Come migliorare l’efficacia dei programmi di informazione sociale

Una ricerca pubblicata su JEEM (Journal of Environmental Economics and Management) indaga l’impatto di stimolare l’identità ambientale sui consumi energetici

 

Come migliorare l’efficacia dei programmi di informazione sociale? È questa la sfida che viene affrontata nel paper pubblicato sul Journal of Environmental Economics and Management, cui hanno partecipato il prof. Massimo Tavoni e il ricercatore Jacopo Bonan del Dipartimento di Ingegneria Gestionale.

I programmi di informazione sociale rappresentano una tipologia di comunicazione informativa ampiamente utilizzata per stimolare il cambiamento comportamentale. Essi si basano sulla comparazione del comportamento individuale con quello di un gruppo di riferimento. La loro efficacia dipende fortemente dai tratti familiari e individuali. Studi esistenti in economia e psicologia indicano il ruolo dei valori e dell’identità ambientali nella determinazione dei comportamenti ecologici e dell’impatto dell’informazione sociale su di essi.

I ricercatori della School of Management del Politecnico di Milano hanno svolto un ampio “esperimento sul campo” nell’ambito del risparmio energetico domestico, per verificare se l’impatto di un programma di informazione sociale può essere rafforzato sfruttando i valori e l’identità ambientali.

Ad un certo numero di utenti di una società fornitrice di energia elettrica, è stata allegata alla bolletta una comunicazione che stimola l’identità ambientale, oltre che confrontare i propri comportamenti energetici con quelli di altri utenti e con i propri del passato. Sono stati poi confrontati i risultati in termini di cambiamento delle abitudini di consumo energetico di questo gruppo, con quelli del gruppo per cui era stata mantenuta una comunicazione neutra.

I risultati ottenuti sembrano dimostrare che stimolare l’identità ambientale non rafforza in media l’efficacia di un programma di informazione sociale, in termini di riduzione del consumo energetico. Tuttavia, c’è evidenza che stimolare l’identità ambientale può portare a riduzioni dei consumi per soggetti che hanno in passato assunto comportamenti virtuosi dal punto di vista del risparmio energetico.

 

 

Per approfondire:
Can social information programs be more effective? The role of environmental identity for energy conservation
Jacopo Bonan, Cristina Cattaneo, Giovanna d’Adda, Massimo Tavoni
Journal of Environmental Economics and Management, 2021, 102467, ISSN 0095-0696

Sul concetto di Opportunità nel mondo del lavoro

Per scelta, nel mio percorso professionale, mi sono occupata delle carriere delle persone, prima supportando le imprese a identificare il candidato ideale, e ora, lavorando a servizio di chi ha deciso di investire su di sé per la propria crescita lavorativa.

Ho usato spesso la parola opportunità per presentare, in qualità di selezionatrice, una job description ai miei candidati o per offrire un feedback nel mio ruolo di Career Coach rispetto a bivi professionali da intraprendere.

Spesso oggi, e ancora di più con il dipanarsi dell’emergenza, ho sentito usare  dalle persone questa parola – opportunità- con i significati più disparati- Spesso alludono proprio a un’assenza di opportunità, come se queste fossero semplici commodity da acquistare, senza invece chiedersi se ciascuno di noi può essere un generatore di “finestre sul mondo” per sè stessi,  per la propria azienda e per la comunità.

È raro che la parola opportunità venga pronunciata senza ricadere nel cliché motivazionale. Viene spesso usata per palesare un desiderio, in cui sovente manca  un vero e proprio disegno strategico relativo al proprio percorso di carriera, oppure per evidenziare scenari forieri di criticità.

In questo scenario, parlare di opportunità significa cambiare  paradigma. Dobbiamo  accogliere un sistema che contempli la responsabilità del singolo e non solamente delle organizzazioni e delle imprese come unici player capaci di cambiare la sorte professionale di professionisti e manager.

L’opportunità, per diventare massima espressione della possibilità umana, non può essere considerata come uno stato finito e non ripetibile, una condizione statica in cui si crea un connubio fatto di occasione fortuita unito a serendipità.  .

E in un momento di complessità di mercato come questo, in cui le caselle degli organigrammi non si moltiplicano ma si trasformandola domanda da porci è: “in che modo possiamo creare valore e contribuire attraverso i servizi di consulenza di carriera (per fare leva sul classico ciclo “demand and supply”?”

In questa direzione si inserisce la nuova struttura del programma di orientamento e sviluppo professionale, e dei relativi Career Services, costruito all’interno del MIP, la Business School del Politecnico.

L’approccio adottato implica dover ripensare il concetto di employability e e di “placement” – ovvero il candidato giusto al posto giusto.

Nello specifico, l’innovazione consiste nel dare agli studenti un ruolo in prima linea. Grazie allo sviluppo e il rinforzo di un set di competenze specifico, le “Career Management Skills”. Oggi anche la  comunità EU, riconosce queste skill quali capisaldi per governare con successo la dinamicità del mercato del lavoro, che in momenti di crisi come l’attuale pandemia, evidenzia il suo essere imprevedibile.

La sfida di “muoversi” in modo efficace entro un contesto, come quello del mercato del lavoro, in continuo cambiamento, mette la forza lavoro- professionisti, manager, executive/imprenditori – di fronte all’esigenza non solo di affrontare i cambiamenti, ma di apprendere a leggere e anticipare scenari evolutivi al fine di costruire, , “alternative di carriera”. In tutto questo gli studenti giocano un ruolo attivo, partecipando all’individuazione disentieri non ancora battuti e potenziando le “occasioni” di incontro create dal MIP con il mondo delle imprese.

Vedere spiragli di possibilità da trasformare in vantaggio competitivo, generare condizioni per costruire un passo verso il cambiamento, intuire l’invisibile e usare ciò che si ha a disposizione in modo strategico ha a che fare molto con i concetti di visione, imprenditorialità e leadership. In particolar modo questo implica poter applicare all’individuo quei metodi rigorosi, come strategia e design thinking, che vengono solitamente riservati al business.

Imprenditore non è solo colui che dà vita ad una azienda; può esserlo ognuno di noi, nei diversi ruoli disponibili. Imprenditore è chi costruisce contributi di valore per i propri interlocutori, dirige le attività che lo coinvolgono arrivando a traguardi che sembravano impossibili.

Le persone con cui ho lavorato e che sono riuscite a interiorizzare questi principi come linee guida per un continuous improvement di sé hanno fatto germinare meravigliosi fiori in campi aridi sui quali nessuno avrebbe investito nemmeno una semina senza certezza del raccolto.

Opportunità è anche questo: navigare nell’incertezza del risultato continuando a dare forza alla linea direttrice che abbiamo intravisto, essere disposti ad ogni sforzo, moltiplicando occasioni o gettando ponti per spingersi verso orizzonti mai esplorati.

L’industria a supporto dell’insegnamento: la collaborazione tra Chateau d’Ax e la School of Management del Politecnico di Milano

Chateau d’Ax e la School of Management del Politecnico di Milano hanno realizzato un project work nel quale gli studenti hanno risposto con progetti e strategie ad una challenge reale proposta dalla storica azienda nel settore dell’arredamento. L’azienda ha selezionato i tre migliori progetti tra i 258 realizzati.

 

La collaborazione tra università e aziende è di importanza strategica sia per l’occupabilità dei futuri laureati, sia per le aziende che sempre più si rivolgono agli atenei per ottenere analisi e proposte di tipo strategico e innovativo. La challenge organizzata ogni anno all’interno del corso di Laurea Magistrale di Strategy & Marketing di Ingegneria Gestionale è un esempio concreto che permette ai laureandi di confrontare le competenze maturate durante il percorso di studi con le attività delle imprese: una sfida lanciata dall’azienda a cui gli studenti devono rispondere progettando soluzioni innovative  utilizzando a supporto gli elementi teorici appresi durante il corso.

Per quest’anno accademico, la School of Management ha scelto di collaborare con Chateau DAx. “Abbiamo deciso di coinvolgere Chateau dAx e il settore dellarredamento – spiega Francesca Capella, project manager del progetto e research fellow del Politecnicoperché si tratta di uno dei settori ai quali la pandemia ha richiesto maggiormente di reinventarsi, di definire nuove strategie di posizionamento e un nuovo approccio al mercato per rimanere competitivi nonostante il momento di difficoltà.”

Sono più di 250 i project work sviluppati dagli studenti per Chateau D’Ax che hanno preso in considerazione gli ambiti di maggior interesse per lo sviluppo dell’azienda all’interno di un mercato complesso e in rapido mutamento: materie prime e sostenibilità, economia circolare, innovazione di prodotto, esposizione del prodotto e, infine, comunicazione.

Abbiamo aderito volentieri alla proposta del Politecnico di Milano perché crediamo molto nella collaborazione tra industria e università e che il suo sviluppo possa contribuire concretamente a formare una classe dirigente migliore e più preparata. – racconta Alessandro Colombo, direttore generale di Chateau d’Ax – Abbiamo condiviso con gli studenti gli ambiti nei quali si sviluppa la nostra strategia e abbiamo lasciato liberi i ragazzi di sviluppare le loro visioni”.

“Abbiamo selezionato 10 progetti su un totale di 258 – prosegue Capella – in base all’innovatività dell’idea, alla struttura della proposta sviluppata e alla capacità di utilizzare tool e costrutti teorici applicati ad una challenge di business reale. I progetti sono stati presentati dagli studenti stessi al management di Chateau d’Ax che li ha commentati ad uno ad uno dando agli studenti preziosi consigli di esperienza di vita aziendale”.

Continua Alessandro Colombo: “Da questi 10 progetti abbiamo selezionato i 3 migliori per l’articolazione della struttura, la comprensione delle opportunità derivanti dall’attuale scenario economico, ad esempio il Recovery Fund, e gli economics analizzati. Infine, la nostra valutazione si è basata anche sulla presentazione dei progetti in video call e sull’approccio più o meno spigliato che hanno manifestato gli studenti.”

Questo incontro ravvicinato tra Chateau d’Ax e la School of Management  è importante sia per l’azienda, perché permette di incontrare i futuri manager con uno strumento di employer branding efficace, sia per gli studenti, perché hanno l’opportunità di confrontarsi con una realtà aziendale in continua evoluzione.

Per i futuri laureati che hanno presentato i 10 progetti più in linea con la strategia aziendale, Chateau d’Ax offrirà dei percorsi di “training&job” per accompagnare gli studenti verso l’acquisizione di conoscenze e lo sviluppo di capacità personali funzionali per l’avvio di una carriera professionale in diversi ambiti aziendali.

 

I Recruiting Days diventano smart!

Al MIP, i servizi alla carriera sono smart! Dal 15 al 17 giugno, infatti, prende il via nella nostra Business School la prima edizione degli Smart Recruiting Days, tre giornate dedicate ad aziende di diversi settori: Luxury,Fashion & Lifestyle, Digital & Technology, Consulting & Finance, Industrial, Energy & Consumer Goods. I recruiter potranno incontrare i candidati MBA e dei Master Junior per opportunità di networking, employer branding e talent acquisition attraverso colloqui online individuali, prenotati sulla nostra piattaforma di scuola FLEXA.

L’evento, nato in collaborazione con KnackApp, è il primo del suo genere per una Business School italiana e combina le tecniche di gamification con i classici colloqui. Gli studenti coinvolti infatti si sottoporranno a un assessment digitale e, grazie a un’esperienza di gamification messa disposizione da KnackApp, verranno valutate oltre cinquanta soft skill considerate importanti nell’attuale mercato del lavoro. I giochi proposti da KnackApp, infatti servono a testare quelle abilità cognitive che potrebbero essere richieste dai datori di lavoro, come per esempio l’intelligenza emotiva, piuttosto che la propensione al rischio e la capacità di adattamento a situazioni mutevoli. Uno strumento in più a disposizione delle aziende che così, oltre al tradizionale CV, potranno valutare i candidati anche alla luce dei risultati dell’assessment digitale.

I recruiter che vogliono avere maggiori informazioni su come partecipare agli eventi Career organizzati dal MIP possono contattare corporaterelations@mip.polimi.it

Tra digitalizzazione e internazionalizzazione: il contributo del MIP a Smart Export

Le principali business school italiane uniscono le forze per offrire al sistema imprenditoriale italiano una serie di corsi di alta formazione. L’obiettivo è fornire strumenti strategici alle imprese e guidarle all’interno di un panorama globale che sta mutando rapidamente

Guidare le aziende italiane nei processi di digitalizzazione e internazionalizzazione. È il cuore di Smart Export, progetto promosso e finanziato dalla Farnesina e realizzato in collaborazione con Agenzia ICE e CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane), che vede unite cinque business school italiane (oltre al MIP, la Bologna Business School, l’SDA Bocconi School of Management, la Luiss Business School e Federica Web Learning – Università di Napoli Federico II).

L’obiettivo del progetto è ambizioso e urgente. I mutamenti globali causati dal Covid impongono infatti di rafforzare le competenze del sistema imprenditoriale italiano in due ambiti sempre più strategici. Per spiccare quello che il ministero degli Esteri definisce un “salto gestionale e digitale senza precedenti”, le aziende italiane potranno contare sulle eccellenze della formazione italiana. Tra queste, il MIP Politecnico di Milano. «Siamo molto contenti di poter dare il nostro contributo in un ambito considerato critico per lo sviluppo delle imprese», ha spiegato il presidente del MIP Vittorio Chiesa, «e di riversare la nostra esperienza nella trasformazione digitale in questo programma di formazione, che consideriamo di grande valore per il Paese».

La centralità dei canali digitali: il contributo del MIP

La partita, come detto, si gioca sull’internazionalizzazione e sulla digitalizzazione. «È importantissimo che si vadano a coniugare due elementi cruciali per la competitività delle imprese», riprende Vittorio Chiesa, illustrando in particolare quale sarà l’apporto del MIP all’interno di Smart Export. «Il nostro contributo si concentrerà principalmente sul tema dell’e-commerce, fondamentale nella competizione odierna». I numeri dell’ultimo anno parlano chiaro: «La crescita nell’utilizzo di questi strumenti all’interno dei mercati B2C è stata di oltre il 30%. E ha avuto un ruolo decisivo nel contenere il calo generato dalla pandemia sui tradizionali canali dell’export. Il ricorso al canale digitale ha consentito di conservare un buon livello di prestazioni da parte del nostro sistema imprenditoriale». La sfida del commercio elettronico è complessa e articolata: «Si compone di piattaforme, sistemi di pagamento, fatturazione elettronica, esige un sistema logistico strutturato appositamente e chiede che venga scelto un modello di export opportuno», spiega Chiesa. «Il nostro contributo consisterà nell’aiutare e sostenere le imprese a prendere coscienza di questo insieme di aspetti. Il tema della trasformazione digitale, poi, ci sta particolarmente a cuore: mi fa piacere ricordare che abbiamo lanciato il nostro primo Executive MBA in digital learning nel 2014».

Il corso del MIP per Smart Export

Il modulo curato dal MIP per Smart Export, infatti, sarà quello in Trasformazione digitale e gestione del cambiamento. Affrontando i temi dell’E-Commerce B2C, del Digital B2B e dell’export digitale, le aziende saranno in grado di sviluppare una strategia di digital export attraverso l’identificazione di elementi chiave come la scelta del canale commerciale, lo sviluppo di una strategia di marketing e comunicazione efficace e la strutturazione di una rete distributiva adeguata. Competenze fondamentali per poter affrontare le sfide di un mercato globale in cui anche le piccole e medie imprese possono e devono far valere i loro valori produttivi.

Be a Responsible #CareerLeader

Sergio Terzi, Associate Dean for Students Engagement and Supporting Services, ed Erika Ortu, Career Development Center Manager, presentano un nuovo progetto editoriale tutto dedicato sullo sviluppo di carriera.

Scopriamo di più attraverso le loro parole:

”Cari Lettori,

Con l’auspicio di continuare a essere un punto di riferimento come Business School per lo sviluppo e la crescita professionale di chi investe in un percorso di formazione, siamo lieti di presentarvi l’avvio di una rubrica editoriale che vuole ispirare i professionisti di oggi e del futuro fornendo contenuti, caratterizzati da rigore metodologico, su tematiche, tecniche e trend di carriera.

Il concetto di carriera si è evoluto nel corso degli ultimi 30 anni e, non ultimo, con il dipanarsi della pandemia. Quello che si è evidenziato è uno spostamento di significato da progressione lineare, gerarchico-retributiva, costituita da tappe predefinite, caratterizzate da stabilità e sicurezza, a percorso di sviluppo non predefinito da ruoli-status, attività e posizioni in organigramma, ma connotato da competenze e responsabilità individuali.

Nel XXI secolo, globalizzazione, cambiamenti economici, continue sfide e instabilità sono stati gli elementi chiave dello scenario del mercato del lavoro. Questi hanno messo in evidenza l’importanza di individuare modalità efficaci per affrontare con successo le sfide professionali, ormai diventate una costante quotidiana del professionista e del manager, con l’obiettivo di configurare opportunità e crescita in modo diffuso, attraverso il potenziamento del singolo.

In questa direzione, si inserisce il recente contributo della Comunità EU che ha evidenziato la necessità di sviluppare le Career Management Skills, un set di competenze, specifico e complementare alle note hard, soft e digital skills. Questo pone l’accento sull’importanza di acquisire  competenze per la gestione della propria carriera formativa e professionale, volte a favorire la capacità di esplorare quotidianamente molteplici opportunità, individuare nuovi piani di sviluppo professionale e giocare un ruolo attivo nella costruzione di alternative e di carriere di senso e di significato per il singolo.

Il tema delle “carriere” è caratterizzato da una certa complessità, che può essere rappresentata solo con una polifonia.  Nei prossimi articoli vi offriremo lo sguardo privilegiato di Career Professional esperti, al fine di aiutare le persone ad orientarsi nel mare magnum delle opportunità professionali tramite strumenti che consentono di governare con sistematicità la propria crescita.

Tramite la voce dei nostri autori, esploreremo con degli appuntamenti mensili il significato di “Career Leader”.  Partendo dalla ridefinizione del concetto di opportunità professionale, affronteremo questo tema attraverso, metodi e tecniche per la definizione di un obiettivo professionale rigoroso unito a strategie ed action plan, l’utilizzo del personal branding e networking quali leve strategiche per lo sviluppo, e il concetto di carriere socialmente responsabili e sostenibili per favorire l’employability.”

Cambiamento climatico: un grado in più di temperatura costa mancati ricavi alle imprese italiane

Analizzate oltre un milione di aziende per dieci anni (2009-2018): Centro e Nord Est le zone più colpite. Le maggiori perdite si registrano nei settori costruzioni, finanza, estrazioni e ICT, pochi danni a turismo, agricoltura e trasporti.

 

Il cambiamento climatico costa al sistema economico, e non poco: esaminando dieci anni (2009-2018), un grado in più di temperatura ha determinato una riduzione media di fatturato e redditività per le imprese italiane pari rispettivamente a -5,8% e -3,4%. Se poi si considerano le variazioni effettive della temperatura nelle varie aree geografiche, nel solo 2018 – anno particolarmente caldo – il nostro tessuto imprenditoriale ha registrato mancati ricavi per 133 miliardi di euro, con le maggiori perdite percentuali al Nord Est e al Centro.

È quanto emerge dal primo anno di attività dell’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico di Milano, che lo scorso 27 aprile 2021  ha presentato i principali risultati in un convegno online dove sono intervenuti istituzioni, imprese, investitori e associazioni di categoria. Il surriscaldamento globale è ormai a pieno titolo un tema economico.  “Abbiamo sviluppato un database che incrocia le informazioni economico/finanziarie su 1.154.000 imprese in Italia tra il 2009 e il 2018 (22 milioni in Europa) con i dati metereologici di temperatura, piovosità, irraggiamento solare dal 1950 – spiega Vincenzo Butticè, vicedirettore dell’Osservatorioper trovare evidenze empiriche solide sul rapporto che lega clima e sistema economico”. Ne sono derivate metriche affidabili per supportare gli enti regolatori, le istituzioni finanziarie e le realtà produttive nell’analisi economico/finanziaria del cambiamento climatico.

L’Osservatorio ha infatti calcolato i danni reali, non ipotetici, dovuti all’aumento della temperatura di 1 grado centigrado in Italia: le piccole imprese sono quelle che più hanno perso in redditività, mentre le grandi realtà, potendo meglio agire sui costi e sui processi, nonostante una diminuzione di ricavi e di domanda, hanno contenuto meglio le perdite in marginalità.

Tra i settori, ad aver patito i maggiori contraccolpi dall’aumento di temperatura sono le costruzioni, la finanza e le estrazioni. L’information technology, il real estate e la ricerca e innovazione hanno visto lo stesso calo di fatturato (-6,4%) a fronte però di una diminuzione della marginalità più contenuta. Il manifatturiero e il retail sono i settori che si sono meglio difesi, preceduti solo da agricoltura, turismo e trasporti.

In termini geografici invece, sempre a fronte di un grado in più di temperatura, la ricaduta è stata peggiore nel Centro Italia e nel Nord Est, dove però le aziende sono riuscite a conservare una maggiore marginalità. Il Nord Ovest ha visto una brusca perdita di redditività ma non altrettanto di fatturato, mentre il Sud e le Isole hanno risentito poco dei cambiamenti climatici.

Esaminando invece il calo di fatturato in cifre assolute, le perdite decisamente più consistenti si sono registrate in Lazio, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana.

La gestione delle conseguenze del cambiamento climatico e le strategie di mitigazione rappresentano la maggiore sfida che le economie mondiali dovranno affrontare nel corso nei prossimi anni – commenta Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio Climate Finance -. Ad esempio, l’analisi mostra come un’alluvione possa costare alle aziende del territorio colpito fino al 4% di fatturato e una perdita di valore degli attivi di bilancio di circa lo 0.9%, che sale all’1,9% nel caso di un incendio di vaste proporzioni. Anche l’emergenza mondiale legata alla pandemia ha contribuito ad aumentare la percezione del rischio, perché ha mostrato come gli attori economici subiscano conseguenze non solo in modo diretto, ma anche indiretto, attraverso i canali della domanda, dell’offerta o della propria catena di approvvigionamento”.

Dal punto di vista regolatorio e normativo, nel corso degli ultimi mesi sia la Commissione Europea che le agenzie di regolazione hanno redatto un numero elevato di documenti per migliorare la comprensione delle interrelazioni fra rischi climatici e attività economiche. Un esempio è costituito dalla “Tassonomia verde”, un documento che identifica, all’interno dei diversi settori, gli interventi in grado di promuovere l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici evitando nel contempo impatti negativi sull’ambiente.

E’ estremamente importante individuare i rischi e identificare strumenti e metriche per quantificare l’esposizione climatica delle attività in portafoglio. In questa direzione rilevante è l’azione della BCE, che ha condotto un’analisi su circa 4 milioni di imprese e 2.000 banche per identificare l’esposizione del sistema finanziario fino ai prossimi 30 anni. Lo studio rivela che i costi per adottare ora strategie di adattamento e mitigazione sono di gran lunga inferiori a quelli che si rischia di dover pagare in futuro: secondo la BCE, la probabilità di default delle banche sarà tanto più elevata quanto minori saranno le azioni intraprese dal sistema economico per modificare la traiettoria di incremento della temperatura.

 

Per maggiori informazioni: https://www.osservatoriefi.it/efi/2021/04/28/climate-change-finance-rischi-e-opportunita-per-le-imprese/

La School of Management del Politecnico di Milano ottiene la certificazione internazionale AACSB e raggiunge la “Triple crown”, i tre accreditamenti più autorevoli per le Business School

Attiva dal 1916, l’Association to Advance Collegiate Schools of Business è l’ente di accreditamento per le business school più longevo al mondo. La certificazione coinvolge l’intera organizzazione, inclusa gestione amministrativa e contabilità, garantendo l’accreditamento a livello internazionale.

Con questo nuovo traguardo, dopo le certificazioni EQUIS e AMBA, la School of Management del Politecnico di Milano raggiunge ufficialmente la “Triple crown”, i tre riconoscimenti più prestigiosi per le Business School.

La School of Management del Politecnico di Milano ottiene la certificazione internazionale AACSB (Association to Advance Collegiate Schools of Business), rilasciata dall’ente di accreditamento per le business school tra i più longevi al mondo, con il più grande network nel campo della business education che unisce studenti, accademici, formatori e aziende di tutti i Paesi.

A livello globale, meno del 6% delle scuole con corsi universitari e post-universitari in business administration possiede questa certificazione. Le scuole accreditate AACSB sono sottoposte a un rigoroso processo di revisione con l’obiettivo di verificarne le risorse, le credenziali e l’impegno verso gli studenti e i risultati raggiunti, offrendo una formazione di prim’ordine orientata al futuro e all’innovazione. Il riconoscimento di AACSB accredita l’intera l’organizzazione, inclusa la gestione amministrativa e la contabilità, garantendo una certificazione riconosciuta a livello internazionale. In media, l’intero processo di accreditamento ha una durata di 4 anni.

Il riconoscimento di AACSB si aggiunge ad altre due prestigiose certificazioni: EQUIS-EFMD Quality Improvement System e AMBA-The Association of MBAs, ottenute rispettivamente nel 2007 e nel 2012. La School of Management del Politecnico di Milano raggiunge così la “Triple crown”, ovvero i tre accreditamenti più autorevoli per le Business School.

“La certificazione AACSB è un grande merito per il nostro ateneo: un riconoscimento alla qualità della didattica, alla preparazione della nostra faculty e alla dimensione internazionale raggiunta dalla School of Management, oggi ampiamente ribadita. Ma soprattutto è un punto di partenza per compiere uno scatto in avanti, per riposizionare l’alta formazione al centro della ripresa economica e sociale – commenta Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano –. Un accreditamento questo che ribadisce il valore della competenza e della conoscenza del Politecnico come risorse fondamentali per la crescita delle nostre città, delle imprese e dei territori”.

“Per la nostra scuola gli accreditamenti internazionali rappresentano uno strumento fondamentale, utile a rafforzare la qualità di insegnamento, ricerca e impegno sociale, in un confronto continuo con il contesto internazionale più innovativo – dichiara Alessandro Perego, Direttore della School of Management del Politecnico di Milano –. Siamo orgogliosi di ricevere la certificazione AACSB, un traguardo che premia i nostri sforzi e ci permette di completare la terna dei più prestigiosi accreditamenti internazionali. Sono certo che questo risultato spingerà tutti i membri della School of Management del Politecnico di Milano a perseverare nella ricerca dell’eccellenza”.

Road to Social Change: un percorso per formare i Social Change Manager del Terzo Settore

La School of Management è uno dei partner promotori di “Road to Social Change”, un progetto dedicato al Terzo Settore che può oggi giocare un ruolo da protagonista nel processo di ripartenza del Paese.

L’iniziativa “Road to Social Change”, nata da un’idea di UniCredit nell’ambito della sua Banking Academy, è stata sviluppata in collaborazione con AICCON, Politecnico di Milano – Centro di Ricerca Tiresia, MIP Graduate School of Business, Fondazione Italiana Accenture e TechSoup.

Si tratta di un percorso di formazione orientato a formare i Social Change Manager, nuove figure professionali che potranno contribuire alla trasformazione e alla crescita del terzo settore. Il Social Change Manager è un professionista in grado di sviluppare una visione trasformativa e, in collaborazione con le comunità locali, di implementare tale visione tramite processi di co-progettazione e co-produzione in partenariato con attori pubblici e privati del territorio, attraverso strumenti di gestione dell’impatto generato e di tecnologie digitali.

Il percorso si articola in 7 Digital Talk nazionali, 14 incontri territoriali, due per ciascuna area territoriale (Sicilia, Sud, Centro, Centro Nord, Nord Est, Nord Ovest, Lombardia), e contenuti video on demand disponibili sulla piattaforma IdeaTre60 di Fondazione Italiana Accenture. Il percorso, partendo dalla formazione e grazie all’attivazione di una rete virtuosa con stakeholder di rilievo nazionale e locale, mira a innescare, valorizzare e accompagnare processi di cambiamento e innovazione ad alto impatto sui territori e sulle comunità che lo abitano.

Al termine del percorso, i partecipanti che avranno frequentato almeno 5 incontri nazionali, due territoriali e avranno fruito di tutti i contenuti on demand potranno ottenere l’Open Badge di Social Change Manager (una certificazione digitale di conoscenze e competenze acquisite) rilasciato dal MIP – Politecnico di Milano Graduate School of Business.

Parallelamente al percorso di formazione, il progetto prevede anche la “Call Road to Social Change”. Le organizzazioni del Terzo Settore sono invitate a proporre progetti di community building a forte ricaduta sociale sui territori, capaci di fornire soluzioni in grado di rendere più solide e coese le comunità, stimolando innovazione e nuove economie.
I 7 vincitori, uno per ciascuna area territoriale, potranno ricevere contributi economici e accompagnamento allo sviluppo delle idee progettuali da parte di Fondazione Italiana Accenture, Politecnico di Milano e TechSoup.

Per maggiori informazioni sul progetto e su come iscriversi:  https://www.unicredit.it/it/chi-siamo/educazionefinanziaria/unicredit-talk/road-to-social-change.html

Venture Capital: il primato di Londra

Qual è la distribuzione geografica del Venture Capital (VC) in Europa? Si concentra in poche aree preferenziali o, piuttosto, siamo di fronte ad una crescente dispersione del VC al di fuori delle grandi aree metropolitane?

 

Il Venture Capital è un’importante risorsa finanziaria per la crescita delle start-up innovative, che contribuiscono in modo significativo alla competitività internazionale di un Paese, in quanto motore essenziale di innovazione, creazione di posti di lavoro e sviluppo economico.

Conoscere la distribuzione geografica degli investimenti di VC è quindi utile per capire come si sviluppano gli ecosistemi imprenditoriali in Europa e di conseguenza costituisce uno strumento prezioso nel momento in cui si approcciano politiche di innovazione.

Attraverso l’analisi e l’interpretazione dei dati nel DATASET VICO di RISIS (European Research Infrastructure for Science, technology and Innovation policy Studies) è stato possibile descrivere i modelli di agglomerazione dell’attività di VC a livello regionale, metropolitano e industriale, e dare così una risposta a queste domande.

Lo studio, realizzato da Massimiliano Guerini, Massimo Colombo e Francesca Enrica Tenca della School of Management del Politecnico di Milano, identifica una serie di evidenze chiave.
Il Regno Unito e la Francia sono i mercati più importanti per il VC in termini numerici, mentre i Paesi dell’Europa dell’Est e Israele hanno i tassi di incidenza più elevati (deal VC/PIL). Inoltre, l’attività di VC si concentra per lo più nelle grandi aree metropolitane, con livelli di concentrazione crescenti fra il 2010 e il 2018. In particolare, la città di Londra, che rappresenta di gran lunga il principale hub per le attività di VC, fra il 2010 e il 2018 ha registrato una crescita delle suddette attività pari al +50%, contro un modesto +6% di Parigi (il secondo hub più importante), e un +23% di Tel Aviv (terzo hub in termini di attività di VC). Alcune aree più piccole in termini di attività di VC hanno registrato tassi di crescita considerevolmente elevati tra il 2010 e il 2018, fra queste Budapest (+167%), Milano (+62%) e Tallinn (+124%).

Si rilevano, inoltre, importanti differenze fra i vari settori. Il settore life science mostra una marcata dispersione dell’attività di VC al di fuori dei principali hub, soprattutto in aree caratterizzate da un’importante attività di knowledge creation. Al contrario, nei settori Software, Internet & TLC, e R&D & engineering l’attività di VC si concentra nelle grandi aree metropolitane.

I risultati dello studio hanno implicazioni politiche rilevanti in termini di democratizzazione dell’accesso al VC nelle aree più periferiche e per lo sviluppo dell’imprenditorialità e invitano al dibattito sulla strutturazione della ricerca e delle politiche di innovazione.

 

Per maggiori informazioni:
Policy Brief
https://www.risis2.eu/

Presentazione dello studio (evento online):
30 aprile 2021
ore 14.00-16.00
7th RISIS Policymakers SessionDemocratising access to smart money in EU, evidence form the VICO-DATASET