Essere imprenditori in un mondo interconnesso

Ne parliamo con Andrea Sianesi, Professore di gestione dei sistemi logistici e produttivi della School of Management
Presidente Esecutivo PoliHub, Innovation District e Startup Accelerator del Politecnico di Milano

 

Andrea, sei a capo di un incubatore, e quindi abbracci nuove idee imprenditoriali quando sono ancora nella culla. Che caratteristiche ha un buon imprenditore in questo momento storico?

Prima di tutto coraggio. E questa è la stessa risposta che avrei dato anche prima della crisi provocata da Covid-19. L’iniziativa imprenditoriale è un salto nel vuoto, e impegnare risorse e tempo per sviluppare idee richiede sangue freddo.
Oltre al coraggio, credo sia fondamentale la capacità di correggere i propri errori e far tesoro degli “inciampi” che capitano durante il percorso.

Do per scontato ovviamente la necessità di possedere conoscenze tecniche e tecnologiche che riguardano la propria impresa. L’imprenditore che passa per PoliHub, in genere, ha una solida competenza tecnologica, mentre si trova ad essere un po’ più debole sulle conoscenze legate al mondo del business. Per questo, l’imprenditore deve essere aperto a fare partnership con altre persone che possano portare all’impresa competenze complementari, come ad esempio la capacità di sviluppo del mercato, o la conoscenza del framework normativo di riferimento.
Bisogna sempre essere disponibili a farsi aiutare.

PoliHub è un incubatore universitario: perché serve l’università, e a cosa esattamente?

L’ecosistema universitario è un asset fondamentale per chi vuol fare impresa. In particolare, al Politecnico di Milano, garantiamo contemporaneamente accesso alla business school, agli hub di innovazione POLI.design e Cefriel, a migliaia di docenti e ricercatori, a laboratori che coprono tutte le discipline ingegneristiche e che sono fondamentali, ad esempio, nel processo di trasformazione di un’idea a prodotto.

E noi per questo motivo non siamo soltanto un luogo che ospita le start up: offriamo un contesto unico rispetto ad altri incubatori. Spesso, nelle start up deep tech, è necessario svolgere attività sperimentale in laboratori che di fatto si trovano solo in università, e ci sono imprese che, seguendo sviluppi tecnologici in diversi settori, hanno distaccato alcuni loro dipartimenti per venire a localizzarsi da noi. Questo consente loro di collaborare e interagire con le start up e allo stesso modo avere la stessa facilità di accesso all’hub nella sua interezza.

Questo fa la differenza e i numeri ce lo confermano. Faccio un esempio: PoliHub, assieme al TTO (Techology transfer office) del Politecnico di Milano, gestisce ogni anno Switch To Product, il programma che valorizza sul mercato soluzioni innovative, nuove tecnologie e idee di impresa proposte da studenti e laureati da un massimo di tre anni, ricercatori, alumni e docenti del Politecnico di Milano, offrendo risorse economiche e servizi consulenziali per supportare lo sviluppo dei progetti d’innovazione attraverso percorsi di validazione tecnologica e accelerazione imprenditoriale. Quest’anno la call ha avuto un incremento delle domande del 20%. Si tratta di una crescita molto significativa, che ci fa anche ben sperare nell’aumento di nuove imprese di successo.

Covid-19 ha ribaltato il tavolo, modificando i confini e gli ecosistemi di business; gli effetti potrebbero essere di breve o di lungo periodo, che cosa hai osservato in particolare a riguardo?

Negli ultimi mesi si è temuto che la pandemia potesse spazzare via il mondo delle start up, che sono impossibilitate ad accedere a forme di sussidio messe in campo per altre categorie imprenditoriali e professionali. Il problema è reale e contingente: le start up oggi si trovano in maggiore difficoltà rispetto a imprese già navigate, ma per il momento il sistema sta reggendo e sta dando anche segnali incoraggianti.

L’effetto inatteso è stato infatti un aumento della domanda di accesso ai servizi di incubazione. C’è una forte richiesta di entrare nel mondo imprenditoriale, forse dovuto anche alla presa di coscienza che ora più che mai è necessario sapersi rimettere in gioco, anche per coloro che hanno una carriera consolidata, creando nuove opportunità di reddito laddove venisse meno una stabilità lavorativa.

E l’incremento della domanda di servizi avviene non solo da parte di potenziali start up, ma anche di aziende già formate, che decidono di delocalizzarsi in uffici più piccoli e snelli situati accanto a centri di eccellenza. Una nuova tendenza forse facilitata anche dal diffondersi dello smart working, che rende di più facile gestione uffici piccoli rispetto a sedi più grandi.

Dipingi un quadro con diverse opportunità all’orizzonte. Quali sono quindi i programmi futuri di Polihub?

La sfida per noi rimane quella di trovare le risorse che possano accompagnare le start up dall’idea, e quindi dall’università, con il suo fermento e la disponibilità di risorse legate a progetti europei e grant, a fondi e investitori disponibili a sostenerle in tutta la fase della loro crescita.

Mi piace visualizzare il processo come l’attraversamento di una valle: le start up hanno bisogno di un “ponte” tra le due fasi, di un accompagnamento che permetta loro di avere le risorse necessarie per rendere la loro idea interessante per gli investitori.
E affinchè l’idea sia interessante necessita di due elementi: dimostrarsi solida e verificata dal punto di vista tecnico, e avere un mercato target a cui rivolgersi.

Spesso le prove tecniche richiedono già investimenti considerevoli e tempi lunghi: noi ci impegniamo per far sì che questo “ponte” sia efficace, e possibilmente breve, rispetto agli obiettivi.

Il nostro progetto per il futuro è quindi quello di lavorare certamente per reperire investitori istituzionali e venture capital, ma con un approccio di ampio respiro che contempli il contesto internazionale e non solo una esposizione domestica delle nostre start up.

Abbiamo intenzione di pensare in logica internazionale, non solo per quanto concerne la parte finanziaria, ma anche per quanto riguarda l’uso di tutti i possibili asset messi a disposizione dal network degli incubatori di eccellenza su scala mondiale.

Siamo certi che mettere a fattor comune queste capacità ci permetterà di fare davvero la differenza.

Disruption? No grazie. Innovazione e Leadership nel New Normal

Qualunque sia il futuro post-Covid, la nuova normalità richiederà un cambiamento fondamentale nella guida delle aziende. Che tipo di mentalità dovranno avere i leader per fare business e innovazione in un mondo che sarà completamente diverso? In un periodo in cui la tentazione sarà di essere sempre più competitivi a causa delle scarse risorse a disposizione, imparare a condividere può essere l’unica strategia in grado di garantire la sopravvivenza.

 

Roberto Verganti, Professore di Leadership and Innovation
School of Management Politecnico di Milano, Stockholm School of Economics e Harvard Business School

 

Molti manager si interrogano su un quesito fondamentale: come prepararsi alla “nuova normalità”? Come saranno i mercati quando l’ondata o le ondate principali della pandemia di Covid-19 si esauriranno? Come riprogettare prodotti, servizi e operatività per affrontare i. cambiamenti dello scenario?
La scadenza per ripensare il nostro modo di operare è sempre più vicina. Chi si prepara ora inizierà con il piede giusto. Chi aspetta sembrerà un dinosauro di un’altra era (anche se quell’era risale ad appena qualche mese fa).

Riviste, futuristi, consulenti, organizzazioni. Tutti cercano di immaginare come sarà il New Normal. E tutti sono d’accordo su due cose: in primo luogo, il mondo avrà un aspetto diverso rispetto a prima. In secondo luogo, questa trasformazione non sarà temporanea. Anche quando il Covid-19 sarà completamente sconfitto (e si spera lo sarà), il nostro atteggiamento verso la socializzazione, la nostra apertura verso il mondo, il nostro bisogno di salute (e l’ansia per le nuove infezioni), saranno radicalmente diversi, nel bene e nel male.

Eppure, mentre ci avviciniamo sempre più e esploriamo una nuova vita, i nuovi mercati, la nuova operatività, emerge la vera sfida: il fenomeno che stiamo affrontando è senza precedenti, così sproporzionato e rapido che è inverosimile poter cogliere l’essenza di ciò che accadrà. Un semplice numero per spiegare la rapidità e l’entità della discontinuità: nel marzo 2020 oltre 7 milioni di americani a settimana hanno presentato richiesta di sussidi di disoccupazione. Questo numero è quasi decuplicato rispetto a quanto accaduto durante la crisi finanziaria del 2008. Pertanto, a prescindere dalla perspicacia e dallo sforzo profuso per prevedere cosa accadrà, dobbiamo ammettere che la risposta alla domanda “come sarà il mondo?” è: nessuno lo sa veramente. Questo ci sgomenta, perché per come solitamente immaginiamo i leader (e gli esperti), supponiamo che sappiano sempre tutto. Eppure, in questo contesto, “fingere di sapere” è l’errore più tragico che si possa commettere.

Amy Edmondson illustra nel suo libro The Fearless Organization che quando una persona ammette di non sapere, essa apre le porte all’apprendimento. Per capire come fare business nella nuova normalità, l’atteggiamento mentale di cui abbiamo bisogno non è quindi indovinare come sarà, ma prepararsi ad imparare.

Come? Essendo il contesto completamente nuovo, non possiamo fare affidamento sulle esperienze passate. Dovremo imparare “in corsa” attraverso continui esperimenti e adattamenti. Ci sono due modi per sperimentare e imparare: competere (imparare da soli) o collaborare (imparare condividendo).

Imparare da soli. Questo è il classico modo di imparare. L’obiettivo è di imparare meglio degli avversari per poter superare la concorrenza. Con questo approccio, le aziende competono tra loro conducendo diversi esperimenti. L’apprendimento, in altre parole, è una leva di differenziazione. Ogni azienda prova le proprie idee, fallisce, impara, corregge il tiro e ripete. Dal momento che le aziende mirano a battere la concorrenza, non vorranno certo condividere i propri risultati e approfondimenti con altre aziende, né i dati che alimentano l’apprendimento. Ciò implica che ogni volta che un’azienda ha un’idea, essa deve studiarla e analizzarla affidandosi solo alle proprie risorse.

Imparare condividendo. Anche con questo approccio, le aziende conducono diversi esperimenti. Generano le proprie idee e ripetono. Tuttavia, condividono i dati e i risultati dei propri esperimenti. Perché? Perché in questo modo possono apprendere dalle prove degli altri player. Se un’idea è già stata testata e fallisce, altri possono evitare questo percorso poco promettente e concentrarsi su altre opzioni. E se l’idea ha successo, altri possono costruire su di essa, invece di partire tutti da zero. Naturalmente questo percorso riduce le distanze tra i concorrenti. Tuttavia, il vantaggio è che questo approccio richiede meno risorse (individuali e collettive) e meno tempo per trovare buone soluzioni. Questo aumento della produttività complessiva e della velocità facilita la crescita della domanda di soluzioni, il che alimenta i rendimenti per ogni player. In altre parole, questo meccanismo di apprendimento replica i meccanismi del dilemma del prigioniero: la cooperazione tra i player porta a rendimenti superiori di quelli che i player otterrebbero se massimizzassero i propri rendimenti individuali.

Imparare da soli è il tipo di apprendimento che è stato promosso nell’ultimo decennio da molti studiosi dell’innovazione ed esemplificato dal motto “fail often to succeed sooner”. Ha funzionato fintanto che l’ambiente è cambiato rapidamente ma in modo lineare, così che l’apprendimento proveniente da un esperimento potesse essere applicato a quello successivo senza che nel frattempo il contesto cambiasse drasticamente. Il cambiamento che stiamo affrontando ora con il Covid-19 è invece discontinuo e senza precedenti. Se in questo contesto ognuno conduce esperimenti da solo, non c’è tempo sufficiente per ciascun player di analizzare questo spazio inesplorato delle soluzioni e poi ripetere prima che il contesto si evolva di nuovo.

Per innovare nella nuova normalità dobbiamo imparare condividendo. Questa strategia è l’unica in grado di garantire sufficiente margine, velocità e produttività degli esperimenti. Infatti, la condivisione dei dati permette ad una più ampia comunità di player di partecipare agli esperimenti, includendo una gamma più eterogenea di contesti. E la condivisione dei risultati permette di evitare test improduttivi.

L’apprendimento attraverso la condivisione è già praticato nella ricerca scientifica legata al Covid-19. Per esempio, PostEra, una start-up con sede a Santa Clara, California e Londra, sta coordinando un grande progetto di collaborazione, Covid Moonshot, per sviluppare rapidamente farmaci anti-Covid efficaci e facili da produrre. L’obiettivo del progetto è quello di progettare gli inibitori della proteasi principale della SARS-CoV-2 (l’enzima che permette al virus di replicarsi). Il progetto fa leva sui dati condivisi da esperimenti condotti presso un laboratorio delle radiazioni da sincrotrone, Diamond Light Source, il quale ha identificato 80 frammenti di molecole che potrebbero legarsi alla proteasi. Una comunità di scienziati e produttori utilizza questi dati per progettare gli inibitori dei composti, i quali vengono sottoposti attraverso il sito web di PostEra. La start-up esegue poi gli algoritmi di machine learning in background per verificare la presenza di duplicazioni e dare priorità ai candidati per i test. Sono stati presentati più di 3.600 tipi di molecole con solo 32 duplicazioni nei progetti.

L’apprendimento condiviso si sta facendo strada anche nei profit business non collegati al Covid-19. Microsoft ha recentemente lanciato una campagna Open Data. Il movimento Open Data promuove la condivisione dei dati, analogamente a quanto fa Open Source con la condivisione del codice software. Microsoft svilupperà 20 nuove collaborazioni basate su dati condivisi entro il 2022, tra cui, ad esempio, la pubblicazione di un set di dati Microsoft sull’utilizzo della banda larga negli Stati Uniti.
Da notare che l’apprendimento condiviso non implica che player diversi collaborino sulla stessa idea o soluzione, come nei consorzi. Al contrario, le aziende analizzano idee ed esperimenti diversi. Questo permette di esplorare l’intero spazio delle soluzioni. Ciò che viene condiviso, invece, sono i dati che alimentano gli esperimenti, e/o gli approfondimenti e i risultati che essi generano.

L’apprendimento attraverso la condivisione si basa sulla volontà di cooperare. Il che non è facile da realizzare. Soprattutto in un periodo in cui le risorse a disposizione sono scarse. La tentazione è quella di guardarsi dentro e comportarsi in modo ancora più competitivo, per assicurarsi le poche cose rimaste, invece di concentrarsi, in modo collaborativo, sul costruire di più. Di che tipo di cultura e mentalità avranno bisogno i leader dell’innovazione per promuovere l’apprendimento attraverso la condivisione nelle proprie aziende?

Qualunque sarà il futuro, la nuova normalità richiederà un cambiamento fondamentale nel modo in cui creeremo innovazione e guideremo le nostre aziende. Mentre il mantra dell’innovazione dell’era pre-Covid era quello della “disruption” dei concorrenti, questo non è proprio il momento di fare disruption. Questo è piuttosto il momento di ricostruire collettivamente una nuova economia e un nuovo mondo. I veri eroi, nel business e nella società, non saranno i disruptors, ma quei catalizzatori che favoriranno una mentalità cooperativa. Il che, nell’innovazione, significa condividere i dati e gli insegnamenti degli esperimenti condotti da tutti. Le aziende dovranno provare diverse idee in competizione tra loro, ma potranno anche trarre vantaggio dalla condivisione dell’apprendimento, al fine di evitare strade poco promettenti, migliorare la produttività collettiva e costruire rapidamente una nuova società. Il Covid-19 è il momento della verità per i leader: ora possono dimostrare il proprio orientamento autentico a guidare le aziende con determinazione e significato.

Il futuro delle Business School tra innovazione e imprenditorialità

Il contesto in cui competono le business school di tutto il mondo è oggetto di una profonda e rapida trasformazione. La necessità di formazione manageriale sempre più specialistica, la competizione da parte di nuovi attori e, non ultima, la necessità di ridefinire il proprio contributo per la costruzione di un futuro più inclusivo e sostenibile, obbligano un ripensamento dei propri modelli operativi e di business.
Quali sono le trasformazioni da mettere in atto nell’ottica di una maggiore imprenditorialità e capacità innovativa delle business school?

 

Federico Frattini, Dean MIP-Graduate School of Business, Politecnico di Milano

Il contesto in cui competono le business school di tutto il mondo è oggetto di una profonda e rapida trasformazione, che determina la necessità di ripensare profondamente la sostenibilità del modello di business e del modello operativo “classici” delle business school.

Alcuni dei trend che si sono manifestati con più forza nel corso degli ultimi anni sono lo spostamento della domanda di formazione manageriale da programmi di “general management” a programmi “specialistici”, e una competizione sul mercato della formazione manageriale che si sta enormemente accentuando come conseguenza dell’ingresso di nuovi player. Da un lato infatti, le società di consulenza e di executive search stanno espandendo la loro offerta includendo servizi di formazione a sviluppo del capitale umano. Dall’altro, nuovi player “edtech” si stanno prepotentemente affacciando sul mercato della formazione, e i colossi globali della tecnologia (si pensi ad esempio a Microsoft, Google, Amazon) stanno sempre più seriamente considerando il mondo della formazione come una possibile nuova frontiera per sostenere i loro tassi di crescita.
La domanda di servizi di life-long learning sta crescendo rapidamente, anche per effetto della sempre più rapida obsolescenza delle competenze che vengono apprese nei percorsi di formazione manageriale “classici”; le attività extra-curriculari e quella che possiamo chiamare “campus life” stanno assumendo una crescente rilevanza nelle scelte degli studenti; infine, si rileva una “crisi” del valore sociale attribuito alle istituzioni accademiche, che stanno rapidamente perdendo reputazione, specialmente agli occhi delle generazioni più giovani.

Oltre a queste trasformazioni, ve ne sono altre che sono state profondamente accelerate dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus. Da un lato, le business school dovranno ridefinire il loro “purpose” e chiarire il contributo che intendono e sono in grado di dare nella costruzione di un futuro più inclusivo e sostenibile. Dall’altro, non potranno più ritardare l’avvio di un profondo processo di digitalizzazione dei loro processi e delle loro modalità ed approcci didattici.

Rispondere a queste sfide richiede un profondo ripensamento del modello di business delle business school. Alcuni dei cambiamenti più rilevanti che dovrebbero essere attentamente considerati dalla leadership delle business school in tutto il mondo sono i seguenti: da un focus sul trasferimento di competenze “disciplinari” a competenze “trasversali”, tra cui l’imprenditorialità, le digital skills, la sostenibilità, il critical thinking; da modelli di formazione “separata dalla pratica” a formazione “hands-on” e basata su una crescente contaminazione con la pratica manageriale ed imprenditoriale; da approcci alla formazione “uniformi per popolazioni omogenee di studenti”, a formazione “personalizzata”, in ottica “one-to-one”; da formazione “intermittente” e concentrata nel tempo, a formazione “on demand”, e continuamente mescolata all’attività professionale ed alla vita privata degli studenti; da formazione face-to-face vs. digitale, a modelli di formazione “omnicanale”; dal focus sulla produzione di conoscenza attraverso la ricerca ed il suo trasferimento attraverso il proprio portafoglio di prodotti formativi, alla ricerca ed integrazione della conoscenza disponibile al di fuori dei confini della business school (si pensi ad esempio alla disponibilità di contenuti di formazione di alta qualità sulle piattaforme MOOCs – Massive Online Open Courses).

Queste trasformazioni hanno una portata ed un potenziale impatto che spesso si scontrano con la cultura “burocratica” delle business school, con i processi di creazione di consenso che le contraddistinguono, e con i meccanismi di governance che spesso richiedono tempi di approvazione delle decisioni che male si sposano con le condizioni di contesto identificate in precedenza. Diventa quindi fondamentale per la leadership delle business school di tutto il mondo promuovere una trasformazione della cultura organizzativa, dei processi, delle competenze dello staff, e delle strutture organizzative nell’ottica di una maggiore imprenditorialità e capacità innovativa. Questo significa mutuare le soluzioni e gli approcci manageriali che le business school insegnano ai propri allievi ed applicarli nei propri modelli di gestione. Ad esempio, per gestire progetti di innovazione “radicali”, che richiedono profondi cambiamenti alle routine ed ai modelli operativi consolidati (si pensi, ad esempio, al lancio di piattaforme per la formazione a distanza, oppure di servizi di life-long learning abilitati dalle tecnologie digitali), molte business school stanno dando vita a degli spin-off per collocare questi progetti in un contesto organizzativo più agile e imprenditoriale. Molte business school stanno creando delle posizioni all’interno del loro staff di Chief Innovation Officer (CIO), che ha il compito di promuovere un processo di innovazione e trasformazione digitale continuo delle operations e dell’offerta. Si stanno sempre più diffondendo modelli di coopetition tra business school, con l’obiettivo di raggiungere una superiore massa critica e condividere i rischi ed i costi che progetti di innovazione radicale comportano (come ad esempio la messa a punto di innovativi Learning Management Systems).

Molte di queste trasformazioni richiederanno tempo per manifestarsi nel mondo delle business school, ma saranno fondamentali per sostenere la loro competitività nel tempo e garantirne la sopravvivenza.

Tiresia tra i vincitori del premio EIC “Blockchains for social good”

 

Tiresia, il centro di ricerca sull’innovazione, l’imprenditorialità e la finanza sociale della School of Management del Politecnico di Milano, è tra i 6 vincitori del premio della Commissione Europea EIC Horizon “Blockchains for Social Good”, che riceveranno complessivamente 5 milioni di euro per l’applicazione di tecnologie Distributed Ledger per affrontare le maggiori sfide della nostra società.

Mentre il potenziale della tecnologia blockchain è stata testata nell’ambito finanziario, le sue applicazioni in ambito sociale e in relazione alla sostenibilità sono ancora poco sviluppate. L’obiettivo del premio “Blockchains for Social Good” è appunto quello di sostenere gli innovatori e la società civile nell’esplorazione delle possibili applicazioni della tecnologia blockchain per l’innovazione sociale digitale.

Tiresia è partner del consorzio guidato dalla Aalto University (Finlandia) che ha vinto nella categoria “Inclusione finanziaria”, con il progetto GMERITS (Generalised Merits for Respect and Social Equality) che verrà finanziato con un milione di euro.
GMERITS è un esperimento su vasta scala per valutare strutture economiche alternative, analizzando gli schemi di governance più efficaci e i diversi modelli di compensazione.
Il ruolo di Tiresia è quello di indagare l’importanza che i dati e le tecnologie possono giocare in quanto fattori abilitanti della generazione e della gestione dell’impatto. Inoltre sarà ente valutatore dell’impatto sociale generato dalle applicazioni sperimentali all’interno progetto.

Il consorzio comprende anche tre iniziative imprenditoriali social-tech in ambito europeo (REC di Barcelona, Me Sensei di Helsinki e Merits di Milano).

Il premio, lanciato con i fondi dell’Enhanced European Innovation Council (EIC) è parte integrante dell’iniziativa europea Next Generation Internet (NGI) che supporta innovatori, imprenditori, PMI
e ricercatori affinché possano sviluppare le loro idee, grazie a fondi, attività di networking e coaching, ed esplorare le potenzialità del Blockchain in nuove aree di applicazione, in
particolare per individuare soluzioni alle sfide locali e globali di sostenibilità.

MIP & EY insieme al servizio dell’eccellenza formativa

Un nuovo cambio di paradigma sta ridefinendo i percorsi di trasformazione delle organizzazioni: questo cambiamento influenza il modo in cui le imprese stanno rivedendo la loro strategia ed i modelli operativi, insieme al modo in cui le persone rispondono fisicamente e mentalmente a queste sfide.

Le aziende che stanno guidando la trasformazione in modo strategico si sono focalizzate sullo sviluppo non solo di nuove competenze tecnico-specialistiche, ma di skill trasversali per rispondere alle nuove dinamiche del mercato in modo adattivo e innovativo, non in maniera intermittente, ma in modalità continua e dinamica.

Per questo, dopo anni di collaborazione, MIP e EY hanno deciso di mettere sistematicamente a fattor comune le rispettive esperienze operative e di background sul tema della formazione, progettando e proponendo al mercato percorsi e interventi sviluppati ad hoc.

Attraverso formati snelli ed in linea con le esigenze del mercato, l’offerta garantisce l’integrazione di tutte le competenze che contraddistinguono MIP e EY, proponendo soluzioni efficienti ed efficaci, con contenuti di frontiera, in linea con le best practices osservate nell’interlocuzione con primari player italiani e internazionali.

L’offerta oggi include la progettazione e l’erogazione dei contenuti per i seguenti percorsi online in modalità asincrona e sincrona, nell’ambito della Digital Transformation & Innovation:

La proposta formativa include inoltre la progettazione e l’erogazione dei contenuti per i seguenti percorsi nell’ambito dell’International Business:

 

Per avere maggiori informazioni, contattaci scrivendo a corporaterelations@mip.polimi.it oppure chiamando lo 02 2399 2820.

MIP tra i relatori dei digital talks della Digital&Export Business School

La Digital&Export Business School è un percorso di formazione e informazione, dedicato al mondo delle imprese, volto a leggere il contesto attuale, condividere sapere ed esperienze e cercare nel cambiamento nuove opportunità. L’iniziativa è presentata da Unicredit, in collaborazione con SACE SIMEST e Microsoft, e prevede la partecipazione gratuita!

Il programma è strutturato in 8 digital talks su tematiche strategiche per le imprese, programmati da giugno a luglio 2020, e oltre 20 sessioni di live coaching su tematiche tecniche verticali, che si terranno da ottobre a dicembre 2020. Tutti gli incontri virtuali sono capitanati da professori universitari, ricercatori, professionisti, imprenditori, giornalisti e sociologi del mondo del lavoro.

Di seguito gli  appuntamenti che hanno visto protagonisti i nostri docenti:

  • La forza delle imprese italiane: da dove ripartiamo, con la partecipazione di Federico Frattini;
  • Una nuova Supply Chain e nuove opportunità per il mercato italiano, con la partecipazione di Riccardo Mangiaracina;
  • Cosa è cambiato nei processi e-commerce B2B e B2C e nella scelta del Market Place, con la partecipazione di Valentina Pontiggia.

Per scoprire il programma completo e registrarti ai prossimi digital talks, clicca qui.

Nice To MIP You: le nostre porte sono di nuovo aperte! Ti aspettiamo a settembre.

Da sempre noi del MIP siamo aperti. A nuove idee, nuove tecnologie, nuovi stimoli, nuove persone. Da settembre lo saremo ancora di più. Le nostre aule, il nostro campus, le nostre aree studio e, in generale, tutti i nostri spazi, sono pronti ad accogliere di nuovo docenti, staff, collaboratori e, soprattutto, studenti provenienti da tutto il mondo, sia i nuovi iscritti sia coloro che già ci conoscono.

Vogliamo che la riapertura sia un momento speciale: per questo abbiamo adottato tutte le misure necessarie per rendere i nostri locali accoglienti e, soprattutto, sicuri.

Preparati a vivere un’esperienza al MIP all’insegna della sicurezza, della tecnologia e del fascino che solo una città moderna e cosmopolita come Milano può offrire.

 

IL TRIANGOLO DELLA SICUREZZA

Il MIP riapre in totale sicurezza grazie all’adozione di una strategia in tre punti. Il primo consiste nella prevenzione: oltre alla misurazione della temperatura all’ingresso, il MIP assicura una fornitura gratuita di mascherine monouso, mentre il distanziamento sociale sarà garantito da una segnaletica chiara. Il secondo punto prevede la sanificazione: tutti gli spazi del MIP verranno costantemente disinfettati; gli impianti di aerazione garantiranno il rinnovo continuo dell’aria e sarà possibile detergersi le mani grazie ai punti di sanificazione dislocati in tutta la scuola. Il terzo punto è relativo ai servizi: abbiamo creato un indirizzo email, life@mip.polimi.it, dedicato unicamente alle vostre domande sulle misure di sicurezza. Gli spazi comuni per lo studio e lo svago, invece, verranno riorganizzati. L’attività didattica verrà garantita online e on campus, per soddisfare tutte le esigenze di apprendimento.

 

DIDATTICA ONLINE E ON CAMPUS

Il MIP, che da sempre è orientato all’innovazione, può contare su una consolidata esperienza nella didattica digitale. Le nostre piattaforme di digital learning sono pronte per ospitare tutte le nostre lezioni, sia in diretta streaming sia registrate al fine di garantire continuità a chi non potesse essere presente in aula.

Sul versante on campus, invece, stiamo lavorando per assicurare il distanziamento sociale attraverso un’attenta pianificazione degli orari e degli spazi, che verranno ampliati. Le lezioni saranno organizzate su due turni diversi, e stiamo collaborando con le imprese per garantire le testimonianze aziendali e tutti i progetti che le coinvolgono, incluse le company visit.
Attività_Didattica

 

MILANO: DOVE CREATIVITA’, TRADIZIONE E MODERNITA’ SI INCONTRANO

Il campus del MIP si trova a Milano. Una città moderna, europea, che offre agli studenti di tutto il mondo innumerevoli opportunità di studio, di lavoro e di divertimento. Nel corso degli anni ha visto nascere e svilupparsi eccellenze internazionali soprattutto nel campo della moda, del design, dell’imprenditoria, della finanza. Milano sa coniugare caratteristiche tipicamente italiane, come la creatività, l’operosità, l’intraprendenza, con un approccio internazionale e moderno. Nei decenni scorsi ha incarnato il concetto della città industriale e industriosa, oggi si è affermata come la capitale italiana delle startup. Costantemente orientata al futuro, è il posto giusto per chi vuole crescere, migliorarsi e innovare. La città, dopo il periodo di lockdown e attenendosi alle direttive emanate dalle autorità competenti, è tornata ad aprire buona parte delle sue attività e a offrire tutti i suoi servizi, che hanno contribuito a posizionarla come una delle città europee più dinamiche e all’avanguardia.
Benvenuti_a_Milano

 

COVID-19: I benefici derivanti dai progetti collaborativi

I progetti collaborativi, intesi come lo scambio di dati e informazioni di natura strategica tra partner di business, possono essere un veicolo per garantire continuità operativa in situazioni di emergenza e validi alleati per la ripartenza.

 

Riccardo Mangiaracina, Professore di gestione dei sistemi logistici e produttivi, Responsabile Scientifico Osservatorio Digital B2b
Paola Olivares, Direttore Osservatorio Digital B2b School of Management Politecnico di Milano

Queste settimane di emergenza sanitaria ed economica hanno imposto alle aziende una forte revisione delle più tradizionali modalità di lavoro e alle aziende fornitrici di servizi di mettere in campo strumenti per garantire la continuità operativa dei propri clienti. Tra le iniziative avviate troviamo anche la messa a disposizione di soluzioni in grado di migliorare visibilità e collaborazione con terze parti. Un esempio sono gli strumenti per il monitoraggio della catena di fornitura.
L’Osservatorio Digital B2b della School of Management da 18 anni monitora la diffusione e calcola i benefici dell’eSupply Chain Collaboration che indica lo scambio di informazioni di natura strategica – tipicamente a livello di pianificazione congiunta, monitoraggio della supply chain, sviluppo nuovi prodotti, marketing e comunicazione, gestione della qualità – con l’obiettivo di migliorare l’efficacia dei processi grazie alla condivisione di informazioni e know-how e alla collaborazione nelle fasi decisionali. Solo il 32% delle imprese italiane ha attivato almeno un progetto collaborativo, con una predominanza per le grandi aziende che spesso impongono l’utilizzo del sistema anche al proprio indotto di piccoli attori [1]. La pandemia globale che abbiamo vissuto potrebbe rappresentare un impulso all’adozione di questo tipo di soluzioni.

Nel seguito sono descritti i vantaggi che si potrebbero avere in situazioni di emergenza, i benefici ottenibili in periodi di normalità e un esempio concreto.

I vantaggi in situazioni di emergenza
La trasparenza e la condivisione di dati e informazioni, anche strategiche, può rappresentare in situazioni di emergenza, un veicolo tramite per garantire continuità operativa. Tra i processi potenzialmente gestibili in modo collaborativo, i due con la maggiore utilità in situazioni di emergenza sono il monitoraggio della supply chain e la pianificazione congiunta. Questi infatti permettono:

  • lo scambio di dati relativi a vendite e capacità produttiva;
  • la visibilità sulle giacenze a magazzino e sulla domanda del cliente finale;
  • un rifornimento automatico più frequente.

I benefici in situazioni di normalità
I progetti collaborativi possono contribuire significativamente alla marginalità e alla competitività di un’impresa e dei propri partner di business in situazioni di normalità. I benefici possono essere di due tipi:

  • tangibili, riconducibili alla sfera dell’efficienza (es. riduzione dei costi operativi);
  • intangibili, riguardanti un aumento del livello di servizio con un conseguente miglioramento dell’immagine dell’azienda e un incremento della fedeltà dei clienti, un incremento della visibilità e quindi della capacità di reazione di fronte a eventi imprevisti e un miglioramento della qualità delle informazioni circolanti in azienda.

È importante tener presente che, per la corretta ed efficace realizzazione di tutti i progetti collaborativi, è necessario agire sulla leva del change management, attraverso formazione e meccanismi di incentivazione per i dipendenti dell’azienda, occorre un alto commitment, una chiara definizione della strategia da seguire, un corretto coinvolgimento degli attori interni ed esterni all’organizzazione e un uso sapiente degli strumenti tecnologici.

Un esempio concreto
Il rifornimento dei punti vendita della grande distribuzione e quindi il fenomeno dell’out of stock (indisponibilità dei prodotti a scaffale) è stato uno dei principali problemi vissuti durante l’emergenza Covid-19. Le cause tipiche dell’out of stock sono riconducibili in un’inefficienza nella pianificazione degli ordini o nel processo di rifornimento dello scaffale, in problemi del produttore o dei centri distributivi o in una inaccuratezza nella gestione del magazzino. In questa circostanza la causa scatenante è stata però la domanda imprevista e incontrollabile.

Un progetto concreto, particolarmente utile, è l’Optimal Shelf Availability (OSA). Applicato al settore del largo consumo, misura e analizza le cause dell’out of stock per garantire la disponibilità dei prodotti a scaffale e aumentare il livello di servizio. Il produttore e il retailer collaborano scambiandosi quotidianamente i dati di sell-out e il livello delle scorte per ogni codice articolo, producendo degli alert in caso di problemi e identificando in modo congiunto azioni correttive volte a ridurre l’out of stock del punto vendita. Il progetto – la cui implementazione produce una riduzione consistente dei costi di stock-out e di mantenimento a scorta quantificabili in risparmi del 19% per il produttore, del 2,5% per il retailer e del 12% per la coppia di attori – può essere estremamente utile nella gestione dell’emergenza. Permette infatti di coinvolgere il produttore in fasi tipicamente in capo al retailer, come la gestione delle scorte e il loro monitoraggio, aumentando la visibilità sulla filiera e migliorando la pianificazione e il rifornimento.

 

——————————-

[1] Per i risultati completi della Ricerca, “Digitalizzare per (r)esistere” disponibile su www.osservatori.net

«Con l’MBA la crescita è personale, non solo professionale»

Achille Balestrini, nuovo Ceo e Global brand manager di Nava Design Milano e MH Way, racconta il suo percorso professionale e formativo, segnato dal Politecnico. E spiega quanto è importante, anche per chi ha già un’esperienza sul campo, strutturare maggiormente con un master le nozioni apprese.

Dall’architettura al management, passando attraverso l’iniziativa imprenditoriale. È la traiettoria professionale di Achille Balestrini, alumnus MBA Pt It 6 presso il MIP Politecnico di Milano e recentemente nominato nuovo Ceo di Nava Design Milano e MH Way, due realtà parte di Smemoranda Group. Un cammino, il suo, segnato da tre elementi importantissimi per chi ha deciso di farsi strada nel mondo del business: passione, competenza e intraprendenza. Ma anche dalle esperienze vissute nell’ateneo milanese: «Se ho scelto l’MBA del MIP, è anche perché proprio al Politecnico avevo conseguito la laurea in architettura», racconta Balestrini. Ma tra la laurea e il master c’è stato un percorso fatto di intuizioni e scommesse personali.

Architetto, imprenditore, manager

Dopo la laurea e l’inizio della propria carriera nel mondo dell’architettura, Balestrini decide infatti di assecondare la propria passione per l’abbigliamento sportivo casual. «Non riuscivo a smettere di pensare a un’idea che all’epoca sembrava decisamente innovativa, quella di un brand che fosse personalizzabile». È un’intuizione vincente, perché a quel progetto Balestrini dedica le sue energie per sette anni circa. «Un periodo di tempo durante il quale aprimmo un negozio monomarca a Milano, diversi temporary store e uno shop online. Tutto grazie all’entusiasmo e allo spirito di sacrificio». Eppure, questi traguardi non sono quelli a cui Balestrini aspira, non sono abbastanza. «Decisi di interrompere quell’esperienza da imprenditore. Nel frattempo, ricevetti un’offerta da Marco Boglione, fondatore e presidente di BasicNet, gruppo proprietario di diversi marchi come Kappa, Superga, K-Way». È quello il momento in cui Balestrini abbandona la strada imprenditoriale per trasformarsi in un vero e proprio manager. «Mi innamorai profondamente del progetto che dovevo seguire. Questa fase è durata dal 2011 al 2019. Poi, nel 2020, sono stato nominato Ceo e Global brand manager di Nava Design Milano e MH Way».

Un MBA per rafforzare le competenze

Nel mezzo, però, c’è un altro passaggio importante, quella dell’MBA. «A iscrivermi mi spinse il bisogno, personale prima ancora che professionale, di imparare. Dalla mia avevo un bagaglio di conoscenze empiriche, sperimentate e apprese sul campo, ma nessuno studio alle spalle», spiega Balestrini. «Il master mi ha aiutato, innanzitutto, a mettere ordine tra le mie competenze, strutturandole in maniera più coerente, organica e strategica. Da un certo punto di vista, era rincuorante e motivante vedere che molte idee nate durante la mia esperienza venivano confermate a lezione». A proposito di lezioni, l’MBA ha permesso a Balestrini di mettere alla prova le nozioni apprese sui banchi tramite project work e lavori di gruppo. «Si tratta di una modalità che ho trovato molto efficace. Sotto un certo aspetto, è perfetta per chi già si trova a suo agio a lavorare in gruppo, come nel mio caso. D’altro canto, spinge alla discussione anche chi ha un’attitudine meno spiccata a confrontarsi con gli altri. Sono momenti davvero formativi e stimolanti».

Nava Design e MH Way: obiettivo rilancio

Forte di questa esperienza, e con delle competenze rafforzate e strutturate dal master, Balestrini è ora alle prese con il rilancio di Nava Design Milano e MH Way, in veste di Ceo e Global brand manager. «La cosa curiosa è che sono entrambi due brand legati al mondo del design e dell’architettura, da cui tutto per me è cominciato. Per Nava hanno lavorato dei designer importanti come Max Huber e Bob Noorda, mentre MH Way è nato dal designer giapponese Makio Hasuike. Entrambe queste realtà, acquisite dal gruppo Smemoranda, sono ora in cerca di rilancio e di riposizionamento», spiega Balestrini. «Per dare nuova linfa a entrambi i brand, dovrò mettere in pratica quanto ho imparato finora. Le sfide più importanti e stimolanti riguarderanno la gestione aziendale e l’espansione commerciale dei marchi sul territorio nazionale e, soprattutto, sui mercati internazionali».

«La visione del MIP per le HR è moderna e contemporanea»

La gestione delle risorse umane si fonde con gli strumenti del marketing e richiede competenze sempre nuove e aggiornate. L’obiettivo è valorizzare i singoli, partendo dalla lezione della diversity. Ce lo spiega Chiara Lombardi, human resource manager di Emilio Pucci e alumna del MIP.

Una rinnovata centralità del valore umano, unita a una gestione competente e qualificata. È questo il futuro, e per certi aspetti già il presente, della gestione delle risorse umane all’interno di un’organizzazione. Così sostiene Chiara Lombardi, human resource manager presso Emilio Pucci, maison italiana parte del gruppo Lvmh, e alumna del percorso executive in Human Resource Business Leader presso il MIP Politecnico di Milano. «L’Hr non ammette improvvisazioni. Tantomeno oggi, considerato il legame sempre più stretto con gli strumenti del marketing, necessari alle aziende per mettere in atto strategie di attraction e retention dei talenti».

Una didattica basata sul confronto

La visione di Chiara è maturata dopo lunghi anni di esperienza nel settore, preceduti da una laurea in lingue e perfezionati anche grazie al percorso executive, dove si è iscritta con l’obiettivo di consolidare le proprie competenze: «Ho sempre nutrito un grande interesse per le risorse umane, e con il passare del tempo ho capito che volevo trasformarmi in un’Hr manager dall’impostazione più strategica. Al contempo mi sono resa conto che, per farlo, mi mancavano alcune competenze hard. Per questo mi sono iscritta al percorso proposto dal MIP». All’inizio, si aspettava lezioni frontali dall’impostazione decisamente accademica, ma presto si è accorta che, in realtà, un elemento fondante del corso consisteva nel coinvolgimento attivo degli studenti: «Ai docenti di alto livello si affiancava la collaborazione delle aziende, grazie alle quali avevamo un punto di vista privilegiato e attuale sulla realtà delle Hr. Ma è stato dato molto spazio anche alle interazioni tra noi studenti, che hanno dato vita a confronti aperti, portatori di una grande ricchezza di contenuti. Per questo consiglio di avvicinarsi a questo corso aprendo occhi e mente il più possibile. Il ventaglio di contenuti, possibilità, soluzioni è così ampio che rappresenta un’opportunità di apprendimento irripetibile».

I frutti di questo periodo formazione, per Chiara, sono evidenti: «Non sarei stata così efficace sul mercato del lavoro senza le consapevolezze guadagnate all’interno del percorso. Per me è stata una vera e propria boccata d’aria fresca, che mi ha dato tante opportunità di apprendimento e tante competenze in più da usare sia nella mia azienda sia nella mia fase di transizione lavorativa».

Tra cambiamento e diversity

C’è un altro versante, però, dove le esigenze di Lombardi hanno trovato risposta nel percorso executive del MIP. Perché se è vero che le competenze hard sono fondamentali, le risorse umane non possono comunque prescindere dalle persone. «Il mio obiettivo è rendere centrale nelle aziende in cui lavoro la tematica del cambiamento, da portare avanti con azioni piccole e grandi. Al MIP ho potuto rafforzare una visione moderna e contemporanea e approfondire convinzioni che fanno bene sia alle risorse sia alle aziende. Penso al tema della diversity, ad esempio, ormai fondamentale e ineludibile. Non si può prescindere dalla valorizzazione delle risorse umane. Se una persona viene trattata in maniera corretta, fornirà più volentieri il proprio contributo, generando valore e ricchezza tanto per l’impresa quanto per le persone che lavorano al suo fianco».

Un tema che Lombardi ha particolarmente a cuore, visto che ormai dal 2018 è mentor e coach per Young Women Network, realtà no-profit che ha come obiettivo l’empowerment delle giovani donne. «Il tema della leadership femminile è importantissimo, e ho apprezzato moltissimo come è stata affrontata la questione della diversity al MIP (che inoltre, con l’iniziativa Mip4Women, mette a disposizione delle candidate donne un contributo di 1000 euro, ndr). Purtroppo in molte aziende scarseggiano gli esempi di manager donne da prendere a modello, visto che i consigli di amministrazione sono ancora per larga parte al maschile. La situazione può evolvere, ma dobbiamo impegnarci tutti nel diventare promoter del cambiamento».