Master MIDIS: l’incontro di due edizioni

C’è chi festeggia la conclusione del proprio percorso e chi invece inizia proprio in quel giorno una nuova avventura. Gli allievi della I edizione del “Master in Management dell’innovazione digitale nelle istituzioni scolastiche” incontrano quelli della nuova edizione del programma in occasione della tavola rotonda “L’innovazione digitale nella scuola: sfide e opportunità per valorizzare le competenze e sviluppare una scuola innovativa”.

In cattedra per delineare la situazione della scuola e gli scenari relativi all’innovazione digitale nel settore dell’istruzione, insieme a Tommaso Agasisti e Nicoletta Di Blas, Direttori del Master MIDIS e docenti del Politecnico di Milano, anche Licia Cianfriglia, Dirigente ANP, Gianna Barbieri, Direzione generale per i contratti, gli acquisti e per i sistemi informativi e la statistica, MIUR  e  l’Alumnus della I edizione Guido Boschini, IC “Alto Verbano”.

Congratulazioni ai partecipanti della I edizione che hanno ricevuto il diploma a valle dell’evento e un caloroso benvenuto ai nuovi allievi.

 

 

Manufacturing 4.0. Il futuro è adesso

Se c’è un errore di percezione più o meno diffuso sull’Industria 4.0, è quello di considerarla come una rivoluzione imminente, ma ancora di là da venire. Niente di più sbagliato: l’Industria 4.0 è adesso. Le trasformazioni sono già in atto, e se da una parte sono molte le aziende che stanno adottando le tecnologie più innovative e ripensando i confini e le forme del proprio business, c’è chi ancora resiste al cambiamento.

“Non si può non intraprendere questa trasformazione”, ha spiegato il professor Sergio Terzi, Direttore della Management Academy del MIP e Co-direttore dell’Osservatorio di Industry 4.0, introducendo la tavola rotonda Industry 4.0: How companies are evolving, tenutasi presso il MIP Politecnico di Milano nel corso dell’MBA Day del 9 marzo.

L’evento, durante il quale sono stati approfonditi i diversi formati MBA del MIP (International Full Time MBA, International Part Time MBA, Distance Learning MBA), ha visto gli interventi di Antonio Bosio, Head of Product and Solutions presso Samsung, e Ilker Ahmet Kalali, Head of Industrial Engineering and Smart Manufacturing presso Pirelli Tyre.

Entrambi hanno spiegato come queste due aziende di primaria importanza stanno rimodellando le proprie strategie, e quali nuove opportunità e sfide offre l’Industria 4.0. Samsung, ad esempio, sta puntando molto sul B2B2C (business to business to consumer). Siamo abituati a pensare alla multinazionale coreana come un’azienda che produce smartphone ed elettrodomestici per un mercato consumer. “In realtà collaboriamo molto con le aziende”, ha spiegato Bosio. “Sviluppiamo tecnologie che nascono sì per l’ambito domestico, ma che poi possono essere adottate in business molto diversi tra loro. È la consumerization. Pensiamo, ad esempio, ai wearable come gli smartwatch, che oggi percepiamo come dei gadget, ma che in realtà hanno già delle applicazioni importanti nel settore industriale, semplificando i processi produttivi e contribuendo all’incremento della produttività”.

Spazio anche alla realtà aumentata: “Stiamo sperimentando una tecnologia che permette ai clienti di sfogliare cataloghi virtualmente infiniti e di provare diversi modelli senza indossarli fisicamente”.

Una tecnologia che, però, è utile anche negli impianti produttivi, come ha spiegato Kalali: “La realtà aumentata offre una vera e propria guida in tempo reale agli operai, mostrando loro in diretta gli output dei vari passaggi da compiere”.

L’idea di personalizzazione, altro pilastro dell’Industria 4.0, è poi cruciale anche per Pirelli Tyre: “Oggi i clienti esigono sempre più dei prodotti concepiti sulle loro specifiche esigenze, estremamente personalizzati. Questo è ancora più vero, anche per Pirelli, quando ci si rivolge ai segmenti di mercato di fascia alta. L’azienda deve dimostrarsi predittiva prima ancora che reattiva, e per farlo deve puntare su due aspetti: la connettività e l’analisi dei dati. Due strumenti che, insieme a un approccio scientifico di analisi comportamentale, possono portare a grandi risultati. E, soprattutto, alla creazione di valore aggiunto”.

La sfida è grande, anche perché, come spiega sempre Kalali, non si può prescindere dalla sostenibilità, di cui le aziende devono essere le prime promotrici.

L’Industria 4.0, per conciliare tutti questi aspetti, deve “capire, innovare e ottenere risultati”, come sintetizza Bosio. L’ingegneria da sola non basta più, ma deve essere accompagnata dalla creatività e dalla grinta. O, per usare le parole di Kalali, “ha sempre più bisogno di cervelli, e non solo di muscoli”.

 

Bip e MIP presentano la XIV edizione del Master in Energy Management

“Il Piano Energia Clima: la transizione energetica al 2030”

  • 75% di aumento complessivo della potenza da fonti rinnovabili installata
  • Mercato eolico: potenza installata raddoppiata rispetto al 2017
  • Mercato fotovoltaico: si punta a raggiungere 2,5 volte l’installato attuale

 

Bip – Business Integration Partners, multinazionale di consulenza, e MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business, hanno presentato la XIV edizione del Master in Energy Management (MEM), iniziativa di alta formazione che si propone di avviare la preparazione di futuri manager nel settore dei servizi di pubblica utilità (energia, gas, etc.) e di consentire alle aziende sponsor dell’iniziativa di inserire nel proprio organico professionalità con competenze e potenzialità di particolare interesse.

Carlo Capè, co-fondatore e Amministratore Delegato di Bip, nonché membro del CdA del MIP, e Vittorio Chiesa, Direttore del MEM, hanno presentato i contenuti e gli obiettivi del Master nel corso della Tavola Rotonda “Il Piano Energia Clima: la transizione energetica al 2030”, un’occasione di confronto sul futuro del settore tra manager e studenti sul tema delle strategie dell’Italia al 2030 in merito a efficienza energetica, autoconsumo e generazione distribuita, sicurezza energetica ed elettrificazione dei consumi.

Tema infatti della Tavola Rotonda è il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima pubblicato dal MISE a Dicembre 2018, che determina le strategie dell’Italia per il periodo 2021‐2030 in merito a decarbonizzazione, efficienza energetica, autoconsumo e generazione distribuita, sicurezza energetica ed elettrificazione dei consumi.

L’analisi presentata, che ha evidenziato gli obiettivi di potenza installata per le diverse fonti rinnovabili al 2030, ha mostrato chiaramente come si punti fortemente su eolico – quasi il doppio rispetto al 2017 – e su fotovoltaico – 2,5 volte l’installato attuale -, con un aumento complessivo della potenza da fonti rinnovabili installata pari al 75%.

Per quanto riguarda la generazione elettrica si prevede che un aumento del 65% rispetto ad oggi, arrivando a coprire oltre il 55% dei consumi nazionali.

Il MEM ha negli anni formato oltre 250 studenti, con un placement vicino al 100%. La quasi totalità degli allievi è stata inoltre assunta dall’azienda in cui ha svolto il periodo di stage. Ad approfondire inoltre il tema degli sviluppi occupazionali del settore, sono intervenuti alcuni dei principali player del settore energetico, quali Stefania Battaglino, Head of Employer Branding and Young Generation di Edison e Alessandro Camilleri, Direttore Sviluppo, Formazione e Organizzazione del Gruppo Hera.

Il Master, in partenza il prossimo mese di ottobre, è un percorso di 12 mesi, full time, e prevede 6 mesi d’aula e fino a 6 mesi di stage presso una delle aziende partner o presso Bip – Business Integration Partners per acquisire esperienza all’interno delle società del settore, dimostrando allo stesso tempo il proprio talento e capacità.

“Il grande successo finora raggiunto dal MEM – commenta Carlo Capè, Amministratore Delegato di Bip – attraverso la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro di ormai centinaia di giovani professionisti, è la conferma della validità della scelta di collaborare con un partner autorevole e strategico come il MIP.
Siamo riusciti nell’intento di innescare una rivoluzione nel settore che ci rende orgogliosi e ci stimola a continuare a lavorare in questa direzione, con l’obiettivo di consolidare un settore – quello energetico – che necessita di competenze valide e complete.”

Nel 2018 si è aggiudicato il primo posto nella classifica stilata da EdUniversal Best Masters Ranking nella nuova categoria “Energy and natural resources” nella regione Western Europe. – commenta Vittorio Chiesa, Direttore del MEM.
La nuova edizione del MEM è stata profondamente innovata con l’inserimento di nuovi corsi e contenuti per fornire competenze sulla digital transformation, le ultime tecnologie e i trend che stanno cambiando anche il settore Energy.
Gli studenti acquisiranno non solo competenze manageriali volte a gestire il cambiamento, ma sapranno cogliere criticità e opportunità dal mercato di riferimento conoscendone le ultime tendenze in ambito Blockchain, Big Data, Intelligenza Artificiale, Smart Houses, e-mobility.”

 

Il lusso ai tempi di Instagram

C’erano una volta le riviste patinate. Oggi c’è Instagram. E i brand del lusso ne approfittano. Con le dovute cautele, però, perché se da una parte l’opportunità di rivolgersi direttamente ai potenziali clienti è immensa, dall’altra stiamo parlando di un mondo le cui regole cambiano in continuazione.

Trovare un equilibrio nel coinvolgimento della community e nella conservazione del proprio status non è affatto semplice. «Il lusso ha sempre lavorato su un’idea di distribuzione esclusiva e su una comunicazione conseguente», spiega il professor Fabrizio Maria Pini, Direttore dell’International Master in Luxury Management della School of Management del Politecnico di Milano. «I media digitali, invece, all’inizio venivano percepiti come qualcosa di indefinito e massificato. In un contesto in cui tutti potevano creare tutto, la messa in scena di un prodotto di lusso, che si distingue per il suo alto contenuto simbolico e narrativo, sembrava perdere la sua fascinazione. C’è una bella differenza tra una vetrina digitale e una boutique».

Il panorama social è così variegato e cangiante che diventa impossibile identificare un modello strategico univoco: «Le aziende del lusso possono adottare strategie estremamente innovative, con le quali si inseriscono in tutto e per tutto nel flusso comunicativo dei social, interagendo direttamente con gli utenti e potenziali clienti, o al contrario rimanere ancorati a modelli che, esagerando, sono ancora molto vicini alla pubblicazione delle campagne sulle riviste».

Di certo, però, negli anni i marchi di lusso non sono rimasti a guardare. «Sono partiti in ritardo, ma ora stanno bruciando le tappe» racconta Pini. E i numeri lo confermano. Instagram in particolare si dimostra il social network più appetibile per i brand fashion. Nel 2017 uno studio condotto da L2, azienda specializzata nelle metriche sulle performance digitali, rilevava una crescita del 53% nel numero di followers. Complici anche i fashion blogger: il professor Pini li definisce dei «traduttori del lusso, che all’inizio hanno saputo approfittare di vere e proprie praterie social. Mentre dapprima venivano percepiti quasi come delle groupies entusiaste, oggi sono forse l’incarnazione concreta del cambiamento dei rapporti di forza subentrati nel mondo del fashion. A discapito, ad esempio, di attori più istituzionali e percepiti come maggiormente qualificati, come i giornalisti».

«Sono proprio gli influencer, ora, ad agire come filtro e anello di collegamento tra la marca e i suoi potenziali consumatori» prosegue Pini. «Mentre in precedenza erano i clienti a inseguire il brand, ora è quest’ultimo che deve cercare di inserirsi nelle conversazioni, perché farsi trovare è diventato più problematico».

L’attuale fase di transizione lascia spazio anche alla sperimentazione di nuove strategie produttive, magari passando per i nuovi strumenti di profilazione degli utenti. Anche in questo caso il leitmotiv non cambia: «Alcune aziende continuano a pensare collezioni e linee in maniera tradizionale, brand più giovani invece partono proprio dal coinvolgimento della comunità».

Osare, però, significa anche rischiare. Basta un passo falso per generare una crisi di reputazione, che è molto più difficile da gestire rispetto al passato: «Le regole della conversazione sono diverse da quelle della comunicazione, e le icone, di solito, comunicano, non conversano» riflette Fabrizio Maria Pini. «Inoltre le conversazioni social sono scandite da tempistiche rapidissime, mentre aziende grandi e strutturate sono per forza di cose più lente nel reagire. Per reperire le informazioni necessarie a una risposta, a volte è necessario coinvolgere diverse funzioni aziendali. Nel frattempo, però, sui social network le altre conversazioni e le altre storie prendono piede e diventano sovrastanti. Così si ha una lotta tra narrazioni e miti. A volte, però, non c’è altro da fare che chiedere scusa e ammettere le proprie colpe. Anche questa è una grande differenza rispetto al passato: in altri tempi i brand non prendevano in considerazione l’idea di dichiararsi in torto».

 

Amazon Innovation Award: a Milano la vittoria va agli studenti della School of Management

 

Robot che comunicano tra loro come se fossero un corpo solo per rendere più sicuro lo spostamento e il sollevamento di carichi pesanti tra gli scaffali e in magazzino: è il progetto che ha vinto l’Amazon Innovation Award nella sfida di Milano che ha visto protagonisti gli studenti di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano.

Giulia Merati, Giorgio Manenti, Sofia Lamperti e Filippo Pennati Belluschi hanno vinto la tappa milanese della competizione lanciata da Amazon per stimolare gli studenti universitari a formulare progetti innovativi mirati a ottimizzare la consegna dei prodotti acquistati online.
Giunta alla sua terza edizione, ha coinvolto il Politecnico di Milano, il primo ateneo a dar vita al contest tre anni fa, il Politecnico di Torino e l’Università di Roma Tor Vergata.

Complessivamente sono 200 gli studenti del Politecnico di Milano che hanno partecipato alla sfida, divisi in gruppi di 4-5 persone, e 43 i progetti presentati.

Incuriositi dal progetto abbiamo chiesto ai nostri studenti di raccontare la loro esperienza.

Come mai avete deciso di partecipare all’Amazon Innovation Award?

Il corso di Logistics tenuto dal Professor Perego e il Professor Mangiaracina al Politecnico di Milano ci ha dato l’opportunità di partecipare all’Amazon Innovation Award. La motivazione principale è stata la nostra volontà di metterci in gioco: siamo infatti un gruppo molto affiatato e amante delle sfide, ed è bastato un piccolo confronto iniziale per dare subito inizio ai lavori. Inoltre, essendo comunque studenti impegnati con molti altri corsi, siamo stati incoraggiati anche dalla possibilità di alzare il voto finale di qualche punto, così come dall’occasione di mettere in pratica quanto studiato sui libri.

Uniti da tutto ciò, abbiamo dunque deciso di partecipare insieme come team e sfruttare le conoscenze dei nostri diversi percorsi universitari, così da beneficiare di molteplici punti di vista.

Inizialmente le idee sono state molte, ma abbiamo deciso di sviluppare quella che ci sembrava essere la più fattibile sia in termini di costo che di tempi di implementazione, risultando infine anche la soluzione vincente.

Di preciso, in che cosa consiste il vostro progetto?

Il progetto si basa sulla realizzazione di un sistema di robotica distribuita applicato ai robot Kiva, già presenti nei fulfillment center di Amazon per il trasporto di scaffali.

Dato l’obiettivo di migliorare le attività più gravose e rischiose attualmente svolte dagli operatori, il progetto si focalizza sui flussi in entrata quindi le attività di scarico merci e stoccaggio, ma anche sulla fase di picking, ovvero di preparazione dell’ordine del cliente.
Il concetto di robotica distribuita rende possibile la comunicazione e lo scambio di informazioni tra robot che collaborano permettendo di trasportare anche pesanti unità di carico in maniera autonoma ed intelligente. Da un punto di vista tecnologico, ciò richiede l’installazione di microcontrollori che connettono via Wi-Fi i robot a una piattaforma centrale per la gestione dei flussi.
Tuttavia, l’estensione nell’uso dei Kiva richiede una riprogettazione in termini di layout del centro distributivo. Infatti, il secondo tipo di intervento consiste in un sistema parts-to-picker per la preparazione dell’ordine. Si tratta di un sistema in cui, durante l’attività di picking, sono i prodotti a muoversi verso l’operatore e non viceversa come avviene nella logistica tradizionale.

La movimentazione delle merci viene automatizzata, mentre l’operatore, incaricato di preparare il collo in uscita, lavora in un’area predisposta senza la necessità di effettuare spostamenti. In questo modo è possibile ridurre il numero di incidenti relativi alla movimentazione di transpallet e carrelli elevatori all’interno del magazzino.

Un’idea interessante! Secondo voi, cosa l’ha resa vincente?

La nostra soluzione applica tecnologie già esistenti combinandole in maniera innovativa. Partendo da una tecnologia già in possesso della stessa Amazon, ovvero i robot Kiva, abbiamo applicato una disciplina oggetto di grande interesse per la comunità tech ovvero la robotica distribuita. Le caratteristiche vincenti della nostra soluzione sono che richiede cambiamenti minimi nella struttura dei Kiva stessi e nel meccanismo di comunicazione dei Kiva, il quale avverrebbe sempre via WiFi basandosi sull’infrastruttura esistente.
Questa possibilità di cambiamento non invasiva unita ad un costo di investimento estremamente basso, meno di 20$ a Kiva rende possibile l’applicazione immediata della soluzione, su grossa scala e a costi contenuti.

Combinando basso costo e facile implementazione, con i numerosi benefici in termini di sicurezza, efficienza e riduzione dei costi operativi dei FC Amazon ha reso la nostra soluzione vincente. Minimo costo di realizzazione e tempo di implementazione uniti a massima scalabilità e altissimo rendimento sono le parole chiave di questo progetto.

Oltre alla vittoria, che cosa vi ha dato questa esperienza?

Da questa esperienza abbiamo imparato che per ottenere un successo non è necessario solamente l’impegno e il sudore, ma anche e soprattutto un sinergico lavoro di squadra che derivi dalla complicità fra i suoi componenti: un team vincente non è a nostro avviso quello che ha i componenti più geniali o l’idea più complessa, ma quello che riesce a superare le barriere interne e a trasmettere con efficacia un messaggio ai destinatari finali, in questo caso i nostri professori e i manager di Amazon. Pensiamo infatti di aver trasmesso la nostra passione e la nostra dedizione attraverso le poche pagine di questo progetto.

Inoltre, abbiamo anche toccato con mano cosa significhi lavorare per una realtà immensa come quella di Amazon: in un mondo dove milioni di idee vengono generate ogni giorno, e dove la competizione è alle stelle, l’unico modo per distinguersi è creare qualcosa di qualità ma anche semplice e chiaro, che sia sì innovativo ma anche facilmente implementabile nell’immediato.

Prima di salutarci, una domanda che guarda al futuro: quali sono i prossimi passi?

Il futuro, lo ammettiamo, ci spaventa ma non necessariamente in modo negativo. Come avvenuto con questo progetto, affronteremo ciò che ci aspetta come una sfida e daremo il massimo per concludere in modo eccellente i nostri studi. Successivamente tenteremo di inserirci in un mondo che cambia ogni giorno di più, sia tecnologicamente che culturalmente. Questo ci scoraggia e ci incuriosisce allo stesso tempo, perché significa che per andare avanti dovremmo affidarci esclusivamente alle nostre qualità. Siamo comunque tranquilli poiché abbiamo in tasca un titolo di studio molto richiesto e estremamente professionalizzante, che tuttavia richiede una buona dose di personalità e voglia di fare: nessuna laurea infatti potrà mai sostituire queste qualità fondamentali.

Borsa di studio Gianluca Spina

Anche quest’anno gli allievi dei master MSCPM, MEM, MPAM e  dell’International Full Time MBA hanno la possibilità di fare richiesta per la borsa di studio in memoria di Gianluca Spina, Dean del MIP e Full Professor in Business Management and Supply Chain Management del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, messa a disposizione dall’Associazione Gianluca Spina.
Scrivi a infomasters@mip.polimi.it per avere maggiori informazioni relativamente a scadenze e bandi.

GEMOS: ecco le novità della prossima edizione

GEMOS, l’executive master dedicato ai professionisti della supply chain sviluppato in partnership con EADA, si aggiorna con tanti nuovi contenuti e un formato ancora più flessibile!

A partire dalla prossima edizione, infatti, gli allievi affronteranno nel programma anche temi di grande attualità come la sostenibilità, l’innovazione e i big data e la data analysis.
Un’evoluzione che ci permette di rimanere al passo con un mondo del lavoro in costante cambiamento.

Così, se da una parte lo studio della teoria è importante, mettere in pratica le nozioni apprese lo è ancora di più. Ecco perché in tutti i moduli svolti al MIP gli allievi avranno sia la possibilità di mettersi alla prova con un Business Game nel quale supply chain e finance si intersecano, che di conoscere da vicino l’ecosistema delle aziende italiane attraverso varie company visit.

Infine, anche il formato cambia, aggiungendo una componente in distance learning. Alle lezioni in aula – un long weekend ogni due mesi – si aggiungeranno infatti delle sessioni serali live in digital learning, per rispondere maggiormente alle necessità familiari e professionali dei nostri allievi, che provengono da tutto il mondo.

Il Project Manager oggi tra tecnologia, esperienza, rapidità

Nuove tecnologie, Big Data e dimensione internazionale sono alcuni dei fattori con cui oggi si deve misurare il Project Manager, figura spesso sottovalutata che, in virtù di scenari sempre più complessi e fluidi, assume crescente importanza. Ne abbiamo parlato con Mauro Mancini, professore di Project and Programme Management alla School of Management del Politecnico di Milano.

«È bene aver chiaro che la gestione di un progetto è la gestione di persone e di informazioni, e l’era della digitalizzazione che stiamo attraversando sta cambiando approcci e metodi di interazione e comunicazione tra le persone – precisa il professor Mancini –. Quanto più un’azienda riesce a dotarsi di strumenti di gestione dei progetti che possano beneficiare di tutto questo, tanto più riuscirà a cavalcare efficacemente i continui cambiamenti del contesto in cui opera».

In questo senso, l’Intelligenza Artificiale (AI), più che una minaccia, va considerata un’alleata. «La quantità di dati che dobbiamo gestire oggi è nettamente superiore al passato. Un Project Manager deve riuscire a capire in tempi molto rapidi la situazione, recuperare il maggior numero possibile di dati, verificarne la qualità ed elaborarli per definire un piano tattico o strategico – in funzione del contesto. L’Intelligenza Artificiale sarà sempre più importante per un Project Manager, perché sempre più quest’ultimo si troverà di fronte a situazioni non previste». Ma secondo Mauro Mancini, la parte più qualitativa del lavoro resterà appannaggio dell’uomo: «L’Intelligenza Artificiale compie delle simulazioni sulla base di regole fornite dall’uomo, ma non può prevedere il futuro. Chi deve gestire un progetto ha bisogno che tutto ciò che rispetta le regole del passato venga gestito ‘in automatico’, e in questo l’AI è molto utile, ma lo spunto vincente da punto di vista innovativo o della creatività sarà, a mio modo di vedere, sempre in mano all’intelligenza umana».

L’accento posto dalla società in cui viviamo sulla rapidità, e la possibilità, spesso offerta dalla tecnologia, di sperimentare soluzioni velocemente, sta portando alla diffusione dell’approccio noto come “cultura del fallimento”, il cui senso è racchiuso nell’espressione inglese “Fast fail, cheap fail”. «È un approccio che mi trova totalmente d’accordo – afferma Mancini –. In alcune culture, in particolare quella americana, se non hai mai sbagliato, non sei adatto a guidare dei processi particolarmente complessi e innovativi, perché non avere mai sbagliato vuol dire non avere mai rischiato. Ovviamente un progetto ha bisogno di tutti: persone che rischiano come di conservatori. E il Project Manager deve avere la capacità di capire quali sono le aree in cui è giusto sbagliare per imparare velocemente dall’errore e quali aree in cui muoversi con maggior attenzione».

Alla questione della velocità si lega in parte anche un altro tema molto dibattuto in questo periodo, quello della giusta proporzione fra soft skills e hard skills nelle professioni manageriali. In questo senso, a essere rapidi sono da un lato i mutamenti di scenario – nel mercato o in un singolo progetto – che richiedono capacità di adattamento e apprendimento, dall’altro il cambiamento delle competenze specialistiche richieste a chi lavora (soprattutto nell’hi-tech). «Uno dei compiti del Project Manager – spiega Mancini – è proprio quello di capire in tempi molto rapidi le competenze tecniche richieste per un determinato progetto (hard skill). Quanto alle soft skill, che io preferisco chiamare competenze comportamentali, sono in questo periodo oggetto di grande attenzione in Europa. Anche in questo caso c’entra il fattore tempo: sono competenze che, proprio in quanto ‘soft’, vengono sollecitate quotidianamente fin da piccoli. I settori industriali sono caratterizzati da diversi gradi di complessità tecnica, ma affinché un Project Manager sappia valutare la correttezza di una risposta alla fondamentale domanda ‘quanto tempo ci vuole a svolgere questa attività?’ indipendentemente dal fatto che sia posta ad una risorsa interna o esterna alla propria organizzazione, è necessario che quell’attività l’abbia svolta anche lui o, quantomeno, abbiamo tutti gli elementi per verificarne in tempi rapidi (spesso in tempo reale) la correttezza della valutazione. Avere competenza tecnica per un Project Manager non significa saper progettare un componente, un sistema o un’organizzazione, ma conoscere e/o acquisire in tempi rapidi le regole del gioco del contesto in cui ci si deve muovere».

Fra le competenze comportamentali, sono destinate a rivestire sempre maggiore importanza quelle interculturali. «Sempre più ci scontriamo con progetti in cui i soggetti in gioco provengono da culture completamente diverse. Nei vari paesi le capacità relazionali fanno leva su strumenti tecnici diametralmente opposti a quelli tipici della propria cultura di appartenenza. Dovremmo quindi esser sempre più capaci di interagire con modalità di pensiero e comportamenti molto diversi dai nostri, che possono nascondere valori altrettanto diversi».

 

 

Pronti, partenza, via: che il colloquio abbia inizio!

Un processo di selezione è un po’ come una maratona. Difficilmente riesci ad arrivare in fondo se non hai alle spalle le qualità e l’allenamento giusti. Così se i nostri studenti costruiscono durante l’MBA il bagaglio di conoscenze che farà risaltare il loro CV, le simulazioni e i workshop organizzati dal Career Development Center rappresentano l’allenamento ideale per il colloquio in sé.
L’asticella poi si alza quando parliamo delle società di consulenza, che spesso propongono ai candidati dei “case interviews”. Infatti, in un processo di selezione già impegnativo di per sé, i business case rappresentano per i candidati un’ulteriore sfida.
Ecco perché il Career Development Center fornisce fin dall’inizio dell’MBA consigli e materiali utili alla preparazione per questo tipo di colloqui. Tuttavia, cosa c’è di meglio di un’esercitazione guidata?
Per l’occasione è tornato in aula il nostro Alumnus Maurizio Paolella, Senior Vice President at AlixPartners London, pronto a mettere la propria esperienza a servizio degli studenti.

“Durante la selezione, uno dei principali obiettivi comuni di Intervistatore e Candidato è di far emergere le qualità di quest’ultimo” – spiega Maurizio. –“ Nella consulenza, il business case è senz’altro uno strumento utile per la ricerca delle competenze. Dal momento che “non c’è mai una seconda occasione per fare una buona prima impressione”, diventano fondamentali la preparazione ed imparare a sentirsi a proprio agio in una situazione di stress: in questo modo si riuscirà a dare il meglio sé, ampliando a piccoli passi la propria comfort zone.”

Grazie a questo workshop, gli allievi MBA hanno scoperto un modo interattivo e divertente di migliorare le proprie competenze di gestione dei colloqui. La lezione si è divisa in due parti. Una con attività di ice-breaking, durante la quale hanno imparato a presentare il proprio percorso professionale in modo efficace e conciso, e una seconda con un role play volto a simulare i principali errori fatti dai candidati durante la discussione di business case.