Le porte del MIP riaprono alle “Doing Business in Italy”

È stato un piacere, alla fine di agosto, poter nuovamente accogliere in presenza i partecipanti delle Doing Business in Italy. Questi programmi di formazione internazionali sono ormai una tradizione del MIP, che da anni organizza degli study tour personalizzati dedicati ad executive e studenti, con l’obiettivo di fornire un’esperienza che combini contenuti didattici di eccellenza con l’esperienza diretta e le conoscenze del mercato e del sistema di produzione italiani.

Lezioni frontali, visite aziendali e interventi di manager si alternano per fornire un’occasione di crescita completa e di valore.
Un formato che la nostra Scuola ha dovuto rivedere nell’ultimo anno, come conseguenza delle limitazioni dei viaggi internazionali a seguito della pandemia.
Complice la forte expertise del MIP del distance learning, siamo riusciti a portare in digitale le Doing Business in (DBI), permettendo agli studenti delle università partner di continuare a confrontarsi con le realtà del business italiano.
Nonostante il successo delle Digital DBI – così sono state ribattezzate queste versioni “a distanza” – è stata una grande gioia per la nostra scuola poter accogliere nuovamente in presenza gli studenti della Nyenrode Business Universiteit e di ESSEC Business School, che hanno rispettivamente partecipato ai programmi “Digital Transformation & Innovation in the Italian Luxury Framework” e “The New Frontiers of Industry 4.0 & Italian Luxury Brands”.

Due esperienze con un focus sul lusso, ma caratterizzate da approcci diversi.Infatti, gli studenti di NBU – il cui programma di tre giorni metteva in primo piano il legame tra il tessuto imprenditoriale, incluso quello del lusso, e i temi della trasformazione digitale e dell’innovazione – alle lezioni in aula si sono aggiunte un’esperienza nel laboratorio PHEEL, un tour di Milano e le visite a un’azienda produttrice di Parmigiano Reggiano e alla Pagani Automobili.

Per quelli di ESSEC – più interessati all’industria 4.0 e con a disposizione cinque giorni – invece si sono aperte le porte del MADE – Competence Center Industry 4.0, oltre che quelle di alcune aziende come Intercos, Bosh, Cosberg, Ermenegildo Zegna, Valentino e Dallara.

GLOBAL MBA E MASTER SPECIALISTICI: IL MIP POLITECNICO DI MILANO SI CONFERMA TRA LE MIGLIORI BUSINESS SCHOOL AL MONDO

La School of Management del Politecnico di Milano si conferma tra le eccellenze mondiali nei ranking Quacquarelli Symonds (QS): livello di occupabilità e ROI tra gli elementi di spicco dell’offerta formativa

L’offerta formativa specialistica del MIP Politecnico di Milano, la Graduate School of Business che fa parte della School of Management dell’ateneo milanese, si conferma tra le eccellenze mondiali. Anche per quest’anno l’International Master in Digital Supply Chain Management (iMSCPM) si posiziona al 7° posto a livello globale su 62 istituti, secondo la classifica 2022 QS Business Masters Ranking pubblicata oggi dalla società di consulenza globale di formazione superiore Quacquarelli Symonds (QS) che ha preso in esame 600 master. A livello europeo, con questo stesso Master il MIP Politecnico di Milano si posiziona quarto. La business school milanese è presente nei relativi ranking anche con i master specialistici in marketing (32/105) management (37/155), business analytics (43/120) e Finance (65/179), per i quali ha ottenuto miglioramenti rispetto allo scorso anno, sostanziale stabilità e in alcuni casi valutazioni sopra la media mondiale.

Oltre ai Master specialistici, QS ha stilato anche la classifica dei migliori Global MBA che vede il MIP Politecnico di Milano rientrare nella top 100 mondiale, posizionandosi con il Full Time MBA all’88esimo posto su 286 master di 45 Paesi nel mondo. A livello europeo è 29esima – su 73 programmi. I plus che hanno distinto maggiormente il Master firmato MIP sono l’alto grado di occupabilità degli iscritti (Employability), valutata in base a interviste a 54mila recruiter nel mondo, e il Return on Investment (ROI).

“La permanenza della nostra offerta formativa in un ranking accreditato a livello internazionale” – ha dichiarato Vittorio Chiesa, Presidente del MIP Politecnico di Milano – “è sicuramente motivo d’orgoglio e allo stesso tempo stimolo a migliorare i nostri Master rendendoli sempre più rispondenti alle esigenze di neo-laureati e manager con una carriera avviata nei più diversi settori. Affidarci a QS per la misurazione della qualità dei nostri MBA e dei nostri Master specialistici ci consente infatti di confrontarci con centinaia di business school nel mondo sotto diversi punti di vista: per esempio la qualità scientifica della faculty, i progressi di carriera degli studenti, il livello di diversity delle aule, per citarne alcuni tra i più significativi”.

Tornando al Master in Supply Chain, anche in questo caso è il livello di occupabilità che ha consentito al MIP di distinguersi tra i migliori del mondo, insieme al rapporto qualità – prezzo (Value for Money): limitatamente a questi due criteri la business school milanese è rispettivamente al 5° e 6° posto a livello mondiale, a dimostrazione dell’eccellenza dei percorsi formativi erogati. L’International Master in Digital Supply Chain Management – Operations, Procurement and Logistics si rivolge ai giovani laureati interessati ad approfondire le diverse tematiche manageriali legate al settore delle operations e della supply chain, focalizzandosi su aspetti quali l’innovazione tecnologica e la sostenibilità.

“Se si considera che nel corso degli anni le business school presenti nei ranking sono in costante aumento” – ha aggiunto Federico Frattini, Dean del MIP– “il nostro risultato è ancora più significativo, soprattutto perché va a dare maggiore valore agli accreditamenti che ci sono riconosciuti dai principali enti internazionali. Vogliamo quindi condividere questo riconoscimento con studenti, alumni, professionisti e imprese: una community vastissima e internazionale che quotidianamente entra in contatto con la nostra scuola e che rappresenta una delle nostre principali risorse del MIP”.

 

Tutte le informazioni sui Master specialistici e sugli MBA del MIP sono disponibili al seguente link:

I QS 2022 Ranking sono consultabili qui.

Festival dell’Ingegneria

Dal 10 al 12 settembre 2021 il Politecnico di Milano presenta la Prima Edizione del Festival dell’Ingegneria.

 

Tre giorni di incontri, lezioni, laboratori aperti e spettacoli in cui i visitatori potranno vivere un’esperienza immersiva nel mondo dell’Ingegneria, guidati da docenti, dottorandi e ricercatori che condivideranno con grandi e piccoli la loro vita nei laboratori del Politecnico di Milano, i traguardi già raggiunti nel campo della ricerca e le sfide ancora da vincere, con uno sguardo puntato sempre verso il futuro delle tecnologie.

Gli eventi si svolgeranno presso i campus di Milano Bovisa: La Masa, Lambruschini e Durando.
Tutti gli eventi sono ad ingresso libero, su prenotazione e a posti limitati nel rispetto delle norme COVID.

Anche il Dipartimento di Ingegneria Gestionale della School of Management parteciperà a “POLIMIopenLABS“, con l’apertura dei propri laboratori:

Industry 4.0 Lab
https://www.eventi.polimi.it/events/polimiopenlabs-industry-4-0-lab-11-09/

Pheel – Physiology. Emotion. Experience.
https://www.eventi.polimi.it/events/polimiopenlabs-pheel-physiology-emotion-experience-lab-11-09/

Nella categoria “VISIONI POLITECNICHEsabato 11 settembre alle ore 11.30 il prof. Giuliano Noci, terrà una lezione dal titolo “Cina-USA: perché la paura non innescherà la trappola di Tucidide“.
Per informazioni e iscrizioni alla lezione:
https://www.eventi.polimi.it/events/visioni-politecniche-cina-usa-perche-la-paura-non-inneschera-la-trappola-di-tucidide/

 

Per maggiori informazioni sulla manifestazione:
https://www.eventi.polimi.it/rassegna-evento/festival-dellingegneria-prima-edizione/

Un nuovo avvio in sicurezza

In questo anno e mezzo di emergenza, il MIP si è sempre impegnato per garantire la massima sicurezza possibile a studenti, docenti e staff durante lo svolgimento delle attività in sede.
Come è noto, durante il mese di agosto, il Governo e il Ministero (decreto legge del 6 agosto 2021) hanno ribadito una chiara volontà di ripresa della vita universitaria in presenza introducendo nuove disposizioni normative che richiedono la certificazione verde (Green Pass). Pertanto, a partire dal 1° Settembre 2021 è obbligatorio per tutti i nostri Studenti, lo Staff e la Faculty il possesso di tale documento per accedere o permanere negli spazi del nostro Campus.

Ricordiamo che il Green Pass viene rilasciato a chi:

  • si è vaccinato (anche se non ha ancora completato l’intero ciclo, purché siano passati almeno 15 giorni dalla prima dose)
  • ha un tampone negativo nelle ultime 48 ore
  • è guarito dal Covid-19 nei sei mesi precedenti.

Per gli studenti che avessero effettuato il vaccino nel proprio Paese e questo non fosse riconosciuto da EMA la Scuola organizzerà la somministrazione gratuita di tamponi (la durata del tampone è di 48h dopodiché deve essere rifatto) per permettere l’accesso alle strutture.

Il Green Pass rappresenta quindi una misura importante per lo svolgimento in sicurezza delle attività didattiche, curriculari e non.
Il controllo del possesso e della validità del Green Pass verrà effettuato da personale preposto come previsto dal quadro normativo.

Questa misura va ad aggiungersi a tutte quelle già messe in atto in questi mesi per il contenimento del contagio, come l’utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie nei luoghi chiusi e il divieto di accesso e permanenza nei locali con temperatura corporea superiore ai 37.5°.

Ricordiamo inoltre, che già dallo scorso settembre, il MIP, in aggiunta alla consueta sanificazione degli spazi, ha scelto una nuova tecnologia per disinfettare con cadenza mensile tutte le aule e gli spazi comuni grazie all’utilizzo del perossido di idrogeno, sostanza della massima efficacia antimicrobica nei confronti di batteri, funghi, spore e virus, compreso il Coronavirus

La buona riuscita di questa tanto attesa ripartenza dipende dall’impegno e la collaborazione di tutti nel rispetto delle normative vigenti. Un impegno di cui vi ringraziamo fin da ora, sicuri che insieme potremo avviare con successo questo nuovo anno accademico.

È anche questa l’occasione per ricordare alcune semplici regole che vanno rispettate durante lo svolgimento delle attività nel Campus.

Perchè l’EMBA è stato per me un life-changer

Qual è il nostro modo di ragionare.

Che cosa ci sta più a cuore come individui.

Per cosa ci alziamo la mattina.

In base a quali criteri prendiamo le nostre decisioni.

Cosa dà efficacia nella mia relazione con gli altri.

Cosa significa successo per il team.

Cosa significa cambiamento in un’azienda.

E soprattutto, sono in cammino o sto aspettando…

Ecco. Iscriversi e frequentare l’EMBA Part Time mi ha dato modo di farmi queste domande, e di lavorarci sopra. E di trovare metodi per provare a rispondere a queste domande, ogni giorno, in ogni contesto, dentro e fuori dalla vita professionale.

Già per questo la mia esperienza al MIP è stata indimenticabile.

Mi sono iscritto per accelerare la mia carriera e migliorarne la prospettiva, e ne esco avendo capito che la carriera è l’ultima cosa a cui pensare se si vuole crescere.

Includo nel concetto di crescita tutto ciò che riguarda lo sviluppo umano e professionale di una persona, l’allargamento della propria coscienza.

Qui, dentro e fuori dalle aule del MIP, fisiche e digitali, dalle lezioni e dai confronti con i docenti, con i compagni, con i testi e tutto ciò che ne è nato, a livello di network di connessioni e relazioni, qui ho trovato maestri, qui si può crescere come persona.

L’importanza dell’investimento, almeno personalmente, mi ha messo nella posizione per voler scattare. I contenuti e le relazioni in quella di poterlo fare.

Solo le due cose insieme sono garanzia di impatto solido e di lungo periodo.

Io non ero un ingegnere, non lo sono e non lo sarò. Anche se ho imparato molto da diversi ingegneri, e ho grandi amicizie con ingegneri oggi.

Mi ero iscritto per cercare un posto sicuro in una grande azienda, e esco sicuro di avere un posto nel mondo, del mio posto nel mondo.

Con un team di compagni ho co-fondato una startup, che ha già vinto un bando da 50mila euro a fondo perduto, e un programma di incubazione per 6 mesi. Si chiama Bridged e ha l’obiettivo di facilitare il matching tra organizzazioni del terzo settore e imprese per realizzare progetti a impatto sociale e ambientale.

Con un secondo team ho seguito la joint venture di due grandi aziende nel settore della formazione e del lavoro, applicando il metodo scientifico sperimentale appreso al MiP, e giungendo a definire il business plan e il piano strategico, operativo e tecnologico, del progetto. Concludendo con un workshop con le 2 aziende con il dean Federico Frattini e Mariano Corso, professore di Change e Knowledge Management.

E con un terzo team ho validato un nuovo modello di business per una piattaforma che aggrega i servizi di cura alla famiglia e alla casa.

Ci sono state aperte le porte del Polihub, l’incubatore del Politecnico, e al momento opportuno affronteremo la fase di finanziamento e allargamento della compagine societaria per fare lo sprint necessario al go to market.

Sono tre progetti reali, nati e validati al MIP.

Come docente di comunicazione pubblica e trasformazione digitale ho allargato la mia visione, che era soprattutto filosofica, sociologica, psicologica, e di scienze dei media e della comunicazione, fino a comprendere l’impatto organizzativo della trasformazione digitale della comunicazione.

Oggi so di poter offrire la mia consulenza tenendo presente l’interezza del sistema organizzativo, che ha sempre nella comunicazione il suo meccanismo relazionale, tra colleghi, partner, supplier e stakeholder.

Sono qui oggi a condividere la mia esperienza e lo faccio molto volentieri, per voi e per me. Perché ho capito che non c’è differenza tra noi.

Siamo in un’unica ecologia, squilibrata dalla nostra specie. Sta a noi fare quanto possiamo per riequilibrarla, grazie al nostro modo di pensare, di decidere e di fare, che insieme è quello che diventiamo, come individui e società.

 

L’Autore
Michele Bergonzi

Alumnus dell’EMBA Part Time del MIP. Appassionato di filosofia della scienza e di approccio sistemico.

Imprenditore sociale. Insegna comunicazione pubblica e trasformazione digitale. Papà di Bruno e Tullio. Gli piace alternare la vita nella giungla urbana con quella sulle montagne, dove coltiva una vigna.

E’ membro dell’Advisory board dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano.

Viaggio nel mondo del lavoro

Che cos’è un Master se non un viaggio? Chi si iscrive ad un corso di formazione intraprende un percorso che parte dall’esplorazione del sé e prosegue con la scoperta del mondo del lavoro, mentre si naviga verso la meta: il raggiungimento del proprio obiettivo professionale.

La prima fase di analisi del proprio profilo professionale è fondamentale: quali sono i punti di forza e quali le aree di miglioramento? Quali sono le competenze distintive? Come colmare le lacune? Grazie alla piattaforma di Artificial Intelligence del MIP, FLEXA, i candidati possono sottoporsi ad un assessment delle proprie competenze hard, soft e digital.

Da un lato, essere consapevoli dei propri punti di forza è fondamentale per strutturare la propria “value proposition” ed essere in grado di presentarsi in modo efficace.

Dall’altro lato, è importante individuare le proprie aree di miglioramento ed essere guidati nello sviluppo delle competenze necessarie per colmare i propri gap.

Completata la fase di self-assessment e identificazione delle proprie core competencies, si apre uno dei momenti più delicati nel percorso di un Career Leader, ovvero analizzare e comprendere le dinamiche tipiche del mercato del lavoro.

Questa fase è fondamentale per costruire e governare il proprio action plan perché consente di trovare le giuste coordinate per orientarsi all’interno di un contesto in continua evoluzione e valorizzare il proprio bagaglio di competenze in virtù dell’obiettivo di carriera che ci si è posti.

È necessario partire dall’identificazione dei fattori che possono influire sul mercato del lavoro, come ad esempio l’analisi delle competenze maggiormente ricercate.

In un recente report pubblicato dal World Economic Forum, “The Future Jobs 2020”, si afferma che entro il 2025 l’accelerazione del progresso tecnologico determinerà una sostanziale trasformazione dei ruoli già esistenti e che il 40% delle competenze tradizionali richieste cambierà. La concomitanza di fattori come la digitalizzazione e la pandemia hanno accelerato un processo noto da anni.

Tra le skills più richieste ci saranno certamente competenze trasversali come la capacità di sviluppare un pensiero critico positivo e strategico, così come l’abilità di gestire problemi complessi perché è quello di cui le aziende hanno bisogno per navigare nella complessità e gestire potenziali cambiamenti di rotta non prevedibili, come la pandemia ci ha dimostrato. Altrettanto richieste saranno competenze di ruolo specifiche legate ad esempio alla Digital Transformation o ai Big Data.

Orientarsi in un contesto in rapida evoluzione e tanto competitivo può rappresentare un’ardua impresa anche per il candidato più assennato perché dopo aver completato l’assessment delle proprie competenze e identificato i propri punti di forza e aree di miglioramento, dovrà confrontarli con quello che il mercato del lavoro sta ricercando.

Le piattaforme digitali possono offrire ai candidati delle coordinate di base per interpretare l’attuale mercato del lavoro, come ad esempio:

  1. Identificare le competenze attraverso keywords ed impostarle come criteri di ricerca
  2. Utilizzare modificatori booleani per perfezionare ulteriormente la ricerca e trovare rapidamente ed efficacemente le posizioni che si adattano alle proprie competenze
  3. Analizzare quali sono le competenze più richieste per ruolo, area di business e settore con particolare attenzione per le competenze trasversali
  4. Se la ricerca è aperta a più aree geografiche, verificare se ci siano competenze o requisiti specifici richiesti (es. competenze linguistiche, visa, etc.)
  5. Tenersi costantemente informati sui trend di business del proprio settore o aziende di riferimento

Come Career Consultant MIP poniamo da sempre una forte attenzione all’analisi del mercato del lavoro ritenendolo un elemento chiave per i nostri Career Leader.

Infatti, oltre ad offrire all’interno del nostro programma momenti di approfondimento con coach ed head hunters, e aver stretto nel corso degli anni collaborazioni con piattaforme di carriera digitali a livello internazionale, ci siamo dotati di uno strumento di analisi come LinkedIn Talent Insights per accedere ad informazioni sui trend del mercato del lavoro attendibili e costantemente aggiornati.

LinkedIn è conosciuta per essere la piattaforma di carriera più usata al mondo, milioni di professionisti e aziende la utilizzano quotidianamente per aggiornare i propri profili, pubblicare offerte di lavoro, condividere aggiornamenti (anche noi stiamo utilizzando LinkedIn per condividere questo post!), mantenere vivo il proprio network professionale.

Centinaia di milioni di dati che Talent Insights permette di analizzare ed interpretare per costruire una strategia efficace di talent intelligence, individuando ad esempio uno specifico target di talenti, quali sono le competenze ricercate nei professionisti, in quali settori, come vengono selezionati, quali aziende li stanno assumendo e come variano le tendenze in base alle aree geografiche di interesse.

I dati, in forma aggregata, restituiscono una fotografia del mercato del lavoro accurata e in tempo reale.

In un mondo sempre più governato dai dati, il rischio di sentirsi smarriti e di non avere gli strumenti per orientarsi è molto alto, ma al MIP il CareerLeader non è lasciato solo: nel suo viaggio può fare affidamento non solo sugli strumenti digitali, ma anche sulla guida dei Consulenti di Carriera, che incontra sia in aula durante workshop e laboratori in gruppo, sia individualmente durante colloqui di orientamento. Confrontandosi con un professionista, il candidato può definire meglio la rotta verso la meta e governare in modo più consapevole e strategico il viaggio verso il proprio obiettivo di carriera.

Lo sport come modello ispiratore e sede di valori

“Sono il padrone del mio destino. Il capitano della mia anima”, così recitava Nelson Mandela citando “Invictus”, meravigliosa poesia composta dall’inglese William Ernest Henley. Quasi un mantra, durante i 27 anni di reclusione di Madiba, che hanno permesso all’attivista sudafricano di resistere ai soprusi, rappresentando quell’animo indomito capace di ispirare milioni di persone in tutto il mondo. Una frase ripresa anche da Clint Eastwood nell’omonimo lungometraggio, Invictus – L’invincibile (2009), in cui la storia di Mandela si intreccia con quella di François Pienaar, capitano della nazionale di rugby che vinse il Campionato Mondiale nel 1995.

Perché lo sport, ad ogni livello, è da sempre motivo di unione in grado di appianare contrasti, superare odio e bandiere e unire 43 milioni di persone per sospingere la propria squadra a battere gli “invincibili” All Blacks. Uno schema che si è ripetuto anche in occasione di EURO 2020, per noi italiani motivo di grande orgoglio grazie alla vittoria della nazionale allenata da Roberto Mancini che rappresenta l’ennesima conferma del potere dello sport, capace di unire Paesi diversi attraverso la prima competizione europea itinerante.

I 51 incontri previsti sono stati infatti organizzati in 11 città, promuovendo così uno spirito di condivisione che, quasi magicamente, hanno collegato Roma con Baku, Londra con Bucarest, San Pietroburgo con Amsterdam. Una opportunità, anche particolarmente critica data la situazione sanitaria, che però ha costituito un valore aggiunto sotto l’aspetto comunicativo, esportando (anche) esperienze architettoniche, ingegneristiche e gestionali grazie alla riconosciuta visibilità di un evento così seguito.

In tal senso, infrastrutture sportive iconiche come Hampden Park (Glasgow, 1903) hanno condiviso il palcoscenico con stadi di ultima generazione, sancendo un sodalizio tra memoria e innovazione, quest’ultima evidenziata da EURO 2020 per via di impianti di assoluto livello. Temi ormai fondamentali come la sostenibilità, considerata in senso tout court, hanno per esempio costituito la base del rinnovamento della Johan Cruijff Arena (Amsterdam, 1996), attualmente un autentico hub energetico per la propria città, oppure il leitmotiv dell’intera area in cui è localizzata l’Allianz Arena (Monaco di Baviera, 2005).

Per tale ragione, viene quasi spontaneo considerare vincitori di EURO 2020, al pari dell’Italia, anche i 60.000 spettatori che hanno colmato la Puskás Aréna (Budapest, 2019), le migliaia di persone che hanno percorso l’Olympic Way dirette al Wembley Stadium (Londra, 2007), oppure la spettacolare vitalità che ha illuminato fin dalla partita inaugurale il Foro Italico, in cui sventolavano infiniti tricolori poi identificati, in un’indimenticabile serata europea, nell’arco di Wembley, capace di irrompere nella notte londinese come un luminoso manifesto simbolico della tenacia dimostrata dal nostro Paese per uscire dalla crisi pandemica.

Perché in fondo, rammentando alcune frasi di Nelson Mandela, sono i valori, identificati nello spirito di squadra, nella volontà di rialzarsi dalle difficoltà, nell’ambizione di conquistare qualcosa e persino nell’adattarsi, a conferire allo sport il difficile ruolo di ispiratore. E questo indipendentemente dal talento dell’atleta, che dev’essere sempre spinto da “un desiderio, un sogno, una visione” come sosteneva il grande Muhammad Ali. Un uomo, al pari di Madiba, in grado di impersonificare l’essenza più profonda dell’essere sportivo, non soltanto per quegli indimenticabili incontri, ma anche – e direi soprattutto – per la forza dimostrata ad Atlanta ’96, quando ormai indebolito nel fisico, scovò la volontà per emozionare milioni di persone, come a ricordare una sua frase: “Impossibile non è una regola, è una sfida”.

Considerando ciò, il Master in Progettazione Costruzione Gestione delle Infrastrutture Sportive da me frequentato e organizzato da Politecnico di Milano e MIP, pone infatti lo sport al centro del proprio programma, reputando la pratica sportiva in qualità di espressione di questo valore aggiunto: la trasversalità della passione e dei valori sportivi uniti ad un alto livello di formazione scientifica e multidisciplinare che offre uno spettro formativo di elevato prestigio e, allo stesso tempo, di soddisfazione professionale e umana.

 

L’autore
Luca Filidei

Architetto, laureato al Politecnico di Milano, ho conseguito presso lo stesso Ateneo il Master Universitario di II livello in Progettazione Costruzione Gestione delle Infrastrutture Sportive. Ho svolto attività di ricerca e collaborato con il Comune di Milano in occasione del bilancio partecipativo. Da febbraio scrivo articoli riguardanti le infrastrutture sportive sul web magazine Calcio e Finanza.

 

 

SOM per gli SDGs: premi di laurea per tesi con impatti connessi ai Sustainable Development Goals

E’ aperto il bando per 2 premi di laurea: SOM per gli SDGs: Tesi con impatti connessi ai Sustainable Development Goals.

La School of Management del Politecnico di Milano promuove i principi di una gestione responsabile e sostenibile in tutti i suoi programmi e sostiene attività di apprendimento e ricerca coerenti con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile/ Sustainable Development Goals (SDG) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (https://unric.org/it/agenda-2030).

I premi di laurea, del valore di € 1.000,00 ciascuno, sono destinati a laureati/e al corso di Laurea Magistrale o Laurea Specialistica o V.O in Ingegneria Gestionale che abbiano conseguito il relativo titolo nel periodo novembre 2020 – ottobre 2021.

I lavori (tesi o tesine) dovranno dimostrare di avere ricadute su uno o più SDGs (es. sviluppo di ricerche in ambito di progetti, prodotti o servizi alla persona per la promozione della salute e del benessere, parità di genere, sicurezza, protezione dell’ambiente, conservazione del patrimonio culturale, miglioramento delle condizioni di vita delle fasce deboli).

Per maggiori informazioni, si prega di consultare il bando disponibile alla pagina: https://www.som.polimi.it/albo-e-bandi/

 

 

Cybersecurity: in azienda arriva l’esperto!

Dall’home banking, agli acquisti online, fino alla gestione di interi processi industriali: oggi l’accesso alla rete è fondamentale, sia in ambito personale che professionale. Tuttavia, questo strumento così potente, oltre ad avere grandissime potenzialità, nasconde anche dei rischi. Quali? Ne abbiamo parlato con il Prof. Paolo Maccarrone, direttore dell’International Master in Cybersecurity Management.

Volendo riassumere i tipi di rischi che corrono oggi le aziende, possiamo dire che sono tipicamente tre: confidenzialità, integrità e disponibilità del dato.

Gli “attacker”, infatti possono avere interesse a impossessarsi dei dati non solo per comunicarli a soggetti terzi (confidenzialità), ma anche a comprometterli o distruggerli (integrità), o a renderli irraggiungibili (disponibilità), tipicamente chiedendo un riscatto in cambio.

Tutti questi rischi sono enormemente cresciuti negli ultimi anni a causa della digitalizzazione, che ha fatto crescere in modo esponenziale il quantitativo di dati scambiati nonché,  della crescente interconnessione, dovuta principalmente a Internet. Basti pensare a un ambito, come quello dei processi operativi di un’azienda, dove l’automazione era gestita da server stand alone. Nessuna connessione, praticamente nessun rischio. Oggi, invece macchinari e impianti di varia natura scambiano continuamente informazioni.  Dati preziosi, che permettono, per esempio, di fare manutenzione predittiva o di riorganizzare i flussi produttivi in tempo reale, ma il cui scambio apre la porta a nuove vulnerabilità che prima non esistevano.

C’è poi un altro aspetto da segnalare. La situazione che stiamo vivendo ha aumentato in modo esponenziale il numero di lavoratori che si connettono ai server aziendali da remoto.
In passato, chi lo faceva non accedeva a dati sensibili, o, se lo faceva, riceveva un minimo di formazione su questi aspetti e spesso utilizzava device aziendali opportunamente configurati.

Nell’ultimo anno e mezzo, tuttavia, a causa della pandemia sempre più lavoratori si trovano a lavorare in remoto, magari spesso su pc personali, non di rado condivisi anche da familiari. L’uso promiscuo dei device personali e una scarsa sensibilizzazione sul tema ha esposto, ed espone tuttora, lavoratori e organizzazioni a notevoli rischi.

Rischi di cui però le aziende sembrano essere ora consapevoli. Questa percezione quali effetti sta avendo sul mercato del lavoro?

Per molti anni abbiamo assistito a una situazione a doppio binario, dove a organizzazioni molto attente al tema, come le grandi imprese – in particolare quelle operanti in alcuni settori, quali quello delle telecomunicazioni e quello dell’energia, le banche e le assicurazioni, se ne contrapponevano altre meno consapevoli dei rischi o comunque meno attive su questo fronte.
Nel corso degli ultimi 2-3 anni la situazione è però cambiata: tutti si sono resi conto della rilevanza della cybersecurity, tanto che il tema è nella top agenda della maggioranza degli amministratori delegati e dei loro stretti collaboratori.
Questo è legato sia all’aumento della frequenza di attacchi di varia natura – dal social engineering alla criptazione dei dati con richiesta di riscatto, al furto di proprietà intellettuale – che al fatto che tali attacchi , come già accennato in precedenza, colpiscono anche i processi operativi “core”, comportando spesso interruzioni delle attività produttive o dell’erogazione dei servizi.
Questa nuova attenzione si riflette, da un lato, in un aumento degli investimenti su questo fronte, dall’altro in alcuni cambiamenti organizzativi, che hanno portato per esempio a far sì che in diverse grandi realtà l’Head of Cybersecurity adesso risponderà direttamente al vertice aziendale, e non più al Chief Information Officer.

Questa crescente importanza e “pervasività” della cybersecurity porta con sé inevitabilmente una ricerca di profili professionali con specifiche competenze sia da parte delle imprese, per potenziare le unità organizzative interne, sia da parte delle società di consulenza, che rivestono spesso un ruolo chiave sia nell’impostazione del sistema di governance della sicurezza, sia nell’implementazione delle contromisure tecnologiche e organizzative. Una crescente domanda che non trova riscontro nell’offerta di mercato, come sottolineato da diversi responsabili delle risorse umane e da diverse società specializzate nel recruiting.

In che modo il MIP sta cercando di colmare questo gap?

L’impegno della nostra Business School su questo fronte non è una novità. Abbiamo infatti già lanciato l’anno scorso un Percorso Executive dedicato a chi ha già maturato dell’esperienza nel settore della cybersecurity e vuole aggiornare e ampliare le proprie competenze per dare un’accelerazione alla propria carriera.

Quest’anno abbiamo però voluto ampliare la nostra offerta formativa con un Master – l’International Master in Cybersecurity Management – pensato per un pubblico junior, appena uscito dall’università.
Il nostro Master nasce ascoltando i bisogni delle aziende, primi tra tutti i nostri educational partner – BIP e SETA – e le società che hanno collaborato in modo stretto alla progettazione come membri dell’advisory board, come Accenture, PwC e Intesa-IBM.
Abbiamo quindi deciso di creare un programma in grado di dare ai partecipanti gli strumenti per poter avere una visione olistica della cybersecurity.
Quello che è infatti emerso dal continuo confronto con le aziende è che una conoscenza tecnica delle vulnerabilità e di come risolverle non è sufficiente. È importante essere consapevoli dell’impatto che queste possono avere sull’intera organizzazione. Ci rivolgiamo quindi a giovani che desiderano una carriera non puramente tecnica, ma che aspirano a ricoprire presto ruoli di responsabilità. Ecco perché nel Master si affrontano anche temi di natura organizzativa e gestionale, e si dedica attenzione anche allo sviluppo delle soft skill.
Alla luce di questo, non dovrebbe quindi stupire che il Master sia aperto anche a profili meno “convenzionali”, come per esempio gli ingegneri gestionali, i laureati in economia aziendale o in discipline scientifiche. O ancora avvocati che si sono specializzati nelle normative relative alla sicurezza informatica e che desiderano approfondire il tema per inserirsi in importanti studi professionali o negli staff legali delle grandi organizzazioni.

Come in molti dei programmi del MIP, la componente esperienziale è fondamentale. Questo si riflette nella composizione della Faculty, caratterizzata dalla presenza di numerosi professionisti che affiancano i docenti di estrazione accademica, nonché nelle metodologie didattiche impiegate. Inoltre, il master prevede un project work finale che sarà svolto in una delle tante imprese che hanno dato la loro disponibilità, durante il quale gli allievi potranno mettere in pratica quanto appreso in aula.

Per concludere, quale consiglio vorrebbe dare ai giovani interessati al mondo della cybersecurity?

Uno molto semplice – almeno in apparenza. Di avere le idee chiare su cosa vogliono fare “da grandi”. Dipingere nella loro mente il percorso che si immaginano per i prossimi 5 o 10 anni. Se il tema li appassiona e hanno aspirazioni manageriali, questo è il percorso giusto per loro.

Career Leader: Strategia e atteggiamento imprenditoriale

“Un buon giocatore di hockey gioca là dove sta il disco. Il miglior giocatore di hockey gioca là dove il disco sta per andare” Wayne Gretzky

Nello scorso editoriale Chiara Girola ha approfondito l’importanza di saper costruire un “buon” obiettivo di carriera. Per il Career Leader l’obiettivo è il faro che guida costantemente la nave della nostra carriera. È il miglioramento continuo a cui aspirare e non, ci ricorda Chiara, il vantaggio concreto che da questo miglioramento otteniamo (stipendio, riconoscimento, cambi di ruolo..).

Ma, una volta fatto il settaggio della nostra nave e definito l’obiettivo di miglioramento, qual è l’atteggiamento giusto con cui affrontare il mare, ovvero, fuor di metafora, le strategie attraverso cui perseguire il nostro obiettivo?

Vediamo le principali secche in cui la nostra nave potrebbe arenarsi e le strategie da mettere in campo per governare l’incertezza che ogni processo di cambiamento comporta.

Affrontare il mare senza conoscere il mare

Tra gli errori più ingenui, ma anche più impattanti rispetto allo sviluppo di carriera, annoveriamo la mancanza di approfondimento circa i segmenti di mercato o i ruoli a cui aspiriamo. L’interesse o la passione personale talvolta rappresentano, in modo del tutto autoreferenziale, i riferimenti che vengono utilizzati dai Career Leader per gestire e orientare la navigazione. Questo atteggiamento comporta l’aumento della dose di incertezza in quanto al navigante sfuggono esigenze, criticità, regole, riferimenti culturali ed organizzativi dell’assetto in cui aspirerebbe ad inserirsi. Inoltre, non secondario, rischia di minare la credibilità del Career Leader agli occhi di potenziali interlocutori esperti che già conoscono il mare.

Cosa serve dunque? Fare ricerca. Ovvero incrementare una conoscenza prospettica e multidimensionale dell’ambito o del ruolo di interesse, facendosi guidare dalle domande: cosa può servire a questo contesto lavorativo? Quale contributo potrei dare io, ora e in prospettiva futura, per migliorarne competitività e capacità di innovazione?

Affrontare il mare ritenendo di conoscere il mare

Può sembrare una contraddizione rispetto al punto precedente ma, da un punto di vista metodologico si tratta del medesimo errore, ovvero basarsi su criteri autoreferenziali per costruire delle valutazioni e delle scelte d’azione conseguenti. Infatti l’esperienza, anche pluriennale in un certo settore, rischia di esporci a fare delle previsioni invece che delle anticipazioni. Qual è la differenza? Nel primo caso la forma mentis è quella del “so già tutto di come funziona quel settore, quindi andrà sicuramente così anche nella prossima azienda in cui mi candiderò”. Paradossalmente il massimo della certezza rappresenta il più grosso punto debole per un Career Leader. La logica del “già visto” e del “prevedibile” fa perdere di vista il processo, ovvero la necessità di contestualizzare e valutare ogni specifico assetto a cui ci si approccia, decentrandosi dalla propria personale esperienza e mettendola alla prova attraverso la strategia del “fare ricerca” illustrata al punto 1. Questo consente di allenare l’anticipazione, ovvero la competenza di prefigurarsi scenari possibili (e non un unico film) a partire dai dati raccolti. Anticipare ci mette in condizione di prepararci piani diversi, riducendo lo spiazzamento e la delusione se quello che pensavamo maggiormente probabile non si realizzasse e potendo effettivamente mettere a frutto il considerevole bagaglio della propria pluriennale esperienza.

Pensare che il mare si divida in due per farci passare, forti dell’innovativa idea che portiamo

Immaginiamo un Career Leader che si mette in gioco in un percorso di crescita animato dall’intenzione di contribuire all’innovazione dell’azienda in cui già lavora. Spesso si è posto le domande che abbiamo visto al punto 1 e ritiene anche di aver fatto le anticipazioni di scenari a partire dagli elementi raccolti, come suggerito nel punto 2. Compiute queste due tappe si può vedere chiaramente cosa può essere utile ad un certo contesto e, in alcuni casi, anche a costruire delle idee progettuali ad alto tasso di innovazione. Ma arrivati a questo punto spesso accade si scontrino con le resistenze al cambiamento dei vertici aziendali.

Qual è in questo caso la specifica criticità in cui un Career Leader può cadere?

Si tratta della confusione tra hard e soft skills. La competenza tecnica, per quanto implementata, raffinata e orientata all’innovazione non è sufficiente a sostenere il perseguimento di obiettivi di sviluppo. In questo caso sono due le indicazioni strategiche:

  • imparare sia ad osservare gli aspetti hard del lavoro, che (e soprattutto) gli aspetti soft, legati alle interazioni tra i diversi ruoli, alle modalità con cui si usano, in un certo contesto lavorativo, i contributi dei collaboratori per perseguire lo sviluppo d’impresa.
  • curare lo sviluppo di competenze di comunicazione efficace e di promozione di una visione comune, consapevoli che il valore attribuito alla propria idea sarà direttamente proporzionale alle soft skills che si saprà mettere in campo per renderla comprensibile, condivisibile e sostenibile…

Andar per mare da soli

È facile pensare che la navigazione di un Career Leader sia un viaggio in solitaria. Un “imprenditore di sé stesso”, si dice, introducendo implicitamente l’idea che si tratti di un self made man (o woman) che conta solo e pervicacemente sulle proprie risorse e che deve “rubare” con destrezza il lavoro e le occasioni. Ma anche il più solitario dei viaggi è il prodotto di una catena di interazioni e collaborazioni di una moltitudine di persone che hanno investito in quel viaggio risorse, strumenti, competenze. Trascurare questa evidenza, collocandosi da consumatori di risorse che provano a trarne il maggior vantaggio personale, rappresenta a tutti gli effetti, un potenziale perso. Cosa serve dunque?

Adottare una logica da Responsible Career Leader comporta considerare il lavoro di squadra con tutte le risorse (docenti, consulenti, servizi di supporto, colleghi di corso, aziende partner..) come un’opportunità per allenarsi a moltiplicare il valore del processo di sviluppo in cui si è inseriti e quindi, in ultima istanza, il valore del proprio contributo come manager di domani.

Riprendendo l’immagine iniziale del miglior giocatore di hockey che va dove il disco sta per arrivare, lo sguardo d’insieme di questi aspetti critici e strategie di gestione mostra come queste siano le 4 tappe che il Career Leader può percorrere per farsi trovare preparato ad affrontare l’incertezza del mercato del lavoro con competenza, esperienza e lavoro di squadra.