Le frontiere del Fintech

Non si può fare a meno del Fintech. Lo dicono i dati: nel 2018, le operazioni di M&A (merge and acquisitions) legate a questo settore a livello mondiale hanno generato un valore di nove miliardi di dollari, in crescita del 25% rispetto all’anno precedente. Lo afferma l’analisi realizzata dalla startup school Mind the Bridge. Detto in altri termini, le startup del Fintech attraggono sempre più capitali e investimenti. E il trend è in crescita, perché sempre più utenti scelgono di gestire e movimentare le proprie finanze online.

Che si tratti di mobile payment, di InsurTech o di Robo Advisor, le operazioni finanziarie vengono gestite sempre più spesso online, senza passare per l’intermediazione classica, fino a poco tempo fa imprescindibile, delle banche e delle compagnie di assicurazioni. Lo conferma il professor Emilio Barucci, direttore dell’International Master in FinTech, Finance and Digital Innovation del Politecnico di Milano. «La disintermediazione è un fattore cruciale. Permette di svolgere numerose operazioni in modo molto più rapido tramite gli strumenti messi a disposizione dalle nuove tecnologie. Non andiamo più in banca una volta al mese come succedeva un tempo».

Le stesse banche, d’altro canto, non stanno a guardare: «In questo momento si stanno muovendo in due direzioni. Da una parte cercano di appropriarsi del modo di operare tipico delle realtà Fintech, sviluppando sempre più i canali di home banking e di pagamento rapidi. Dall’altra cercano di fronteggiare la crescita dei canali non tradizionali, che stanno erodendo un’ampia fetta del loro mercato. Le startup che hanno lanciato i Robo Advisor, ad esempio, forniscono all’utente una consulenza finanziaria personalizzata, tagliando fuori proprio le banche, i gestori di fondi e i promotori finanziari», spiega il professor Barucci.

Le comodità e le possibilità offerte dal Fintech sono particolarmente attraenti, anche in mercati un po’ meno sensibili alle transazioni digitali come quello italiano. Il tema della cybersecurity resta cruciale: «I rischi per chi usa strumenti digitali, oggi, non sono più grandi di quelli che correvamo già anni fa, come il classico “furto” dei dati della carta di credito – rimarca il professor Barucci –. Ma è anche vero che il tema della sicurezza è forse quello su cui gli attori coinvolti pongono maggiormente l’attenzione e investono di più. Basta una sola crepa per distruggere la credibilità di un servizio, e di conseguenza affossarne il business».

I vantaggi del FinTech non riguardano solo gli utenti privati, ma anche le aziende. Secondo il professor Barucci, «si concretizzeranno in importanti riduzioni sui costi. Inoltre, ci sarà la possibilità di interagire con più soggetti e il canale non bancario crescerà». Alcune tecnologie, al contrario, rimarranno confinate a un ambito di utilizzo più ristretto, lontano dal grande pubblico. È il caso, ad esempio, della Blockchain: «Personalmente non sono convinto che il Bitcoin sia la moneta del futuro – avverte Barucci –. Ma bisogna riconoscere che le criptovalute basate sulla blockchain hanno stimolato grandi studi su questa tecnologia, generando un grande lascito in termini di conoscenze: non sarà la soluzione per tutti i problemi, ma in alcuni ambiti sarà una soluzione interessante». Discorso analogo per l’Intelligenza Artificiale: «Le macchine non sostituiranno l’uomo, tantomeno nel mondo finanziario. Ma grazie all’IA e ai big data avremo la possibilità di comprendere meglio le dinamiche di alcuni fenomeni finanziari».

Le tecnologie all’avanguardia, insomma, non possono prescindere dalla padronanza dei fenomeni digitali sottostanti. L’International Master in Fintech, Finance and Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano ha proprio l’obiettivo di formare delle professionalità con queste competenze: «Il processo di cambiamento innescato dal Fintech è irreversibile – conclude Barucci –. Il nostro master dà le competenze adeguate, puntando su una formazione completa: nessun’altra università offre la stessa combinazione di metodo, tecnologia e business».

Vela e management: il MIP Politecnico di Milano organizza a fine maggio a Capri la Alumni Business Cup 2019

L’iniziativa si inserisce nel quadro di eventi dedicati ai 40 anni della Scuola

Il MIP Sailing Cup ha vinto nel 2018 l’MBA Sailing League, manifestazione velica in cui l’ABCup rientra e che vede coinvolte blasonate business school di tutto il mondo

Sarà il MIP Sailing Club, il “club velico” del MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business, a organizzare il 24 e 25 maggio a Capri la ventiseiesima edizione della ABCup (Alumni Business Cup), la regata storica dedicata agli Alumni e Studenti gestita dalle business school francesi INSEAD e HEC. L’iniziativa si inserisce nel quadro di eventi dedicati ai 40 anni della Scuola.

Navigare a vela è una delle attività preferite per chi cerca modi coinvolgenti per fare team building, perché portare un equipaggio alla vittoria sfidando le avversità e gli imprevisti in mare richiede l’applicazione pratica di molte tecniche che si studiano nelle business school. Un’occasione per mettersi alla prova e provare le proprie abilità di lavorare in gruppo, ma anche per fare networking.

E’ anche per questo che il MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business ha dato vita nel 2010, grazie a un gruppo di studenti, al MIP Sailing Club, un’organizzazione sportiva che negli anni ha coinvolto 250 tra Studenti e Alumni e preso parte a 35 regate nazionali e internazionali.

E vincendo. Nel 2018 infatti è stato il MIP Sailing Club ad aggiudicarsi la prestigiosa MBA Sailing League, la manifestazione velica a cui prendono parte le più blasonate Scuole di tutto il mondo, come London Business School, INSEAD, Bocconi, Cranfield, Istituto de Empresa, HEC, Harvard, Yale, MIT, Warwick, RSM.

Quest’anno, al MIP Sailing Club spetta dunque l’onore di organizzare una delle quattro gare che costituiranno l’MBA Sailing League 2019, appunto la ABCup  (le altre saranno a Lanzarote, Isle of Wight, Solent, Porto e Santa Margherita).

Nello scenario impareggiabile del Golfo di Napoli venerdì 24 e sabato 25 maggio verranno disputate diverse regate per definire la classifica generale, che premierà i tre equipaggi con i migliori piazzamenti su due divisioni di barche: la A sarà costituita da una flotta monotipo di ESTE 24, mentre alla B parteciperanno barche Cruiser di stazza più grande. Due giornate che offriranno occasione di divertimento, sport e networking in un ambiente internazionale.

I premi per i vincitori sono stati realizzati appositamente dal pittore e scultore napoletano Lello Esposito, interprete della “napoletanità” famoso per i suoi Pulcinella, simbolo reinventato ed elevato a oggetto d’arte: per la ABCup 2019 l’artista ha impresso sulla vela del trofeo la caratteristica maschera napoletana. Supporto alla regata è stato offerto anche dalle aziende SLAM, che produce abbigliamento tecnico per velisti, e SAMI, che realizza cavi ad alta tecnologia.

Per il MIP parteciperanno gli equipaggi composti da Giulia Zucchetti (skipper), Otello Costa, Michele Albertini e Mario Aquino (divisione A) e da Davide Casola (Skipper), Hugues Bartnig, Claudio Marconi, Francesco Vagnoni, Giampaolo Mercati, Filippo Croce, Maria Cristina Rossi (divisione B).

 

I master Executive MBA della School of Management del Politecnico di Milano tra i primi 50 nel mondo

Nel QS Global EMBA Rankings 2019 la Scuola sale di ben 10 posizioni rispetto al 2018, nonostante il numero dei competitor si sia ampliato. Anche a livello europeo scala la classifica e si attesta a 23° posto su 55 (era al 26° su 49)

Ottima reputazione presso le aziende, che si trasforma per lo studente in reali opportunità di accelerare la carriera in termini sia di posizione che di stipendio; eccellente livello del corpo docente e dell’aula; concrete politiche di pari opportunità. Sono alcuni dei fattori distintivi che hanno permesso agli Executive MBA della School of Management del Politecnico di Milano di scalare di ben 10 posizioni in un anno il QS Global EMBA Rankings 2019, attestandosi tra i primi 50 programmi al mondo.

La classifica, giunta alla sua seconda edizione, identifica infatti i 134 (erano 119 nel 2018) migliori master MBA per executive a livello globale. A livello europeo, invece, il ranking ne prende in considerazione 55 (erano 49) e su questi la Scuola sale dal 26° al 23° posto.

Il QS Global EMBA Rankings 2019 valuta vari aspetti dei programmi EMBA, guardandoli con gli occhi degli studenti. Non considera solo gli effetti sulla carriera, certamente fondamentali, e la buona fama di cui gode la scuola presso gli imprenditori, ma anche la composizione della classe, in termini di diversità e di esperienza professionale.

Guadagnare 10 posizioni in un solo anno è il segnale inequivocabile che stiamo rispondendo in maniera adeguata non solo alle esigenze dei nostri studenti executive ma anche a quelle delle aziende, che infatti hanno di noi un’opinione sempre più alta – commenta Federico Frattini, Direttore dei Programmi MBA ed Executive MBA -. Lo sforzo profuso nell’innovare i nostri prodotti, in termini di contenuti ma anche di fruibilità attraverso un uso sempre più diffuso del digital learning, si sta dunque dimostrando vincente”.

 

Carmen Di Bari

Nell’ambito di un progetto strategico del MIP sull’Employer Brand della Scuola, abbiamo avuto il piacere di partecipare al workshop “Rock Your Profile”, tenuto dalla nostra Alumna Carmen Di Bari, Account Executive Linkedin. È stato bello vedere come, anche grazie al Percorso Executive HR Business Leader della Management Academy, Carmen sia riuscita a lavorare in una delle più grandi e innovative aziende al mondo.  Una storia interessante, che le abbiamo chiesto di raccontare!

Come sei arrivata alla posizione che ricopri oggi? Qual è stato il ruolo del Percorso Executive in HR nel tuo percorso professionale?

Sapevo che un giorno avrei lavorato per Linkedin. Tuttavia a volte il percorso per arrivare all’azienda dei propri sogni non è lineare, ma pieno di curve e pit stop. L’importante è avere un piano chiaro ed essere disposti a fare sacrifici per realizzarlo.
Il mio piano è stato per prima cosa sviluppare una buona esperienza sul campo lavorando nel settore HR, poi allenare lo spirito di adattamento e la capacità di parlare fluentemente inglese andando a vivere all’estero, e infine perfezionare e aggiornare le mie conoscenze attraverso il Percorso Executive in HR, grazie anche al suo sguardo sempre diretto al mondo aziendale.

Nessuna delle tre cose è stata semplice, ma era previsto! Il Percorso Executive in HR mi ha aiutato ad avere una visione aggiornata delle sfide, delle priorità e dei trend del settore HR a 360 gradi, oltre a offrirmi una significativa occasione di networking. Ho conosciuto professionisti, sia del settore HR che non, con tanta esperienza, che sono entrati a far parte del mio network professionale e con cui spesso mi confronto per un parere.
Altro aspetto rilevante del corso –  e per me di buon auspicio – è stata la possibilità di seguire l’intervento di un manager Linkedin della sede di Milano relativamente alla rivoluzione che Linkedin ha creato nel mondo delle Talent Acquisitions e dell’importanza del Personal Brand per i professionisti. A distanza di alcuni anni siamo diventati colleghi.

 

Non solo, adesso sei tu – come lui – dall’altra parte della cattedra. Com’è stato tornare nelle stesse aule dove hai studiato nella veste di relatrice?

È stata un’emozione grandissima. Non avrei mai immaginato un giorno di tenere una sessione al MIP dall’altra parte della cattedra e con una platea così numerosa. È stato come un restituire alla mia Scuola parte dell’esperienza che ho maturato in questi anni, un “give back” tra quello che ho ricevuto come Alumna e quello che io posso trasferire oggi come professionista. Mi rende davvero orgogliosa aver studiato in un’organizzazione che investe nelle proprie persone e nel proprio Employer Brand.

 

Dal tuo discorso appare evidente il legame che hai con il MIP. Quali sono gli insegnamenti del percorso che applichi ancora oggi nel tuo lavoro?

Le persone sono il più importante fattore critico per il successo di qualunque organizzazione e la loro gestione comporta complessità. Non penso quindi ad un modulo specifico sul tema delle risorse umane, ma all’intero percorso, che mi ha dato da una parte una comprensione più realistica dei problemi di HR e CEO e dall’altra, stimoli alla ricerca di soluzioni non tradizionali per superarli, a pensare “out of the box”. Custodisco tutte le slide e i “Case studies” del corso salvati su una pen drive, sempre a portata di mano. Sicuramente un aspetto del percorso che oggi applico quotidianamente è come guidare le persone in azienda per favorire la Trasformazione Digitale.

 

Oggi lavori per Linkedin, la più grande community professionale al mondo, quindi l’ultima domanda non poteva che essere sulla tua idea di network. Come vivi l’appartenenza alla community degli Alumni?

Citando John Donne direi che “Nessun uomo è un’isola”, nessuno vive solo per sé stesso e ogni persona non è che una parte di un tutto. Il network per me è questo: è l’opportunità di aumentare il proprio valore come singola in quanto appartenente ad una rete, a un gruppo con interessi in comune, e grazie alle molteplici possibilità di interazione e di apprendimento attraverso gli altri. Anche in questo senso mi sento orgogliosa di appartenere alla community degli Alumni MIP.

 

Benvenuti a Ingegneria Gestionale!

Vengono da tutta Italia i tantissimi ragazzi che hanno visitato lo stand del corso di laurea in ingegneria gestionale in occasione dell’Open day del Politecnico di Milano che si è svolto sabato 6 aprile nei due Campus di Milano Bovisa. Oltre 15.000 i partecipanti a questa edizione dell’Open day, provenienti da tutti i tipi di scuole superiori, non solo frequentanti il quinto anno, ma moltissimi anche al quarto.

Gli studenti interessati a iniziare una carriera accademica nell’ambito dell’ingegneria gestionale hanno avuto modo di confrontarsi con i docenti della School of Management, nonché con studenti già iscritti, e di assistere alle presentazioni del corso, 16 sessioni cui hanno partecipato in totale circa 3000 ragazzi.

Numeri che confermano un interesse molto alto nei confronti di questo percorso di studi. Ne abbiamo parlato con il prof. Stefano Ronchi, presidente del Corso di Studi e uno degli speaker della giornata.

 

Per chi è orientato a scegliere il percorso di studi in ingegneria gestionale, qual è il valore aggiunto di partecipare a un momento di incontro come questo?

Si tratta di un momento molto importante in cui abbiamo l’opportunità di far capire la trasversalità e la complessità di questa figura professionale e il ruolo strategico che può rivestire all’interno delle imprese. Inoltre, è un’occasione per conoscere il percorso formativo che è stato rinnovato proprio lo scorso autunno, seguendo i continui cambiamenti del mondo del lavoro e delle competenze richieste. Oggi e nei prossimi anni, in tutti i settori, sarà sempre più importante conoscere la tecnologia e avere forti capacità di gestione e analisi dei dati, alcuni dei temi che sono stati ulteriormente rafforzati all’interno del curriculum.

 

La domanda che abbiamo sentito rivolgere più spesso in questa giornata è stata “qual è la differenza tra studiare economia e studiare ingegneria gestionale?”

Quello che spieghiamo ai ragazzi è innanzitutto una differenza nei contenuti, un corso di ingegneria per sua natura è caratterizzato da una forte base scientifica, ingegneristica e tecnologica, come detto fattore sempre più importante per la creazione di valore nel mondo del lavoro. Un corso di economia, per sua natura, sostituisce questa base scientifica con un’impostazione più giuridica ed economica.

L’approccio scientifico cambia poi completamente l’approccio allo studio dell’impresa e alla risoluzione di problemi di natura gestionale, organizzativa ed industriale. L’ingegnere gestionale impara ad affrontare situazioni di natura economica e finanziaria con il tipico approccio “problem solving” che caratterizza da sempre il nostro Politecnico. Questo offre ai nostri laureati un ventaglio molto ampio di opportunità lavorative. Tutti gli alumni con cui ci confrontiamo costantemente sostengono con convinzione il fatto che questo approccio sia il segreto del loro successo professionale.

 

La presentazione del corso che si svolge in aula è interattiva: stimolate la partecipazione dei ragazzi attraverso sondaggi online che si svolgono live. Come vi è venuta questa idea?

Ormai da qualche anno utilizziamo in aula strumenti innovativi di questo tipo, facendo leva sulla tecnologia per stimolare l’interazione con i nostri ragazzi. Sulla base di questa esperienza ci è venuta l’idea di adottare gli stessi strumenti durante l’Open Day. Devo dire che questo è stato molto apprezzato dai partecipanti.

 

Oggi avete incontrato non solo studenti di licei scientifici, ma anche tanti studenti provenienti da scuole umanistiche. Quanto conta la scuola di provenienza quando si decide di intraprendere questo corso di studi?

Sono sempre più convinto che gli studenti provenienti da studi umanistici, come il liceo classico, siano una risorsa fondamentale per il nostro percorso. La diversità arricchisce l’aula e le prospettive di tutti i partecipanti. Inoltre, al fine di utilizzare al meglio la tecnologia per lo sviluppo di valore sostenibile sarà sempre più importante considerare il suo impatto sulla dimensione umana.

 

Per l’anno accademico 2019/2020 il numero di posti disponili è di 680 per la sede di Milano Bovisa e di 120 per la sede di Cremona. Tutte le informazioni su come accedere e sul test on line (TOL) sono pubblicate sul sito 

 

 

 

Premio Gianluca Spina per l’Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali 2019

Per il secondo anno consecutivo l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali assegnerà il  Premio Gianluca Spina per l’Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali alle istituzioni culturali italiane che abbiano avviato progetti di innovazione digitale particolarmente significativi nei processi interni o nell’offerta al pubblico.

L’istituzione culturale vincitrice avrà diritto a una Borsa di studio messa a disposizione dall’Associazione Gianluca Spina, per la partecipazione al MaBIC – Master in Management dei Beni e delle Istituzioni Culturali del MIP, Politecnico di Milano Graduate School of Business (Edizione 2019-2021). Dal 2019 il Premio è intitolato alla memoria di Gianluca Spina, Presidente e Dean del MIP, prematuramente scomparso.

I finalisti avranno inoltre l’opportunità di presentare il proprio progetto in occasione del Convegno di Presentazione dei Risultati dell’Osservatorio che si terrà il 23 maggio 2019 a Milano (Aula Magna Carassa e Dadda, Campus Bovisa), aperto al pubblico, con una partecipazione prevista di circa 400 persone a vario titolo impegnate nel settore.

Le candidature sono aperte a istituzioni culturali (es. archivi, musei, teatri) di natura pubblica o privata e a organizzazioni/associazioni culturali e possono essere sottomesse entro il 15 aprile 2019  compilando il form

Per maggiori informazioni sul Premio contattare eleonora.lorenzini@polimi.it

 

Intelligenza artificiale, scelte umane

“Non esistono cattivi studenti, solo cattivi maestri”. Massima forse non sempre vera, ma perfetta per capire come funziona quello che per il grande pubblico è ancora un oggetto misterioso e (per alcuni) un po’ inquietante: l’Intelligenza Artificiale. «Temere l’IA e il machine learning di per sé sarebbe un errore – sostiene Fabio Moioli, direttore della Divisione Enterprise Services di Microsoft Italia –. Se le intelligenze artificiali a volte commettono degli errori clamorosi, ad esempio quando analizzano i curricula adottando criteri non inclusivi, la colpa non è loro, ma dei programmatori che si sono occupati del loro training e che probabilmente non hanno tenuto conto di certe variabili. Un errore umano, quindi, come succede in tanti altri settori fondamentali».

Non una IA razzista, dunque, né tantomeno dotata di un subconscio e di un volere proprio, ma uno strumento che invece va utilizzato tenendo conto del suo immenso potenziale. «Per questo è bene –spiega Moioli – interrogarsi sui possibili rischi connessi agli usi impropri dell’IA, come fa ad esempio Elon Musk. Pensiamo all’impatto che hanno avuto sul mondo la fissione atomica o la polvere da sparo: ci sono aspetti cui dobbiamo prestare la massima attenzione, come la privacy, la trasparenza, la sicurezza, l’inclusività».

Le aziende sanno bene che la maggior parte delle persone, quando pensa all’IA, spesso si basa su narrazioni fantasiose, quasi “apocalittiche”. Anche per combattere questa tendenza, sono molte le imprese direttamente coinvolte nel settore dell’IA, Microsoft in testa, «ad aver dato vita al proprio interno a veri e propri comitati etici, slegati da qualsiasi valutazione di profitto o di marketing, che analizzano criticamente e in molti casi bocciano dei progetti considerati a rischio. Un tema che interessa molto anche le aziende nostre clienti», racconta ancora Moioli.

E proprio le aziende sono chiamate a confrontarsi in prima persona con le potenzialità offerte dall’IA: «Si tratta di una tecnologia pervasiva, che definirei general purpose, alla pari dell’elettricità –spiega Moioli –. Si può usare in qualsiasi processo: nell’interazione con i clienti, nella personalizzazione dei servizi, nella trasformazione dei prodotti. Ma può rivoluzionare anche le strategie produttive, aiutando le persone a lavorare meglio. Vantaggi che valgono per l’operaio così come per l’ingegnere».

Vantaggi, soprattutto, che grazie ai nuovi sviluppi possono essere sfruttati anche da piccole e medie imprese. Solitamente queste ultime non possono permettersi una squadra di data scientist, né hanno a disposizione le immense quantità di informazioni come le aziende più grandi. La situazione sta però mutando rapidamente: «Il trend in maggiore crescita è quello delle IA capaci di imparare di più, ma usando meno dati. Inoltre, sono sempre più diffuse librerie di cognitive services preconfigurati, servizi pronti all’uso basati sull’IA (per fare alcuni esempi: traduzioni automatiche, riconoscimento facciale, chatbot, ndr) che sono altamente personalizzabili in base alle esigenze di ogni singolo imprenditore. L’altro grande vantaggio è che in questo caso non servono dei veri e propri esperti di data science che programmino tutto da zero, ma sono sufficienti professionalità più diffuse e meno specializzate, come ad esempio gli sviluppatori software».

I tecnici, quindi, servono, non c’è dubbio. Ma Moioli offre un suggerimento anche a chi lavora o lavorerà in funzioni aziendali in apparenza non coinvolte in questo processo di cambiamento: «Che si occupi di marketing, risorse umane o altro, un manager dovrà sempre conoscere le potenzialità offerte dall’IA. Deve sapere che determinati strumenti esistono, e deve sapere che possono migliorare il suo lavoro».

Una consapevolezza diffusa che dunque non può prescindere dalla formazione e dall’educazione, a tutti i livelli. «In Italia ci sono diverse eccellenze di settore. La stessa FLEXA, piattaforma digitale di personalised e continuous learning della School of Management del Politecnico di Milano, è stata premiata da Microsoft come uno dei progetti più innovativi al mondo. Ora, però, bisogna lavorare molto anche nelle scuole primarie e secondarie: in futuro avremo bisogno di figure che parlino con sempre maggiore dimestichezza il linguaggio dell’IA. Questa è la vera priorità».

Programmi MBA: ecco le novità delle nuove edizioni

Il 2019 si preannuncia ricco di novità per quanto riguarda i programmi MBA ed Executive MBA. L’intera offerta è stata infatti rivoluzionata seguendo cinque filoni principali: innovazione, personalizzazione, digitalizzazione, soft skills ed ecosistema.

Con l’obiettivo di dare maggiore rilevanza a temi come l’innovazione e la trasformazione digitale, il curriculum dei programmi MBA è stato totalmente ridisegnato, aggiungendo nuovi corsi come Design Thinking, Corporate Entrepreneurship, Lean Start-Up ed Entrepreneurial Finance.
L’offerta si amplia anche per quanto riguarda i corsi Elective, con una crescita del 30% del numero di corsi offerti rispetto alle passate edizioni. Questo rende il percorso ancora più personalizzabile e adattabile alle aspirazioni ed esigenze professionali dei nostri allievi.
Ottime notizie anche per chi è interessato alla Digital Transformation: è infatti possibile ottenere questa specializzazione partecipando allo study tour in Silicon Valley, a un Management Boot Camp o ad una Major di Elective a scelta sul tema.

Tuttavia, non è solo la varietà di contenuti a essere innovativa, ma anche la modalità di fruizione. Dal lancio del primo Flex EMBA, il digital learning è diventato sempre più presente nell’offerta MIP. Le nuove edizioni dell’MBA e dell’Executive MBA si appoggiano su una piattaforma di digital learning rinnovata e rivoluzionaria.

Inoltre, gli allievi hanno accesso – anche dopo la conclusione del percorso –  a una nuova libreria di clip multimediali con 100 ore di lezione e 850 video pillole prodotte dalla faculty MIP.
Un ottimo strumento da sfruttare durante il Master e negli anni successivi per riprendere i concetti chiave o per rivedere alcune nozioni alla luce delle nuove esperienze lavorative.
Inoltre, per continuare a crescere anche dopo l’MBA, gli allievi e Alumni delle nuove edizioni hanno la possibilità di accedere a FLEXA, la nuova piattaforma di continuous learning basata sull’Intelligenza Artificiale sviluppata in partnership con Microsoft.

In un’offerta ampia come questa, non poteva mancare l’attenzione alle soft skill. Infatti, con la nuova edizione, viene dato più spazio al Leadership Program, che, attraverso la testimonianza di manager di grandi aziende come Moleskine e Groupe Edmond de Rothschild, porta in aula diversi esempi di leadership dalla prospettiva di leader, top manager ed imprenditori.

Infine, oltre al programma, è importante anche il contesto in cui ci si trova. Il MIP, infatti, vanta un duplice legame da una parte con il Politecnico di Milano e dall’altro con il tessuto imprenditoriale costituito innanzitutto dai soci del MIP. Questo permette di integrare il know-how accademico e tutto il sistema di laboratori, centri di ricerca e Osservatori dell’Ateneo, al forte coinvolgimento delle aziende, che intervengono estensivamente nel programma attraverso testimonianze in aula o accogliendo direttamente gli allievi nelle proprie sedi.

 

Pronti per il Global Talent Recruiting Day?

Il Global Talent Recruiting Day è alle porte e presto gli studenti dei Master Internazionali avranno la possibilità di incontrare 50 Aziende e circa 130 tra Manager e Recruiter.
Una grande opportunità per iniziare a gettare le basi del loro futuro percorso professionale. Tuttavia rimane un ultimo scoglio da superare: il colloquio.

Proprio come nelle partite – dopo tutto saremo allo Stadio di San Siro quel giorno – anche nei colloqui di selezione è l’allenamento a fare la differenza.
Un allenamento che è iniziato vari mesi fa grazie al supporto del Career Development Center, che ha organizzato attività, workshop, incontri e lezioni volti a preparare al meglio i candidati.

Scrivere un CV convincente e una cover letter efficace sono dei passi imprescindibili, ma non sono che l’inizio! Infatti, grazie al workshop “Job Interview Preparation”, gli studenti dei Master Internazionali hanno imparato a costruire il proprio storytelling, mentre durante l’Assessment Center Simulation, hanno potuto allenarsi alla soluzione dei business case.

Tuttavia non basta conoscere bene sé stessi e le proprie potenzialità per colpire i recruiter: è importante anche essere ben informati sull’azienda, sulla mission, sugli obiettivi e sulle soft skill richieste ai candidati.

Qui entra in campo il forte legame che il MIP ha da sempre con le imprese: HR e manager vengono spesso in aula per presentare i valori aziendali e illustrare il tipo di profilo ricercato agli studenti, anche grazie al supporto del team Partner Care e Company Engagement, che dialoga con le aziende mostrando loro le opportunità di collaborazione in termini di Talent Acquisition, Employer Branding e Networking.

 

 

Una nuova stagione di politiche dell’innovazione più inclusive e basate sulle imprese sociali per combattere le disuguaglianze

Incoraggianti i dati 2018 del Centro di ricerca Tiresia della School of Management  del Politecnico di Milano. Di un’imprenditoria attenta ai bisogni del territorio si è discusso a un convegno con Joan Rosés della London School of Economics, docenti, amministratori locali ed esponenti del Terzo Settore

Imprese sociali attente ai bisogni del territorio e alla necessità di impattare positivamente sul benessere delle comunità di riferimento, ma anche economicamente sostenibili, strutturate managerialmente e capaci di usare le migliori tecnologie. È questa, secondo il Centro di ricerca sull’innovazione e l’impatto sociale Tiresia della School of Management del Politecnico di Milano, una delle risposte possibili alle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza che stanno affliggendo anche il nostro Paese, portando alla povertà e allo spopolamento vaste aree marginali persino del Nord, zone interne che pagano la loro lontananza, o i difficili collegamenti, con i centri maggiori dove invece si concentrano ricchezza, benessere e competenze.

Oasi urbane di prosperità in una provincia sempre più povera, create dalla nuova economia della conoscenza. Un fenomeno diffuso in Europa, negli Stati Uniti, in Sud America che purtroppo non ha risparmiato l’Italia, dove invece il boom economico aveva visto il fiorire dei distretti industriali. “Ma invertire la rotta si può – commenta Mario Calderini, docente di Social Innovation e direttore di Tiresia – e i dati che abbiamo raccolto nel 2018 (nei prossimi mesi uscirà il nuovo report) lo dimostrano. La disponibilità di capitali per lo sviluppo di imprese a impatto sociale è in costante aumento: parliamo di capitali pronti a essere investiti per oltre 210 milioni di euro, ma se si guarda a tutti i finanziamenti riconducibili in qualche modo a un modello di finanza sostenibile raggiungiamo i 6,5 miliardi”.

E ancora: nonostante le imprese a impatto sociale mostrino in genere un’intensità tecnologica bassa (76%), quasi il 10% di esse può vantarne una medio-alta, cioè utilizza tecnologie innovative per risolvere sfide e problemi sociali in un settore tradizionalmente ‘labour intensive’. “In Italia – spiega Calderini – le start-up innovative a vocazione sociale, le cosiddette Siav, e le società benefit fanno un uso maggiore delle nuove tecnologie rispetto al resto d’Europa: circa due quinti delle Siav intervistate e quasi un terzo delle benefit rientrano infatti nelle organizzazioni a intensità tecnologica alta o media”.

Delle origini delle disuguaglianze e del ruolo di una nuova generazione di imprese sociali si è parlato il 1 aprile alla School of Management del Politecnico di Milano durante un incontro con il professor Joan. R. Rosés, docente alla London School of Economics and Political Science e autore con  Nikolaus Wolf del volume “The economic development of Europe’s regions. A quantitative history since 1900”. Un’occasione per economisti, docenti, amministratori locali ed esponenti del Terzo Settore di discutere con Rosés non solo delle tesi contenute nel libro, ma anche dei nuovi dati che illustrerà, frutto dell’algoritmo messo a punto con Wolf per definire dove si sta accumulando la ricchezza.

L’introduzione è affidata ad Alessandro Perego, Direttore Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano. Segue una tavola rotonda moderata da Francesco Antonioli, Contributor de la Repubblica, a cui partecipano: Raffaella Cagliano, Politecnico di Milano, School of Management; Claudia Fiaschi, Portavoce del Forum del Terzo Settore; Stefano Granata, Presidente Gruppo cooperativo CGM; Lorenzo Sacconi, Forum Disuguaglianze Diversità e Università degli Studi di Milano; Cristina Tajani, Assessore a Politiche del lavoro, Attività produttive, Commercio e Risorse umane, Comune di Milano.

Mappando la popolazione delle imprese sociali italiane, la loro densità non si differenzia molto tra grandi centri (1,55 ogni 100.000 abitanti) e aree interne (1,36 ogni 100.000 abitanti), così come non varia il livello di istruzione degli imprenditori, che nel 55% dei casi (appena un punto in più nelle città)  è in possesso di una laurea di primo o di secondo livello. Un dato che insieme a quelli dello sviluppo tecnologico e della disponibilità di capitali restituisce un quadro incoraggiante di strumenti e competenze diffuse in grado di fare la differenza. “Sono organizzazioni che possono intervenire sul territorio in maniera capillare – conclude Mario Calderini – e farsi promotrici di un nuovo sviluppo industriale maggiormente inclusivo, non dimentico dei bisogni sociali e territoriali e capace di arginare le conseguenze delle disuguaglianze”.

“Non solo le imprese sociali possono avere un ruolo importante in questa direzione – aggiunge Raffaella Cagliano,  professore di People management & organization alla School of Management del Politecnico di Milano -. Infatti un numero crescente di imprese for profit sta abbracciando un approccio strategico alla responsabilità sociale di impresa, integrando l’impatto sociale tra le dimensioni chiave della gestione del core business. E questo avviene molto spesso attraverso partnership con imprese sociali o organizzazioni no profit, instaurando circoli virtuosi di crescita e sostenibilità”.