Intervista a Vittorio Chiesa
Presidente MIP Graduate School of Business
Viviamo in un mondo caratterizzato da crescente contaminazione tra le discipline, in cui i profili professionali richiesti dalle imprese sono mutevoli: quale ruolo può avere una business school in questo contesto?
Il settore delle business school evolve di pari passo con le imprese e con il ruolo che queste assumono nella società in senso ampio. E’ da tempo che alle imprese viene richiesto di operare con “purpose”, ossia agire non solo per profitto ma per scopi più elevati, con la finalità di avere un impatto positivo su tutto il sistema di cui sono parte. Sia i mercati che i consumatori dimostrano una sensibilità crescente sul tema e per questo motivo per le imprese avere un rapporto con i propri stakeholder è diventato un elemento imprescindibile.
Allo stesso modo, le business school devono avere la medesima attenzione sia nei confronti degli allievi, sia nei confronti delle imprese. E’ con questo obiettivo in mente che quest’anno abbiamo ottenuto la certificazione Bcorp (Benefit Corporation) entrando nella community internazionale di società che si distinguono per l’impegno a coniugare profitto, ricerca di benessere per la società, inclusione, attenzione all’ambiente.
Il “purpose” deve diventare parte fondamentale nello sviluppo delle competenze delle persone, affinché si formino manager capaci di concepire l’impresa al servizio della società.
Si tratta di un salto culturale che le stesse imprese ci chiedono e che possiamo facilitare, insegnando ai nostri allievi come un’impresa possa e debba contribuire in modo positivo in un sistema e un territorio.
E’ questo il nostro ruolo: preparare professionisti a introdurre innovazioni fortemente orientate a “purpose” di natura non solo economica ma anche sociale.
La multidisciplinarietà è funzionale a questo obiettivo in quanto impone ampiezza di vedute, flessibilità, spirito critico, intuizione. Formare oggi non è solo specializzare in ambiti ristretti, è soprattutto contaminare con altre discipline per creare profili professionali più completi, capaci di analisi di livello sistemico e in grado di guidare le imprese definendo e ispirandosi ad un “purpose”.
La multidisciplinarietà quindi come strumento per mantenere una mentalità aperta ed elastica nei confronti del mondo. Come integrarla nella formazione?
Tradizionalmente l’approccio alla multidisciplinarietà è quello di fornire prospettive diverse all’interno di un percorso formativo, quindi offrire contributi diversi all’interno della formazione di base e specialistica. La sintesi tra multidisciplinarietà e competenze specialistiche è poi in genere lasciata al singolo individuo.
Ma è possibile applicare un approccio radicalmente diverso integrando in un percorso formativo la multidisciplinarietà, e facendola diventare parte integrante qualsiasi tema si insegni. La sfida oggi è proprio gestire la complessità di questo nuovo approccio, usando per esempio tecniche didattiche innovative che, modificando la logica di interazione tra docente e allievo, possano rendere più efficace questo tipo di formazione. Al momento non è di ampia e facile diffusione, ma sono certamente in corso diverse sperimentazioni.
Richiede una progettazione dei percorsi formativi specifica e quindi anche i docenti, o meglio gruppi di docenti, che operino in team vanno preparati in questa direzione. Dall’altro lato, la formazione multidisciplinare ha bisogno di maggiore interazione, quindi di essere erogata con piccoli gruppi e con forte ricorso a format didattici che coinvolgono gli allievi in modo attivo.
Credo che in futuro l’elemento distintivo tra le offerte formative sarà proprio questo: da un lato iniziative con contenuti specialistici fornite con modalità standardizzate e per grandi numeri, dall’altro iniziative con contenuti più trasversali e metodologie didattiche innovative, dedicate a gruppi più circoscritti.
In questo periodo si parla molto di life-long education come chiave per l’aggiornamento continuo delle competenze. E’ una dinamica che si interseca con quella della multidisciplinarietà?
L’apprendimento continuo vuol dire rimanere allineati con l’evoluzione del contesto e questo avviene solo raramente o in parte attraverso degli approfondimenti verticali. Più spesso equivale ad un allargamento del profilo professionale.
Anche per il life-long learning quindi vale quanto detto finora: deve avvenire su contenuti più ampi, ma anche in modi diversi dal passato, usando per esempio specifiche piattaforme in grado di trattare ampi spettri disciplinari.
“Purpose” e multidisciplinarietà: quali sono i piani del MIP per il futuro relativamente a questi aspetti?
Inserire in tutti i programmi formativi dei moduli sul “purpose”, sul ruolo dell’impresa e quello dei managers in qualità di leader e innovatori in questa direzione.
Sempre su questo tema, inaugurare dei “Purpose lab”, ovvero iniziative formative dedicate a studiare e analizzare in profondità come un’impresa possa costruire il proprio purpose, e supportare così i vertici delle imprese in questa evoluzione.
Infine innovare i formati di erogazione dei nostri servizi, affinché la scuola non sia solo un luogo di formazione, ma un luogo che favorisca la crescita di una persona a tutto tondo: dalla valutazione delle competenze, all’orientamento, allo sviluppo professionale.