Il ruolo delle tecnologie 4.0 per migliorare la sostenibilità nelle strutture logistiche

La ricerca analizza come le tecnologie 4.0 possano migliorare la sostenibilità nelle strutture logistiche, individuando opportunità per aumentare l’efficienza e diminuire l’impatto ambientale. Lo studio evidenzia diverse aree di sviluppo, considerando le implicazioni economiche, sociali e ambientali.

 

Con la crescente complessità delle catene di distribuzione, la necessità di ridurre i tempi di consegna e rispondere ad una domanda progressivamente più articolata ed esigente, i manager della logistica si affidano sempre di più ad una combinazione di soluzioni di magazzino che vedono la coesistenza di attività manuali e automazione, supportata anche dalle tecnologie 4.0, così da bilanciare flessibilità ed efficienza. Questi sviluppi comportano anche implicazioni ambientali e sociali ed emergono pressioni crescenti da parte degli stakeholder per considerare l’effetto di tali tecnologie 4.0 sulla sostenibilità delle strutture logistiche.

Tali implicazioni sono al centro di uno studio pubblicato sulla rivista International Journal of Production Research (IJPR) dal titolo “Reviewing and conceptualising the role of 4.0 technologies for sustainable warehousing”.

Lo studio è il risultato di una collaborazione internazionale tra la POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, con la partecipazione della prof.ssa Sara Perotti e dell’ing. Luca Cannava, l’Universität des Saarlandes in Germania, con il contributo del prof. Eric H. Grosse e la Bayes Business School di Londra, con il coinvolgimento del prof. Jörg M. Ries.

Lo studio, a partire da una attenta analisi della letteratura scientifica, sviluppa un modello concettuale per valutare l’impatto in termini di sostenibilità delle soluzioni 4.0 applicate nelle strutture logistiche, valutandone la triplice prospettiva economica, ambientale e sociale e le implicazioni in termini di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) esaminando l’applicazione delle tecnologie 4.0 nelle diverse fasi dei processi di magazzino (es. ricezione, stoccaggio, prelievo degli ordini, imballaggio e spedizione).

Questo approccio sistematico ha consentito di individuare le aree di lavoro su cui agire per rendere più sostenibili i processi logistici realizzati all’interno dei magazzini (ad esempio in termini di riduzione dei consumi e della carbon footprint) e migliorare l’attività lavorativa degli operatori secondo un approccio human-centric.

In particolare, la ricerca evidenzia come i benefici delle tecnologie 4.0 si realizzano solo attraverso un’integrazione efficiente nei processi di magazzino, la cui efficacia è strettamente legata ai processi coinvolti. In termini di ricadute legate all’adozione delle tecnologie 4.0, vi sono ancora sfide importanti legate all’impatto ambientale e sociale di tali innovazioni.

Lo studio consente infine di identificare quattro principali aree di sviluppo e opportunità per il futuro:

  • “Opportunities from a processual perspective”: legate alla tipologia di processi di magazzino, con una attenzione particolare alle attività di allestimento ordini;
  • “Opportunities from a technological perspective”: opportunità tecnologiche, fra cui quelle legate all’applicazione di soluzioni di intelligenza artificiale;
  • “Opportunities from a measurement perspective”: legate alla misurazione/quantificazione sia sul versante dei KPI ambientali che su metriche legate alle attività svolte dall’operatore, con focus sulle fasi di raccolta e processamento dati;
  • “Opportunities from a sustainability perspective”: opportunità legate alla sostenibilità, in particolare nei contesti che vedono la coesistenza automazione e capitale umano.

 

Per leggere l’articolo completo: Reviewing and conceptualising the role of 4.0 technologies for sustainable warehousing

Leadership, Curiosità e Innovazione: un dialogo con Roberto Verganti

 

Venerdì 20 settembre 2024 si è svolta la cerimonia di conferimento del Dottorato Honoris Causa in Economics and Business Administration da parte dell’Università di Vaasa in Finlandia, al Prof. Roberto Verganti, professore di Leadership & Innovation e co-fondatore del Leadin’Lab alla School of Management del Politecnico di Milano.

Il conferimento del titolo, la cui notizia era stata ufficializzata nel luglio scorso, rappresenta il più alto riconoscimento accademico che l’Università finlandese ha destinato a personalità di rilievo che si sono distinte per i loro contributi scientifici e sociali offrendo benefici significativi all’ateneo e al Paese.

In questa occasione, abbiamo incontrato il prof. Verganti per parlare con lui del percorso che l’ha portato a questo importante risultato.

 

Il dottorato è ciò che tipicamente segna l’inizio di una carriera accademica. Se ripensi ai tuoi inizi, e alle sfide che hai affrontato, quali suggerimenti daresti al “Roberto del passato”?

Vengo da una famiglia umile nella periferia di Milano. Quando mi fu proposto, dal Prof. Emilio Bartezzaghi, di intraprendere la carriera accademica non avevo idea di cosa significasse. Gli studenti vedono solo la parte formativa di quanto facciamo, ma non sanno quanto lavoro ci sia dietro le quinte. Quando ho iniziato, ero completamente inesperto e non avevo chiaro il percorso che avrei intrapreso. Se avessi avuto tempo, all’epoca, forse avrei dovuto dedicarmi anche alla mia crescita complessiva come persona. Il lavoro accademico, infatti si trasforma presto in un ruolo di leadership. Nessuno mi aveva preparato al ruolo di docente, tanto meno a gestire un team o un’istituzione.

 

Pensando invece alle sfide che deve affrontare un dottorando che si approccia oggi al mondo accademico e della ricerca, cosa è cambiato? Che consigli daresti ai dottorandi di oggi?

Oggi, se dovessi dare un suggerimento, sarebbe proprio di dedicare più tempo alla propria crescita personale, oltre che impegnarsi nella ricerca e nella formazione.
Consiglio ai dottorandi di prendersi cura della loro crescita come individui, e non solo come ricercatori. Ne beneficia anche la ricerca. Soprattutto in un momento in cui le tecnologie ci pongono sfide sul lato morale non indifferenti.

 

Pensi che chi comincia il percorso di dottorato adesso riceva questo tipo di formazione?

Non ancora. Parlando del mondo accademico globale (non necessariamente del Politecnico), c’è una crescente attenzione spasmodica alla ricerca e una minore attenzione alla didattica, per cui chi cresce come dottore alla ricerca matura poca formazione alla didattica. Impara un po’ da solo e un po’ per affiancamento ad altri docenti che a loro volta si sono fatti da soli. E soprattutto non riceve nessuna vera formazione alla leadership. Il risultato è che si selezionano e si creano dei ricercatori molto capaci, bravissimi a lavorare da soli, ma che non hanno sviluppato la sensibilità e la sofisticazione del lavoro di leadership e crescita degli altri.

La mia raccomandazione è di prendersi eventualmente più tempo e di non sacrificare la crescita personale e la didattica per voler raggiungere velocemente risultati di ricerca. I ricercatori devono essere innanzitutto donne e uomini di grande sensibilità e profondità. Purtroppo vediamo le università come cattedrali della conoscenza, il che è vero e importantissimo, ma la conoscenza vale poco (o è perfino pericolosa) in assenza di spessore umano. Chi si prende cura di questo?

 

Che valore dai alla ricerca e cosa significa per te fare ricerca oggi?

Dal punto di vista personale, la ricerca è uno dei lavori più belli al mondo. Ci permette di imparare continuamente, in ambiti che ci siamo scelti, e di condividere quanto abbiamo appreso e la nostra visione del mondo con gli altri. E’ una delle cose che fa più piacere nella vita ed è una grande soddisfazione personale.

Dal punto di vista delle università, la ricerca è il motore che alimenta la capacità di insegnare. Oltre agli articoli e ai brevetti, il contributo più potente che la ricerca offre alla società è attraverso gli studenti che formiamo.

È fondamentale che la ricerca goda di piena libertà, soprattutto in un periodo come questo, segnato da sfide cruciali. Un esempio è la pandemia da Covid-19: grazie all’impegno di alcuni ricercatori, che inizialmente non hanno ricevuto il giusto riconoscimento, siamo riusciti a sviluppare un vaccino in tempi record, uscendo dalla crisi in appena otto mesi. Fortunatamente il mondo accademico è libero, altrimenti Drew Weissman e Katalin Kariko’ non avrebbero potuto procedere (con enormi difficoltà) con la loro ricerca sull’mRNA.

La ricerca può produrre risultati concreti di fronte a ogni tipo di sfida, come ad esempio la sostenibilità, dove è indispensabile trovare soluzioni che riducano il nostro impatto sull’ambiente, o nel campo manageriale, dove il fine ultimo è quello di far sviluppare un pensiero critico che aiuti a guidare le organizzazioni in un mondo complesso.

L’università non dovrebbe essere solo un luogo per apprendere metodi e strumenti, ma piuttosto un ambiente in cui coltivare questo pensiero critico verso ciò che ci circonda. In fondo, sono i leader a tracciare la rotta per il futuro del mondo. Spesso, presi dall’urgenza di insegnare concetti e modelli, rischiamo di dimenticare l’importanza di formare persone capaci di riflettere in modo libero e profondo, uomini e donne in grado di prendere decisioni con una visione più ampia e consapevole della realtà che li circonda.

 

Oltre a pensiero critico e visione, chi lavora con te ti riconosce una grande curiosità. Da dove deriva questa curiosità e come fare a nutrirla?

La curiosità nasce dall’ambizione e dal sapere di non sapere. Nel sistema universitario c’è sempre la pressione a dimostrare ciò che si sa, ma la vera curiosità è sapere di non sapere, perché permette di scoprire cosa non si conosce.
È la coscienza che ci spinge a fare meglio, a raggiungere un livello di soddisfazione di cui possiamo essere orgogliosi.

 

Molto della tua ricerca è in collaborazione con le aziende. La vera innovazione nasce da questa sinergia?

Assolutamente. Ho avuto la fortuna di lavorare con tanti manager e tanti leader che hanno accolto l’innovazione design-driven. Quando abbiamo iniziato a fare ricerca ero molto giovane, proprio gli inizi e se ne sapeva poco. E’ stato anche grazie al coraggio di alcuni leader che hanno creduto in noi che è stato possibile sviluppare nuovi approcci all’innovazione.

La ricerca manageriale è pratica e pragmatica: richiede contatto con la realtà, con sfide tecnologiche, ma anche umane. La curiosità e la ricerca del bello sono motori importanti per l’innovazione in azienda.

 

Ci spieghi meglio che cosa intendi per ricerca del bello? Come si fa a parlare di ricerca del bello quando si fa ricerca con le imprese?

Bello, per me, significa cose che hanno senso, non solo dal punto di vista estetico.

La ricerca del bello ti costringe a porti delle domande profonde, è anche ricerca dell’ambizione e fare le cose con cura. E’ quasi una sensazione fisica, il tuo corpo ti dice che qualcosa non funziona in quello che stai facendo e ti impone di raggiungere un livello di soddisfazione più alto, per esserne davvero orgoglioso.

E’ quella coscienza estetica che ti suggerisce che c’è qualcosa che non funziona, e che invece anela a un risultato più elevato.

In un mondo dove la sostenibilità è la sfida, cercare il bello significa creare qualcosa di cui ci innamoriamo e di cui ci prendiamo cura. In un certo senso è il contrario del consumismo: quando qualcosa è bello e ci tieni, non vuoi disfartene, vuoi conservarlo e prendertene cura.

 

Guardando al futuro, quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sto per iniziare una nuova ricerca con la Stockholm School of Economics su arte e innovazione, per esplorare come l’arte possa aiutare i leader a riflettere e affrontare meglio le sfide dell’innovazione. A sviluppare quella ricerca di senso di cui c’è un enorme bisogno. Un progetto molto stimolante, che spero aprirà nuovi orizzonti.

Giulia Piantoni premiata con l’Outstanding Paper Award agli Emerald Literati Awards 2024

Il paper, scritto in collaborazione con Marika Arena e Giovanni Azzone, analizza come diversi ecosistemi di innovazione possano creare valore condiviso, identificando tre archetipi principali. Questo lavoro, pubblicato sull’European Journal of Innovation Management, è stato premiato per il suo impatto scientifico e il potenziale nel generare cambiamenti concreti nel mondo reale.

 

Giulia Piantoni, Junior Assistant Professor presso la School of Management del Politecnico di Milano, ha ricevuto l’Outstanding Paper Award nell’ambito degli Emerald Literati Awards 2024 per il paper intitolato “Exploring How Different Innovation Ecosystems Create Shared Value: Insights from a Multiple Case Study Analysis”.
Il lavoro, scritto insieme ai docenti Marika Arena e Giovanni Azzone, è stato premiato per il suo contributo significativo.

Gli Emerald Literati Awards sono un riconoscimento prestigioso che Emerald Publishing assegna ogni anno a lavori di eccezionale valore scientifico. I paper premiati si distinguono per una struttura particolarmente solida e per il contributo innovativo apportato alla letteratura esistente. Un paper vincitore, come in questo caso, è valutato per il suo impatto non solo in ambito accademico ma anche nel mondo reale, dimostrando potenziale nel supporto alla generazione di cambiamenti concreti.
I paper premiati, scelti da una giuria composta dal comitato editoriale di riviste Emerald, rappresentano i contributi più notevoli dell’anno precedente.

La ricerca di Giulia Piantoni e dei suoi co-autori si concentra sugli ecosistemi di innovazione e sulla loro capacità di sostenere la creazione di valore condiviso. Gli ecosistemi di innovazione sono reti composte da diversi attori che, grazie alle relazioni dinamiche e orizzontali che intercorrono tra loro, possono co-creare valore a beneficio di tutte le parti coinvolte, favorendo così innovazione e sostenibilità.

Il paper identifica tre archetipi principali di ecosistemi di innovazione: Hub- and Chain-Driven, Place-Driven, e Competence- and Issue-Driven innovation ecosystems, caratterizzati da differenze in termini di prossimità fisica e presenza di una problematica dominante condivisa tra i vari attori. Attraverso l’analisi di questi archetipi, la ricerca mira a comprendere le dinamiche di creazione del valore condiviso all’interno di ciascuno di essi, con un particolare focus sul ruolo delle pratiche di gestione e delle politiche adottate.

Il paper è stato pubblicato sull’European Journal of Innovation Management ed è disponibile in open access al seguente link: Exploring how different innovation ecosystems create shared value: insights from a multiple case study analysis | Emerald Insight

Come le crisi finanziarie rimodellano le reti globali di produzione: lezioni dalla grande crisi del 2007

Le crisi finanziarie non solo danneggiano le economie direttamente coinvolte, ma si propagano modificando le reti multinazionali di produzione, con effetti duraturi a livello globale.

 

Le crisi finanziarie hanno un impatto significativamente negativo e duraturo sull’attività economica, causando forti cali nella produzione, nel credito e nell’occupazione. Questi effetti si estendono oltre i paesi direttamente colpiti dalla crisi, diffondendosi attraverso le attività delle imprese multinazionali nell’ambito delle reti globali di produzione. Queste reti possono agire come canali di trasmissione, poiché lo shock si propaga tra le affiliate situate in paesi con diversi livelli di esposizione alla crisi finanziaria.
Inoltre, la riorganizzazione della rete di una multinazionale a seguito di uno shock finanziario può ulteriormente propagare la crisi.

Uno studio di Giulia Felice, Professoressa di Economia Internazionale presso la School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con Sergi Basco, Bruno Merlevede e Marti Mestieri, esamina come le imprese multinazionali possano facilitare la diffusione delle crisi finanziarie tra paesi.

Pubblicata sul Journal of International Economics, la ricerca si concentra sulle reti multinazionali europee durante la crisi finanziaria della fine degli anni 2000 ed esamina come lo shock finanziario abbia alterato la struttura delle reti di produzione multinazionali, influenzando la performance delle società madre e le loro decisioni riguardanti le affiliate negli anni a venire.

Gli autori, utilizzando un nuovo dataset che traccia l’evoluzione delle imprese multinazionali europee (MNE) e delle loro reti dal 2003 al 2015, per un totale di circa 18.000 reti multinazionali, hanno mostrato che a seguito di una crisi finanziaria, le affiliate possono essere escluse dalle reti di produzione anche se il paese in cui si trovano non è direttamente colpito. Allo stesso modo le società madre possono subire perdite di ricavi e occupazionali se le loro affiliate sono situate in aree colpite dalla crisi. Nel periodo 2006-2015, le reti di produzione che hanno subito uno shock maggiore sono cresciute meno e sono diventate più “locali” (con distanze ridotte tra società madri e affiliate, e tra affiliate). Inoltre, la complessità delle attività produttive di queste reti si è ridotta.

Lo studio evidenzia anche il ruolo cruciale dei vincoli di credito, e quindi dell’efficienza del sistema finanziario di un paese, nel determinare questi effetti. L’impatto negativo è stato più pronunciato per le società madre più indebitate prima della crisi, le cui reti di produzione operavano in settori finanziariamente più dipendenti, e per le affiliate più indebitate.

Considerata la natura ricorrente delle crisi finanziarie, è fondamentale comprendere come esse modifichino le catene di approvvigionamento globali e le relative implicazioni economiche. La riorganizzazione delle reti di produzione multinazionali a causa di shock finanziari può infatti avere conseguenze a lungo termine sull’efficienza produttiva, sulla diffusione dell’innovazione e sull’occupazione sia nei paesi direttamente colpiti che in altri paesi.

 

Per leggere l’articolo completo:
Financial crises and the global supply network: Evidence from multinational enterprises o la sintesi su VOX-EU.

Roberto Verganti riceve il Dottorato Honoris Causa dall’Università di Vaasa

 

Roberto Verganti, professore di Leadership & Innovation e co-fondatore del Leadin’Lab alla School of Management del Politecnico di Milano, riceverà il Dottorato Honoris Causa dall’Università di Vaasa, in Finlandia, il prossimo settembre. Questo riconoscimento verrà assegnato insieme ad altre illustri personalità come il Presidente della Repubblica finlandese, un ministro e vari leader aziendali internazionali.

 

Il Dottorato Honoris Causa rappresenta il massimo riconoscimento accademico che un’università può conferire. Quest’anno, l’Università di Vaasa ha scelto di onorare 12 figure di spicco che si sono distinte per i loro contributi scientifici e sociali, apportando benefici significativi all’ateneo e al Paese. Tra i premiati, oltre a Verganti, figurano il Presidente della Finlandia Alexander Stubb, il ministro dell’Agricoltura e Foreste Sari Essayah, Jacob Wallenberg, Presidente di Investor AB, e Björn Rosengren, CEO di ABB.

Roberto Verganti riceverà il Dottorato Honoris Causa in Economics and Business Administration. Oltre al suo ruolo al Politecnico di Milano, Verganti insegna alla Stockholm School of Economics, dove dirige “The Center for Art and Innovation”. È inoltre visiting lecturer alla Harvard Business School e ha collaborato con la Copenhagen Business School e la California Polytechnic University. Verganti è ambasciatore per l’European Innovation Council della Commissione Europea.

I suoi studi si concentrano sull’intersezione tra leadership, design e gestione della tecnologia, esaminando come leader e organizzazioni possono creare innovazioni significative e visioni radicalmente nuove. La sua collaborazione con l’Università di Vaasa si è focalizzata in particolare sull’innovazione guidata dal design e su come valorizzare le risorse forestali del paese scandinavo.

La cerimonia di conferimento dei dottorati si terrà a settembre e sarà la sesta nella storia dell’Università di Vaasa.

Per ulteriori informazioni, visita il sito dell’Università di Vaasa.

APM Conference 2024: Tristano Sainati e Giorgio Locatelli vincono il premio “Research Paper of the Year”

Durante la Conferenza APM 2024, intitolata “Navigating Tomorrow: Future Skills for Project Professionals”, svoltasi il 5 e 6 giugno 2024, sono stati annunciati i vincitori degli Education and Research Awards.

 

L’Associazione per il Project Management (APM) è un’organizzazione dedicata alla promozione della scienza, della teoria e della pratica della gestione di progetti e programmi, con l’obiettivo di fornire benefici al pubblico attraverso l’istruzione, le qualifiche e la conduzione di ricerche nel campo della gestione dei progetti.

La conferenza annuale APM, “Navigating Tomorrow”, ha rappresentato un’importante occasione per i partecipanti di approfondire il tema dello Skills Gap, confrontarsi sulla continua evoluzione della professione e comprendere il profondo impatto che essa sta avendo a livello globale.

Nel corso dell’evento, sono stati riconosciuti i contributi accademici eccezionali nel campo della gestione dei progetti, annunciando Tristano Sainati e Giorgio Locatelli della School of Management del Politecnico di Milano vincitori del premio “Research Paper of the Year”.

Il loro articolo di ricerca, intitolato “Digging in the megaproject’s graveyard: Why do megaprojects die, and how to check their health?”, è stato premiato per l’esame approfondito della conclusione dei megaprogetti infrastrutturali durante la fase di consegna.

La ricerca ha analizzato 30 megaprogetti terminati durante la fase di consegna, introducendo una nuova teoria, “The Reverse Escalation of Commitment”, che chiarisce le ragioni dietro l’abbandono dei megaprogetti e le circostanze che portano a tali decisioni, fornendo una lista di controllo pratica per valutare lo stato di salute dei megaprogetti infrastrutturali.

Questo riconoscimento sottolinea l’importanza del lavoro svolto da Sainati e Locatelli nel contribuire alla comprensione e al miglioramento della gestione dei megaprogetti, fornendo strumenti utili per il futuro della professione.

 

Per maggiori dettagli sull’articolo: https://www.apm.org.uk/apm-conference/er-awards/research-paper-of-the-year/

Promuovere la Transizione e favorire l’Innovazione Sostenibile: Il Progetto MUSA Spoke 5

 

Milano è rinomata a livello globale per la sua industria del lusso, che comprende moda, design e tutti i settori correlati come la bellezza e la gioielleria. Queste industrie stanno attualmente subendo una profonda trasformazione, fondendo i loro elevati standard e caratteristiche eccezionali con la crescente domanda globale dei consumatori per prodotti e pratiche sostenibili.

Per gestire la complessità di questa transizione, MUSA Spoke 5, un progetto finanziato dal PNRR mira a progettare e diffondere best practice fornendo supporto per favorire l’innovazione sostenibile a partire dalla municipalità di Milano.

L’evento “Dove il lusso incontra la sostenibilità” tenutosi il 16 maggio 2024 al Politecnico di Milano ha segnato un passo significativo in questo percorso, creando una comunità di aziende interessate ad attivare un processo di collaborazione, attivando una dialogo costruttivo verso nuove pratiche grazie ad interventi di ospiti rinomati.

Gli ospiti hanno arricchito la conversazione fornendo approfondimenti sulle principali innovazioni nei settori correlati, a partire dal ruolo che le tecnologie digitali possono offrire.

Paolo Stella, influencer e direttore creativo del progetto @suonarestella ha condiviso il valore di riflettere criticamente sul ruolo che gli oggetti intorno a noi possono svolgere per nutrire l’innovazione.
Durante l’incontro ha presentato il progetto Suonare Stella come un’opportunità per sfruttare i social media per generare consapevolezza su campi come il design, tradizionalmente lontani dalla coscienza mainstream, introducendo nuovi concetti e tendenze a un pubblico più ampio.

Per rafforzare il ruolo della digitalizzazione, Valentina Pontiggia, Direttrice dell’Osservatorio eCommerce B2c e Innovazione Digitale nel Retail degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano ha sottolineato l’importanza di integrare le tecnologie digitali per supportare l’innovazione sostenibile.
Attraverso la ricerca degli osservatori, ha evidenziato come l’analisi dei dati e la tracciabilità dei prodotti stiano diventando cruciali per promuovere un’innovazione equa e affidabile. Questa integrazione non solo migliora la sostenibilità ambientale, ma rafforza anche la responsabilità sociale.

Carlo Salvato, Professore di Strategia aziendale all’Università Bocconi di Milano, ha contribuito al dialogo discutendo di come le piccole e medie imprese (PMI) possano raggiungere l’innovazione sostenibile sfruttando le loro capacità uniche di flessibilità e connessione locale. Condividendo i dati della ricerca dell’Osservatorio AUB, ha sottolineato l’importanza della diversità in termini di età e genere come catalizzatori per un’innovazione accresciuta e prestazioni superiori, mettendo in luce il potenziale dei team diversificati per guidare il progresso nella sostenibilità.

Edoardo Iannuzzi, fondatore della startup ACBC, ha sottolineato, riecheggiando i valori fondamentali della comunità MUSA, che la trasformazione sostenibile va oltre i cambiamenti materiali. Comporta una rimodellazione fondamentale delle collaborazioni tra le parti interessate e la promozione dell’innovazione sistemica. Con la sua azienda, Iannuzzi ha evidenziato la necessità di creare un sistema globale e interconnesso in cui vari attori cooperano per ridurre il consumo di materiali e promuovere pratiche sostenibili.

L’essenza di questo evento risiedeva nella sessione di matchmaking, instaurando i primi legami all’interno della comunità di aziende nei settori della moda, del design, della bellezza e del lusso. Questa comunità mira a riunire aziende già impegnate nella sostenibilità con quelle che aspirano a transitare verso pratiche più sostenibili, favorendo la collaborazione per sostenersi reciprocamente nel plasmare un futuro sostenibile. La diversità dei background dei partecipanti rafforza le opportunità di innovazione che queste interazioni consentono, diventando un’opportunità fondamentale per interagire con aziende che sono tipicamente difficili da raggiungere.

L’obiettivo finale della comunità MUSA è diventare un hub centrale per promuovere pratiche innovative e supportare sia le PMI che le aziende affermate nel loro percorso verso l’innovazione sostenibile. Per raggiungere questo obiettivo, MUSA Spoke 5 attiverà nel prossimo periodo una piattaforma digitale per nutrire e sostenere nel tempo questa comunità, aprendo la strada a un futuro più sostenibile nell’industria del lusso di Milano.

 

 

Liberare il vero potenziale del riciclo: un cambiamento verso l’economia circolare

Uno studio di Davide Chiaroni su The Parliament Magazine

 

Nell’odierno dibattito, il riciclo è spesso salutato come una strategia chiave per la sostenibilità. Tuttavia, questa concezione comune tende a semplificare eccessivamente il concetto, trascurando in particolare la distinzione cruciale tra riciclo lineare e circolare.

L’articolo “Why a circular economy would be a game-changer for the EU” di Davide Chiaroni, docente della School of Management del Politecnico di Milano pubblicato suThe Parliament Magazine” approfondisce questo argomento, sottolineando l’urgente necessità che l’Unione Europea (UE) abbracci le pratiche di riciclo circolare per migliorare la produttività industriale e mantenere la competitività globale.

Il riciclo lineare, come semplice componente della gestione dei rifiuti, soffre infatti di notevoli svantaggi.

Innanzitutto, si tratta quasi sempre di downcycling, in cui i materiali recuperati vengono reimpiegati in prodotti di valore inferiore, diminuendo la loro redditività economica. Inoltre, è impostato sulla base della “origine” dei materiali, ossia da quale filiera provengono, e non sulla loro “natura”, facendo fare quindi allo stesso oggetto percorsi completamente diversi (ed a volte molto tortuosi) ed inefficienti.

Il riciclo circolare offre invece una soluzione trasformativa. Dando priorità all’upcycling, i materiali mantengono o addirittura aumentano il loro valore quando vengono reintrodotti nei cicli produttivi. Questo approccio richiede però la separazione meticolosa dei materiali in base alle loro proprietà, consentendo la loro reintegrazione nel processo produttivo, e la contemporanea collaborazione tra produttori e riciclatori fin dalla fase di progettazione.

La posta in gioco per l’UE è alta. Con importazioni consistenti di materiali critici come litio, cobalto, silicio e terre rare, la transizione verso il riciclo circolare è essenziale per ridurre la dipendenza dalle risorse e bilanciare la domanda e l’offerta di materiali.

L’articolo esplora questi temi in dettaglio, fornendo approfondimenti sui limiti del riciclo lineare e sul vasto potenziale di un approccio circolare.

 

 

Per saperne di più
Davide Chiaroni
Why a circular economy would be a game-changer for the EU

The Parliament Magazine, May 2024

Il nuovo ruolo delle DAO nella ricerca sanitaria

Uno studio sui vantaggi delle organizzazioni autonome decentrate rispetto ai sistemi tradizionali di finanziamento

 

Una nuova modalità di finanziamento della ricerca in ambito farmacologico/sanitario, con l’obiettivo di superare alcuni vincoli e rendere disponibili migliori cure per tutti.

È il focus di uno studio pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology da Laura Grassi, docente di Investment banking e del Finance Lab della School of Management del Politecnico di Milano.

Nel campo farmaceutico, i lunghi cicli di sviluppo, i costi elevati, i tassi di fallimento significativi e l’incertezza sui prezzi rappresentano ostacoli sostanziali allo sviluppo di nuovi farmaci. I sistemi di finanziamento tradizionali, basati sull’utilizzo di equity o grant, si rivelano spesso lenti e inadeguati per rispondere alle esigenze della ricerca innovativa.

In questo contesto, le Organizzazioni Autonome Decentralizzate (DAO) emergono come una possibile promettente alternativa. Le DAO utilizzano la tecnologia blockchain per facilitare una governance trasparente e decentralizzata, permettendo decisioni rapide e dirette senza la necessità di intermediari. Attraverso gli smart contract, le DAO possono rapidamente eseguire azioni complesse, migliorando l’efficienza e riducendo le barriere burocratiche e amministrative.

Lo studio si è concentrato, in particolare, su VitaDAO, un esempio di come una DAO possa essere impiegata nel settore delle scienze della vita.

Focalizzata sul finanziamento della ricerca sulla longevità, VitaDAO consente agli stakeholder di partecipare attivamente alla governance e al processo decisionale attraverso l’emissione di token, che conferiscono diritti di voto e una quota di proprietà dell’organizzazione. Questo modello non solo democratizza il processo di finanziamento, ma allinea anche gli interessi dei partecipanti verso l’obiettivo comune dell’avanzamento della ricerca.

Tuttavia, pur offrendo numerosi vantaggi come la trasparenza e l’efficacia decisionale, diversi sono i punti di attenzione. La regolamentazione delle DAO e dei token utilizzati può essere complessa e variare significativamente tra diversi contesti legali, creando incertezze. Inoltre, la gestione delle decisioni in modo completamente decentralizzato e pubblico può richiedere tempo e compromettere l’efficienza in situazioni di crisi.

Nonostante questi ostacoli, il caso di VitaDAO illustra il potenziale rivoluzionario delle DAO nel superare le limitazioni del sistema attuale di finanziamento della ricerca. Attraverso collaborazioni strategiche, come quella realizzata con Pfizer, VitaDAO non solo ha validato il suo modello operativo ma ha anche dimostrato la sua capacità di attrarre investimenti significativi, favorendo un ambiente di R&D più aperto e produttivo nel settore delle scienze della vita.

 

Per saperne di più
The potential of DAOs for funding and collaborative development in the life sciences.

QS University Rankings, il Politecnico di Milano mai così in alto

Prima università in Italia e al 111º posto nel mondo. Guadagna 12 posizioni rispetto all’anno scorso ed entra nel top 8% mondiale

 

Il Politecnico di Milano raggiunge il risultato più alto di sempre nel QS World University Ranking 2025. L’ateneo si classifica quest’anno al 111º posto su un totale di 1503 università globali, registrando un notevole miglioramento di 12 posizioni rispetto all’anno scorso. Prosegue l’ascesa nel più importante ranking universitario del mondo: il Politecnico di Milano per la prima volta entra nel top 8% delle università di eccellenza globali.

Un risultato reso possibile grazie a importanti fattori, che hanno contribuito al raggiungimento di questa posizione. Il Politecnico di Milano si posiziona tra le prime 100 università al mondo per reputazione accademica e aziendale. L’ateneo ha ottenuto, infatti, un miglioramento nel punteggio dell’Academic Reputation, passando dalla 94° alla 90° posizione. Per l’Employer Reputation invece il balzo è di ben 17 posizioni, arrivando alla 82° posizione.

Risultati positivi anche per l’International faculty, con 10 posizioni guadagnate grazie alle azioni di internazionalizzazione, e le 251 posizioni guadagnate per la sostenibilità, effetto delle molte azioni condotte nell’ultimo anno, molte delle quali promosse dal Piano Strategico di Sostenibilità di ateneo.

“L’avanzamento del Politecnico di Milano nel ranking globale QS è un risultato che premia gli sforzi dell’ateneo per offrire maggiori opportunità di studio e di ricerca per i giovani, a un livello sempre più alto. Grazie al nostro Piano Strategico triennale abbiamo guadagnato posizioni anche nell’ambito della sostenibilità, confermando che la strada intrapresa è quella giusta anche dal punto di vista dell’impatto sociale e ambientale”

commenta Donatella Sciuto, Rettrice del Politecnico di Milano.

“Un dato particolarmente significativo è che quest’anno le università analizzate, da 106 Paesi nel mondo, sono state 5663, rispetto alle 2963 dello scorso anno. Questo incremento nel numero delle istituzioni valutate rende il nostro risultato ancora più importante, dimostrando che il Politecnico di Milano continua a eccellere in un contesto sempre più internazionale e competitivo.”

Questi dati confermano gli ottimi risultati del Politecnico di Milano, che si posiziona tra le prime 25 università al mondo in Design, Architettura e Ingegneria, secondo la classifica delle migliori università per ambito disciplinare, il QS World University Rankings by Subjects 2024 pubblicata lo scorso aprile. In Design e Architettura il Politecnico si classifica al 7° posto. Per quanto riguarda Ingegneria si posiziona nel top 25 mondiale, attestandosi in 23° posizione.