali trend nel settore della logistica e del supply chain management.
Diversi i temi che sono stati toccati: innovazione, tecnologia, circular economy, sostenibilità economica, ambientale e sociale.

Carl Marcus Wallenburg (WHU – Otto Beisheim School of Management, Germany) e Andreas Wieland (Copenhagen Business School, Denmark) sono stati i co-chair della conferenza. Angela Tumino e Riccardo Mangiaracina sono stati gli host locali, nonché membri del comitato scientifico. Arianna Seghezzi, Chiara Siragusa ed Elena Tappia hanno moderato alcune delle principali sessioni come chair.

La conferenza si è chiusa con grande soddisfazione di tutti i partecipanti.

Tecnologia e innovazione, a misura d’uomo

Il progresso scientifico, la disponibilità di mezzi tecnici, la cross-fertilizzazione tra le diverse comunità di ricerca e l’innovazione combinatoria  ci stanno regalando ad una inarrestabile progressione delle capacità umane. Ma quanta, e soprattutto quale, innovazione è davvero a misura d’uomo?

 

Giovanni Miragliotta, Professore di Advanced Planning, Co-Direttore dell’Osservatorio AI, Politecnico di Milano

Ovunque guardiamo, come cittadini e come ricercatori, leggiamo delle “magnifiche sorti e progressive”[1] che, per mezzo delle nuove tecnologie, stanno cambiando la nostra società e la nostra vita. Da quelle a noi più familiari, come le reti di comunicazione a banda larga, a quelle  più avanzate, come la bioingegneria, a quelle che operano nascoste dietro le quinte, come la crittografia, tutto si fonde al punto che diventa quasi difficile rendersi conto del potenziale di cambiamento del sistema di ricerca e innovazione che abbiamo costruito nei paesi sviluppati. A materializzarne il potenziale ci pensano, di tanto in tanto, discontinuità inattese come ad esempio la pandemia che stiamo vivendo la quale, combinando le diverse innovazioni esistenti, ci mostra come possono essere stravolti in pochi mesi il modo di lavorare, di insegnare, di progettare, di curare. Una riflessione molto potente, in questo senso, anche e soprattutto perché viene da un letterato e non da uno scienziato, è quella recentemente pubblicata da Alessandro Baricco[2].

Questa occasione, che ci ha mostrato portata e velocità del cambiamento possibile, può essere colta per riflettere su quale sia l’innovazione a misura d’uomo; è ancora più importante farlo ora, in vista di quello che si sta sviluppando, nelle università e nei laboratori di tutto il mondo, poiché le prossime conquiste tecnologiche potrebbero materializzare un cambiamento, secondo il pensiero di molti (ed io sono uno di quelli) addirittura dirompente per l’assetto stesso delle nostra società.

La nostra società, prendendo come riferimento gli stati democratici occidentali, si poggia su alcuni pilastri, un mix di weltanschauung, principi morali e senso comune, che ne costituiscono il collante. Alcune innovazioni tecnologiche (in primis bioingegneria e intelligenza artificiale) sono, per così dire, in rotta di collisione con questi principi, e potrebbero portare a nuove società che non è facile prevedere se e quanto saranno a misura d’uomo, almeno come oggi noi interpretiamo tale misura.

Pensiamo alla centralità che il lavoro ha nella struttura della società, anche solo limitandoci alla sua valenza economica e trascurando gli aspetti psicologici o di realizzazione personale; per la prima volta nella storia inizia ad intravedersi un futuro possibile in cui non solo non sappiamo più predire quali saranno i lavori dei nostri figli tra 30 anni, ma iniziamo a dubitare che ci possano addirittura essere dei lavori rimasti. In un numero sempre crescente di specifiche mansioni (=Narrow AI), infatti, le macchine hanno raggiunto già abilità superumane e, come sapete, vi è un enorme dibattito sul bilancio tra posti di lavoro creati e distrutti. Le analisi condotte nell’Osservatorio Artificial Intelligence, almeno per la prossima decade, sembrano indicare uno scenario positivo[3], ma allungando l’orizzonte di analisi non è da escludere uno scenario in cui la domanda per il lavoro umano, reso antieconomico o inutile dalle nuove abilità delle macchine[4], sarà molto inferiore.  In una situazione di precario equilibrio monetario e fiscale delle nazioni, una alterazione significativa nel mercato del lavoro potrebbe rappresentare un elemento di forte instabilità.

Cambiando tecnologia di riferimento, l’avvento delle biotecnologie potrebbe portare in un prossimo futuro dei cambiamenti così importanti da scuotere le fondamenta stessa della società: come evolverà il concetto di famiglia qualora fosse normale per gli esseri umani vivere 120 anni, con una giovinezza che possa durare oltre 40 anni?  Cosa accadrà quando le classi più abbienti, oltre a potersi permettere una assistenza sanitaria tradizionale migliore, potranno permettersi anche di intervenire per migliorare il proprio pacchetto genetico in modo non eguagliabile dalla maggior parte delle persone? Per la prima volta nella storia osserveremo una biforcazione nella nostra specie, con una (piccola) frazione della popolazione che disporrà di un “hardware” (corpo + cervello) più capace, resistente e duraturo rispetto alla maggioranza della popolazione?

Questi esempi ci fanno ragionare sulla portata del cambiamento possibile, economico e sociale, ma non sembrano ancora intaccare i fondamenti ideologici della società che abbiamo costruito, nel nostro occidente, a partire dalle rivoluzioni americana e francese, ovvero la convinzione profonda nel valore della libertà, della unicità ed irripetibilità dell’individuo. Ma cosa accadrebbe se, in linea di principio, osservando tutte le interazioni di una persona con il suo ambiente e con i suoi simili, fosse possibile prevedere esattamente quali sarebbero le sue sensazioni, ed i suoi bisogni? Cosa accadrebbe se Google, o Facebook, o altri, forti della immensa mole di dati che raccolgono su di noi, sapessero consigliarci il libro giusto, il lavoro giusto, l’investimento giusto, la moglie giusta, la chirurgia preventiva giusta molto meglio di quanto sapremmo fare da soli, confusi e sperduti in una mole sterminata di decisioni importanti, da prendere decine di volte nella nostra (lunghissima) vita? A quel punto saremmo ancora “liberi”? E ammesso che ci rimanga uno spazio di libertà, ci converrebbe farne uso, , oppure non sarebbe più conveniente affidare le nostre decisioni ad una tecnologia di “life advisor” che avrebbe probabilità di successo e di felicità molto maggiori di quelle che sapremmo apparecchiarci con le nostre stesse mani?  Questo ultimo scenario, ventilato da molti pensatori, apre ad un ripensamento radicale dei principi fondanti della nostra società, in primis il principio liberale, portando ad esiti che potrebbero spaziare da un ulteriore allentamento dei riferimenti esistenti (sulla scia della liquidità Bauminana) fino al suo totale opposto, una rigidissima tecnocrazia.

Il punto è sempre lo stesso: non è possibile fare previsioni di alcun tipo, e in fondo quel poco che serve conoscere, di speculazione pura sul futuro, è già stato scritto. Queste riflessioni invece ci richiamano ad una responsabilità molto grande, quella di rimanere molto vigili sugli atti di moto, anche solo incipienti, che l’innovazione tecnologica sta imprimendo alla nostra società.

Ci attende un futuro che può essere a misura d’uomo solo se saremo capaci di costruircelo.

 

 

Note di lettura

Questa riflessione nasce, e può essere ulteriormente sviluppata, attingendo al pensiero dei seguenti autori:

  • Yuval Harari: consiglio l’intera trilogia su passato, futuro e presente dell’uomo;
  • Mark Tegmar, “Vita 3.0”, ed il dibattito interno al Future of life Institute;
  • Zygmunt Bauman, in particolare il suo testo cardine “Modernità liquida”.

 

 


[1] Citazione del poeta Giacomo Leopardi

[2] Alessandro Baricco, “Cinque anni in uno”, https://www.ilpost.it/2021/05/28/baricco-2025/

[3] Si veda report Osservatorio Artificial Intelligence, “On your marks”, ed. 2019.

[4] Si consideri, ad esempio, “A 3D printed car which is designed by AI”, www.thereviewstories.com/czinger-21c-ai-3d-printed-car/

 

 

 

Rigenerare i luoghi con il coinvolgimento delle comunità: la terza tappa di Road to Social Change

Il 22 giugno si terrà il terzo incontro nazionale del programma Road to Social Change. L’iniziativa, nata da un’idea di UniCredit nell’ambito della sua Banking Academy, è stata sviluppata in collaborazione con AICCON, Politecnico di Milano – Centro di Ricerca Tiresia, MIP Graduate School of Business, Fondazione Italiana Accenture e TechSoup

Dopo i primi due incontri, dedicati rispettivamente alle filiere culturali, turistiche e agroalimentari (incontro del 20 aprile) e alla generazione di infrastrutture sociali (incontro del 18 maggio), il terzo incontro approfondirà un’altra delle sette sfide al centro del percorso: la rigenerazione dei luoghi tramite il coinvolgimento delle comunità. L’evento approfondirà in particolare il ruolo chiave del Terzo Settore nel coinvolgimento delle comunità volto alla rigenerazione territoriale. La rigenerazione dei territori oltre a rappresentare un importante strumento di partecipazione e inclusione sociale, costituisce un’opportunità di crescita economica e imprenditoriale di cui il Terzo Settore può essere protagonista.

Il percorso di formazione proposto da Road to Social Change mira a formare una figura professionale per il terzo settore, il Social Change Manager. Il Social Change Manager è un professionista in grado di sviluppare una visione trasformativa e, in collaborazione con le comunità locali, di implementare tale visione tramite processi di co-progettazione e co-produzione in partenariato con attori pubblici e privati del territorio, attraverso strumenti di gestione dell’impatto generato e di tecnologie digitali.

Per ottenere l’Open Badge di Social Change Manager (una certificazione digitale di conoscenze e competenze acquisite rilasciato dal MIP – Politecnico di Milano Graduate School of Business) sono richiesti requisiti di partecipazione agli incontri e il superamento di un test. Potranno accedere al test i partecipanti che avranno frequentato almeno 5 incontri nazionali, due territoriali e avranno fruito di tutti i contenuti on demand disponibili sulla piattaforma IdeaTre60 di Fondazione Italiana Accenture.

Parallelamente al percorso di formazione, il progetto prevede anche la “Call Road to Social Change”. Le organizzazioni del Terzo Settore sono invitate a proporre progetti di community building a forte ricaduta sociale sui territori, capaci di fornire soluzioni in grado di rendere più solide e coese le comunità, stimolando innovazione e nuove economie. È possibile presentare candidature alla Call fino al 30 settembre 2021 tramite il portale di Fondazione Italiana Accenture (https://roadtosocialchange.ideatre60.it/apply/call).

Per maggiori informazioni sul progetto e su come partecipare:  https://www.unicredit.it/it/chi-siamo/educazionefinanziaria/unicredit-talk/road-to-social-change.html

Come migliorare l’efficacia dei programmi di informazione sociale

Una ricerca pubblicata su JEEM (Journal of Environmental Economics and Management) indaga l’impatto di stimolare l’identità ambientale sui consumi energetici

 

Come migliorare l’efficacia dei programmi di informazione sociale? È questa la sfida che viene affrontata nel paper pubblicato sul Journal of Environmental Economics and Management, cui hanno partecipato il prof. Massimo Tavoni e il ricercatore Jacopo Bonan del Dipartimento di Ingegneria Gestionale.

I programmi di informazione sociale rappresentano una tipologia di comunicazione informativa ampiamente utilizzata per stimolare il cambiamento comportamentale. Essi si basano sulla comparazione del comportamento individuale con quello di un gruppo di riferimento. La loro efficacia dipende fortemente dai tratti familiari e individuali. Studi esistenti in economia e psicologia indicano il ruolo dei valori e dell’identità ambientali nella determinazione dei comportamenti ecologici e dell’impatto dell’informazione sociale su di essi.

I ricercatori della School of Management del Politecnico di Milano hanno svolto un ampio “esperimento sul campo” nell’ambito del risparmio energetico domestico, per verificare se l’impatto di un programma di informazione sociale può essere rafforzato sfruttando i valori e l’identità ambientali.

Ad un certo numero di utenti di una società fornitrice di energia elettrica, è stata allegata alla bolletta una comunicazione che stimola l’identità ambientale, oltre che confrontare i propri comportamenti energetici con quelli di altri utenti e con i propri del passato. Sono stati poi confrontati i risultati in termini di cambiamento delle abitudini di consumo energetico di questo gruppo, con quelli del gruppo per cui era stata mantenuta una comunicazione neutra.

I risultati ottenuti sembrano dimostrare che stimolare l’identità ambientale non rafforza in media l’efficacia di un programma di informazione sociale, in termini di riduzione del consumo energetico. Tuttavia, c’è evidenza che stimolare l’identità ambientale può portare a riduzioni dei consumi per soggetti che hanno in passato assunto comportamenti virtuosi dal punto di vista del risparmio energetico.

 

 

Per approfondire:
Can social information programs be more effective? The role of environmental identity for energy conservation
Jacopo Bonan, Cristina Cattaneo, Giovanna d’Adda, Massimo Tavoni
Journal of Environmental Economics and Management, 2021, 102467, ISSN 0095-0696