Big Data: nuove competenze per nuove professioni

Lo sapevate che ogni giorno vengono creati 2,5 quintilioni di bytes di dati?  Ma che fine fanno tutte queste informazioni? Ne abbiamo parlato con Carlotta Orsenigo, co-direttrice dell’International Master in Business Analytics and Big Data.

Si tratta di un numero impressionante. Da dove arrivano e come vengono usati tutti questi dati?

Quando si parla di Big Data, sono due gli ambiti a cui pensiamo subito.
Da una parte c’è l’Internet of People, ovvero quei dati che sono generati dagli utenti come risultato della digitalizzazione delle relazioni personali. Mi riferisco a testi, messaggi, commenti, video, immagini…
Queste informazioni, lasciate dagli utenti sui blog, social network o siti di e-commerce, possono essere raccolti e utilizzati, ad esempio, per analisi del sentiment e quindi per dedurre l’inclinazione emotiva degli utenti nei confronti di un determinato argomento.

Dall’altro lato, si pensa poi all’Internet of Things, ovvero a tutti i dati generati dai sensori, come quelli relativi alla localizzazione o al funzionamento di un determinato device. Questi dati sono raccolti e utilizzati in diversi ambiti, come quello industriale. Un esempio? Progettare sistemi di predictive mantainance, in grado di predire anzitempo l’insorgenza di un malfunzionamento su una macchina o su una linea di produzione, con l’obiettivo di ridurre i rischi e i costi, e di garantire una maggiore sicurezza del processo produttivo.

C’è poi una terza categoria, quella dei dati raccolti dai sistemi transazionali delle imprese. Questi possono essere sfruttati per svariate applicazioni, come per esempio la costruzione di motori di raccomandazione, che generano suggerimenti su prodotti e servizi, personalizzati sulla base non solo degli acquisti passati ma anche degli interessi degli utenti.

Per poter trarre tutte queste informazioni dai dati raccolti, serve qualcuno in grado di farlo. Quali sono i profili professionali che stanno nascendo in risposta del crescente interesse delle aziende per i Big Data?

La figura di riferimento oggi, ricercatissima sul mercato, è quella del Data Scientist.
Le competenze richieste sono di tipo diverso: modellistiche, analitiche, skill relative all’ambito dell’Intelligenza Artificiale e del machine learning. Accanto a competenze hard legate alle tecnologie per la gestione dei dati, al machine learning, all’intelligenza artificiale, al coding – deve costruire e implementare algoritmi – è opportuno che il Data Scientist abbia anche competenze di management e di gestione. Questo è essenziale per potersi relazionare in modo efficace con chi, all’interno dell’organizzazione, si occupa delle attività dell’impresa e affinché le attività di analisi da lui condotte possano tradursi in effettivo valore.

Sintetizzando, il Data Scientist è l’esperto delle metodologie per l’analisi dei dati ed è la figura più ricercata.

Ma non c’è solo il Data Scientist. Il Data Science Architect, per esempio, è colui che prende in carico la responsabilità di gestire e sviluppare le pipeline analitiche, quindi l’intero processo analitico, e le tecnologie a supporto di analisi, gestione e raccolta dei dati. È una figura che detiene la responsabilità tecnologica del processo analitico.

C’è poi anche il Data Analyst, che usa le proprie capacità analitiche per il monitoraggio delle performance dell’azienda. In questo caso, le competenze ricercate sono più di statistica, reporting e di data visualization, skills forse più “tradizionali” ma di pari valore a quelle di machine learning e di AI.

In conclusione, gli esperti dell’analisi dei dati possono assumere diverse sfumature e giocano un ruolo di primaria importanza nel mondo delle imprese, che si stanno rendendo sempre più conto del valore nascosto all’interno dei dati che raccolgono. Tuttavia, questo valore emerge solo se le metodologie di analisi vengono utilizzate in modo appropriato. Per questo servono degli esperti che, in maniera consapevole, siano in grado di processare i dati ed effettuare le analisi ricorrendo a tecniche adeguate.

Secondo una ricerca di NewVantage Partners, oltre il 91% degli executive intervistati segnala un aumento di investimenti nei Big Data. Quali sono i settori più interessati da questa crescita?

Sicuramente ci sono alcuni settori più propensi, anche se in realtà la domanda si sta sviluppando – seppur con intensità diverse – trasversalmente in tutti i settori.

Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano, il settore che registra una crescita più sostanziosa è rappresentato da quello bancario, seguito dal retail e dalle telecomunicazioni.
Tuttavia, anche altri settori stanno sperimentando una crescita significativa. Non da ultimi la Pubblica Amministrazione, la sanità e il manifatturiero.
Gli ultimi mesi hanno comportato una lieve flessione degli investimenti a causa della pandemia, ma le previsioni per i prossimi anni sono di una ripresa, anche consistente.

Probabilmente, i dati raccolti da una banca sono molto diversi da quelli generati da un ospedale. In che modo questo si ripercuote sulla formazione delle persone che lavoreranno in questi ambiti e come il MIP ha risposto a queste esigenze di mercato così diverse?
Come dicevo prima, la domanda di esperti nell’analisi dei dati è in crescita e il loro ruolo è sempre più variegato. Proprio per far fronte a questa costante e crescente domanda, la nostra Business School ha deciso di ampliare l’offerta, specializzandola.
Accanto al Master in Business Analytics and Big Data (BABD), che il prossimo anno arriverà alla sua sesta edizione, sono stati proposti due nuovi programmi – uno in ambito Supply Chain e un altro in ambito Healthcare. Due verticalizzazioni in due settori che prevediamo avranno sempre più bisogno di queste competenze nell’immediato futuro.

I tre master sono strutturati in modo da condividere la parte centrale del percorso formativo, che è dedicato alle tecnologie per la gestione dei big data e, soprattutto, alle metodologie per l’analisi dei dati, con particolare riferimento a machine learning, artificial intelligence e data science.

I tre programmi poi si diversificano: il master BABD, rimane trasversale alle tematiche di data science e intelligenza artificiale, con il supporto di casi di studio e applicazioni in diversi ambiti.
Gli altri due master, invece, offrono delle verticalizzazioni specifiche.
Così, per esempio, il Master in Big Data for Healthcare & Biotech, si pone l’obiettivo di formare data scientist che conoscano e sappiano governare le complessità di questo settore, che siano in grado di interagire con attori diversi, medici, sanitari e decision maker, sapendo anche proporre soluzioni innovative tramite l’analisi dei dati. Questo sempre nel rispetto delle regole e dei principi etici che regolano la raccolta e l’analisi dei dati in questo particolare contesto.

Viceversa, il Master in Big Data for Supply Chain Analytics si pone l’obiettivo di fornire delle competenze specificamente volte alla gestione della supply chain e all’utilizzo di tecnologie IoT per la collezione e il monitoraggio in tempo reale delle attività della supply chain, con l’obiettivo finale di ottimizzare i processi decisionali in questo ambito.

A chi non piace giocare?

Gli Alumni Ben Thompson, Virginia Soana e Sandro Duarte raccontano il loro viaggio imprenditoriale dai banchi del MIP alla partnership con Zero Latency VR, leader mondiale nel campo della dell’intrattenimento in realtà virtuale.

Come nasce la vostra startup: a quali esigenze risponde e quali sono state le sfide durante la pandemia?

  • Ben: Sono un appassionato di paintball e softair- Sono sempre stato interessato al rapporto che esiste tra videogiochi e mondo reale e alla convergenza che la tecnologia sta rendendo possibile tra questi due mondi. Zero Latency VR si inserisce proprio n questo spazio di mercato, abbracciando l’esperienza fisica – è infatti necessario il movimento fisico durante il gioco – e l’esperienza digitale – il mondo, gli zombi, le astronavi sono tutti motivi digitali e classici dei videogiochi.
  • Sandro: A chi non piace giocare? Stavamo seguendo il boom di Zero Latency già da tempo.L’idea di portare il franchising in Italia è nata però quando un progetto che Ben ed io stavamo portando avanti, sempre legato al gioco innovativo, per diversi motivi non è andato a buon fine. Ovviamente non ci siamo arresi, e abbiamo iniziato il nostro viaggio con Zero Latency negli ultimi mesi del 2019.L’idea iniziale era di aprire verso giugno 2020, ma abbiamo dovuto rimandare a causa dell’incertezza del momento, legata al COVID -19
  • Virginia: Sono figlia del Nintendo NES e di Super Mario Bros. Inizialmente, Sono stata coinvolta nel progetto in qualità di consulente legale ma quando, grazie al know-how dei miei colleghi e la loro esperienza diretta, ho compreso bene di che cosa si trattasse, ho subito deciso di aderire al progetto, affascinata da un mondo tanto evoluto ed interessato al VR. La sfida più grande? L’avvio e la preparazione, attualmente in fase di finalizzazione, del nostro progetto in concomitanza della pandemia COVID -19, ostacolo non esattamente facilissimo di superare.

Dopo la partnership con Zero Latency VR, quale ruolo immaginate per Live Action Gaming nel futuro del gaming/entertainment?

  • Ben: Il primo punto della nostra agenda è espandere ZL in Italia e portarlo in più città. Lato mio, ho lavorato con un amico svedese su un sistema di punteggio e un’interfaccia in grado di inserire elementi digitali in esperienze fisiche. Si tratta di un progetto ormai prossimo ad essere completato e vedo Live Action Gaming come un importante veicolo e promotore di questa tecnologia in Italia.
  • Sandro: La realtà virtuale è venuta per restare! Unendo le forze con la comunità ZL, non solo otteniamo un partner di grande rilevanza mondiale in termini di intrattenimento VR ma anche l’accesso al know-how di alto livello, senza la necessità di sviluppare una piattaforma VR da zero. Per ora, l’obbiettivo a breve termine è quello di aprire più sedi in tutta la penisola e offrire agli italiani un’esperienza VR unica e rivoluzionaria
  • Virginia: Come già anticipato da Ben, l’idea è quella di espanderci quanto più possibile in Italia, nei prossimi 3/5 anni, seguendo una strategia già in buona parte pianificata: sappiamo che il Paese è pronto e desideroso di provare la virtual reality e siamo certi che LAG, per la sua vision e per la compagine societaria, possa essere il vettore giusto per questo obiettivo.

Ci raccontate anche qualcosa sulle vostre altre esperienze professionali post MBA e su quanto hanno influito in questo nuovo progetto?

  • Ben: Il project work finale che Sandro ed io abbiamo presentato, con altri colleghi, a completamento del Part Time MBA ha riguardato proprio il tema della realtà virtuale giocata in uno spazio fisico. Dopo l’MBA, ho lasciato il mio vecchio ruolo e sono passato al settore E-sports. Subito dopo il feedback positivo che abbiamo ricevuto sulla tesi, abbiamo deciso di provare a trasformarla da esercizio teorico  a un progetto vero e proprio. Ci sono state diverse iterazioni, fallimenti e difficoltà, ma alla fine abbiamo fatto un buon accordo con ZL e siamo felici di lanciarlo presto.
  • Sandro: Sarò per sempre grato al MIP. Sono stati due anni intensi e ricchi di grandi emozioni. A livello professionale, il Part Time MBA ha avuto un effetto quasi immediato poiché negli ultimi 3 anni ho coordinato diverse attività di ingegneria che, insieme a un team multidisciplinare, identificano delle soluzioni innovative per ridurre al minimo il costo di ownership degli elicotteri presso la Leonardo Helicopter Division. La vena imprenditoriale è emersa durante l’ MBA visto che, sin dal primo giorno, il personale docente ha incoraggiato gli studenti a perseguire le loro idee imprenditoriali e a svilupparle. Se 3 anni fa mi avessero detto che avrei perseguito il lato imprenditoriale, avrei riso!
  • Virginia: Il Part Time MBA ha completamente cambiato la mia prospettiva lavorativa, facendomi innamorare dell’imprenditoria. Concluso il corso, ad oggi, ho abbandonato l’attività dipendente e ho avviato 3 start up, tra cui l’ultima è proprio Live Action GamingInoltre, sono entrata, in qualità di share holder, in un’altra società fondata da un altro alumnus del Part Time MBA, collaborando altresì nella sua community di professionisti, e ho un quarto progetto in divenire su cui sto collaborando in qualità di mentor. Non solo soddisfazioni, ma anche cadute e fallimenti che però mi hanno insegnato a non mollare e mi hanno portata ad essere sempre più consapevole delle mie possibilità e competenze.

La nostra Community Alumni condivide la passione per l’innovazione e il purpose di contribuire a un futuro migliore per tutti. Che impatto ha avuto l’esservi conosciuti al MIP e aver frequentato l’International Part Time MBA sulla vostra crescita personale e professionale e su questa nuova esperienza imprenditoriale?

  • Ben: Sono un paio gli aspetti necessari per aumentare il proprio successo, sia in una carriera da dipendente sia in qualità di imprenditore. Uno di questi è una rete, da cui si possono ottenere consigli, risorse e, soprattutto, membri del TEAM. La squadra è tutto. L’MBA mi ha dato una più ampia capacità e comprensione di come funzionano le imprese, permettendomi di capire meglio come agisce un datore di lavoro e facendomi acquisire quell’approccio necessario per avviare la mia azienda, gestire le persone, gestire tutti i flussi di lavoro.. Il formato part time, ha reso questa esperienza ancora più impattante perché mi ha permesso di apprendere importanti skill, quali la gestione del tempo, la capacità di delegare e il rispetto delle scadenze, fondamentali in un ambito imprenditoriale ma anche necessarie per sopravvivere e seguire con successo un MBA lavorando a tempo pieno
  • Sandro: Una buona parte del feedback positivo che il LAG sta avendo è in gran parte dovuto al fatto che siamo un team multidisciplinare in termini di background e dall’immensa voglia di fare. Come dice Ben, la squadra è tutto! Se hai un team che crede nel progetto, buona parte del lavoro è fatto. A livello personale e professionale, quando penso al mio percorso al MIP, mi viene in mente la frase “I was blind, but now I see” (Ero cieco, ma ora vedo). Come detto prima, ho vissuto intensamente l’MBA e ho estratto il maggior numero di insegnamenti possibili. Quindi, personalmente, lodare una caratteristica piuttosto che un’altra, non renderebbe giustizia al Master. Vedo la mia esperienza nel suo insieme e non in parte.
  • Virginia: L’aver frequentato questo percorso, oltre ad avermi fornito quel set di competenze “business” che mi mancavano, data la mia formazione legale di base, mi ha permesso di affinare soft skills che, nel mondo dell’imprenditoria, sto applicando quotidianamente. Penso al time management, alla scansione ed esecuzione delle attività secondo un concetto di priorità calato nei bisogni aziendali, alla capacità di lavorare e condurre un team di persone, solo per citarne alcuni. A latere, l’esserci conosciuti durante il Master eaver condiviso assigment e consegne, rispettato scadenze e lavorato come gruppo ci ha permesso di “oliarci” come persone ancor prima di diventare un team a tutti gli effetti, come siamo ora. Abbiamo un percorso comune che ci sta aiutando ad affrontare le sfide quotidiane e un mindset condiviso che ci permette di puntare in alto con consapevolezza e serenità.

MIP Politecnico di Milano e John Cabot University insieme per “disegnare” il nuovo volto della formazione manageriale a Roma

Al via nel 2022 un inedito Executive MBA con specializzazioni in Digital Lobbying & Public Affairs Management, Data Driven Business Transformation e Management for the New Space Economy. Partner di eccezione come ADL Consulting e Talent Garden e un network di eccellenza a livello nazionale e internazionale

MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business e John Cabot University, la più grande Università americana in Italia lanciano una partnership per una nuova offerta formativa rivolta ai manager e ai professionisti che intendono accelerare la propria crescita professionale. Le due eccellenze hanno unito le forze per dar vita a un inedito Executive MBA (Master in Business Administration) con sede nel cuore di Roma, nel celebre campus internazionale dell’università statunitense ubicato a Trastevere. Grazie anche al coinvolgimento di ADL Consulting e Talent Garden, il Master sarà impreziosito da specializzazioni in Digital Lobbying & Public Affairs Management, in Data Driven Business Transformation. Il Master, che partirà a giugno 2022, avrà anche una specializzazione in Management for the New Space Economy. Già da febbraio 2022 saranno inoltre disponibili percorsi executive sulle tematiche delle specializzazioni, che sono state appunto pensate per essere fruite anche separatamente rispetto all’EMBA: si tratta di veri e propri moduli formativi per l’upskilling e il reskilling di manager e professionisti.

La partnership è stata presentata oggi nel corso di un evento online dai vertici dei due promotori, Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean del MIP Politecnico di Milano, e dal Presidente della John Cabot University, Franco Pavoncello. In rappresentanza dei partner coinvolti hanno partecipato: Claudio Di Mario (Founding Partner) e Marialessandra Carro (Partner) per ADL Consulting, Davide Dattoli (Co-Founder & CEO) e Giulia Amico di Meane (Innovation School Global Director) per Talent Garden. Tra i relatori anche le professoresse Antonella Moretto (Associate Dean for Open Programs del MIP Politecnico di Milano) e Antonella Salvatore (Director Center for Career Services and Continuing Education della John Cabot University) che hanno spiegato quali sono i benefici per i partecipanti.

“Dalla sinergia con la John Cabot University prende forma un’offerta formativa unica arricchita dalle collaborazioni con ADL Consulting e Talent Garden” – hanno dichiarato Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Chairman e Dean del MIP Politecnico di Milano. “Con questo nuovo e inedito Master offriamo ai nostri studenti la possibilità di acquisire nuove competenze e di accedere a un network di eccellenza a livello nazionale e internazionale in un contesto che si distingue per qualità e per bellezza. Siamo orgogliosi di poter contare su partner d’eccellenza per portare la nostra offerta anche su Roma, dopo aver lanciato nei mesi scorsi progetti importanti e innovativi anche in Puglia e in Veneto, aggiungendo un altro prezioso tassello al nostro progetto di campus distribuito sul territorio nazionale” – hanno concluso Chiesa e Frattini.

“Sono lieto di annunciare la collaborazione tra il MIP Politecnico di Milano e la John Cabot University per il lancio di un Executive MBA nel nostro Campus a Roma” – ha aggiunto il professor Franco Pavoncello, Presidente della John Cabot University. “Questa partnership permetterà di ampliare la platea di studenti che possono usufruire dell’offerta formativa del MIP, recentemente votata tra i migliori MBA executive al mondo. Riteniamo che questa partnership sia un importante riconoscimento della qualità accademica e l’efficienza amministrativa della John Cabot University, a cui si affiancano una natura profondamente internazionale e lo splendido Campus nel cuore di Roma. La creazione di quadri dirigenti capaci di gestire un nuovo ciclo di grande sviluppo che attende l’Italia – conclude il professore – è un compito fondamentale dell’università e la JCU è orgogliosa di contribuire a questa sfida decisiva”.

Il coinvogimento di partner di eccellenza nei rispettivi ambiti è il tratto distintivo di un Master che permette agli studenti di poter accedere a un network nazionale e internazionale ineguagliabile per competenza e reputazione: la rete di alumni di MIP e John Cabot University, quella dei “tagger” di Talent Garden, e quella politico – istituzionale di ADL Consulting. Al capitale relazionale si combina un programma formativo innovativo in un contesto di respiro internazionale, il tutto in un campus tra i più suggestivi ed affascinanti di Roma.

“Le attività di lobbying possono contribuire a migliorare la qualità di tutti i processi decisionali pubblici” – ha dichiarato Marialessandra Carro, Partner di ADL Consulting. “Specializzarsi in Digital Lobbying & Public Affairs Management rappresenta l’opportunità per i professionisti delle relazioni istituzionali di portare la rappresentanza di interessi e le azioni di advocacy a un livello più avanzato, grazie a un modello manageriale supportato da strumenti digitali, in una logica strategica e data-informed” – ha concluso Carro.

Realizzare un Major all’interno del EMBA di MIP ci consente di supportare concretamente la crescita dei professionisti coinvolti, portando la nostra esperienza sul tema della specializzazione e inserendoli all’interno della nostra community internazionale di innovatori”- commentano Davide Dattoli e Giulia Amico di Meane, rispettivamente CEO e Innovation School Global Director di Talent Garden. “Come Talent Garden avremo la responsabilità di erogare un percorso di 4 mesi destinato a Manager e Senior Manager che sono in prima persona protagonisti della trasformazione delle proprie organizzazioni”

L’eccellenza formativa del MIP Politecnico di Milano e il network internazionale di alumni e imprese della John Cabot University sono alla base di un programma capace di trasmettere agli studenti una formazione di grande valore e allo stesso tempo di garantire un’esperienza unica in un bellissimo campus nell’inconfondibile contesto di Trastevere.

Come migliorare l’efficacia dei programmi di informazione sociale

Una ricerca pubblicata su JEEM (Journal of Environmental Economics and Management) indaga l’impatto di stimolare l’identità ambientale sui consumi energetici

 

Come migliorare l’efficacia dei programmi di informazione sociale? È questa la sfida che viene affrontata nel paper pubblicato sul Journal of Environmental Economics and Management, cui hanno partecipato il prof. Massimo Tavoni e il ricercatore Jacopo Bonan del Dipartimento di Ingegneria Gestionale.

I programmi di informazione sociale rappresentano una tipologia di comunicazione informativa ampiamente utilizzata per stimolare il cambiamento comportamentale. Essi si basano sulla comparazione del comportamento individuale con quello di un gruppo di riferimento. La loro efficacia dipende fortemente dai tratti familiari e individuali. Studi esistenti in economia e psicologia indicano il ruolo dei valori e dell’identità ambientali nella determinazione dei comportamenti ecologici e dell’impatto dell’informazione sociale su di essi.

I ricercatori della School of Management del Politecnico di Milano hanno svolto un ampio “esperimento sul campo” nell’ambito del risparmio energetico domestico, per verificare se l’impatto di un programma di informazione sociale può essere rafforzato sfruttando i valori e l’identità ambientali.

Ad un certo numero di utenti di una società fornitrice di energia elettrica, è stata allegata alla bolletta una comunicazione che stimola l’identità ambientale, oltre che confrontare i propri comportamenti energetici con quelli di altri utenti e con i propri del passato. Sono stati poi confrontati i risultati in termini di cambiamento delle abitudini di consumo energetico di questo gruppo, con quelli del gruppo per cui era stata mantenuta una comunicazione neutra.

I risultati ottenuti sembrano dimostrare che stimolare l’identità ambientale non rafforza in media l’efficacia di un programma di informazione sociale, in termini di riduzione del consumo energetico. Tuttavia, c’è evidenza che stimolare l’identità ambientale può portare a riduzioni dei consumi per soggetti che hanno in passato assunto comportamenti virtuosi dal punto di vista del risparmio energetico.

 

 

Per approfondire:
Can social information programs be more effective? The role of environmental identity for energy conservation
Jacopo Bonan, Cristina Cattaneo, Giovanna d’Adda, Massimo Tavoni
Journal of Environmental Economics and Management, 2021, 102467, ISSN 0095-0696

Sul concetto di Opportunità nel mondo del lavoro

Per scelta, nel mio percorso professionale, mi sono occupata delle carriere delle persone, prima supportando le imprese a identificare il candidato ideale, e ora, lavorando a servizio di chi ha deciso di investire su di sé per la propria crescita lavorativa.

Ho usato spesso la parola opportunità per presentare, in qualità di selezionatrice, una job description ai miei candidati o per offrire un feedback nel mio ruolo di Career Coach rispetto a bivi professionali da intraprendere.

Spesso oggi, e ancora di più con il dipanarsi dell’emergenza, ho sentito usare  dalle persone questa parola – opportunità- con i significati più disparati- Spesso alludono proprio a un’assenza di opportunità, come se queste fossero semplici commodity da acquistare, senza invece chiedersi se ciascuno di noi può essere un generatore di “finestre sul mondo” per sè stessi,  per la propria azienda e per la comunità.

È raro che la parola opportunità venga pronunciata senza ricadere nel cliché motivazionale. Viene spesso usata per palesare un desiderio, in cui sovente manca  un vero e proprio disegno strategico relativo al proprio percorso di carriera, oppure per evidenziare scenari forieri di criticità.

In questo scenario, parlare di opportunità significa cambiare  paradigma. Dobbiamo  accogliere un sistema che contempli la responsabilità del singolo e non solamente delle organizzazioni e delle imprese come unici player capaci di cambiare la sorte professionale di professionisti e manager.

L’opportunità, per diventare massima espressione della possibilità umana, non può essere considerata come uno stato finito e non ripetibile, una condizione statica in cui si crea un connubio fatto di occasione fortuita unito a serendipità.  .

E in un momento di complessità di mercato come questo, in cui le caselle degli organigrammi non si moltiplicano ma si trasformandola domanda da porci è: “in che modo possiamo creare valore e contribuire attraverso i servizi di consulenza di carriera (per fare leva sul classico ciclo “demand and supply”?”

In questa direzione si inserisce la nuova struttura del programma di orientamento e sviluppo professionale, e dei relativi Career Services, costruito all’interno del MIP, la Business School del Politecnico.

L’approccio adottato implica dover ripensare il concetto di employability e e di “placement” – ovvero il candidato giusto al posto giusto.

Nello specifico, l’innovazione consiste nel dare agli studenti un ruolo in prima linea. Grazie allo sviluppo e il rinforzo di un set di competenze specifico, le “Career Management Skills”. Oggi anche la  comunità EU, riconosce queste skill quali capisaldi per governare con successo la dinamicità del mercato del lavoro, che in momenti di crisi come l’attuale pandemia, evidenzia il suo essere imprevedibile.

La sfida di “muoversi” in modo efficace entro un contesto, come quello del mercato del lavoro, in continuo cambiamento, mette la forza lavoro- professionisti, manager, executive/imprenditori – di fronte all’esigenza non solo di affrontare i cambiamenti, ma di apprendere a leggere e anticipare scenari evolutivi al fine di costruire, , “alternative di carriera”. In tutto questo gli studenti giocano un ruolo attivo, partecipando all’individuazione disentieri non ancora battuti e potenziando le “occasioni” di incontro create dal MIP con il mondo delle imprese.

Vedere spiragli di possibilità da trasformare in vantaggio competitivo, generare condizioni per costruire un passo verso il cambiamento, intuire l’invisibile e usare ciò che si ha a disposizione in modo strategico ha a che fare molto con i concetti di visione, imprenditorialità e leadership. In particolar modo questo implica poter applicare all’individuo quei metodi rigorosi, come strategia e design thinking, che vengono solitamente riservati al business.

Imprenditore non è solo colui che dà vita ad una azienda; può esserlo ognuno di noi, nei diversi ruoli disponibili. Imprenditore è chi costruisce contributi di valore per i propri interlocutori, dirige le attività che lo coinvolgono arrivando a traguardi che sembravano impossibili.

Le persone con cui ho lavorato e che sono riuscite a interiorizzare questi principi come linee guida per un continuous improvement di sé hanno fatto germinare meravigliosi fiori in campi aridi sui quali nessuno avrebbe investito nemmeno una semina senza certezza del raccolto.

Opportunità è anche questo: navigare nell’incertezza del risultato continuando a dare forza alla linea direttrice che abbiamo intravisto, essere disposti ad ogni sforzo, moltiplicando occasioni o gettando ponti per spingersi verso orizzonti mai esplorati.

L’industria a supporto dell’insegnamento: la collaborazione tra Chateau d’Ax e la School of Management del Politecnico di Milano

Chateau d’Ax e la School of Management del Politecnico di Milano hanno realizzato un project work nel quale gli studenti hanno risposto con progetti e strategie ad una challenge reale proposta dalla storica azienda nel settore dell’arredamento. L’azienda ha selezionato i tre migliori progetti tra i 258 realizzati.

 

La collaborazione tra università e aziende è di importanza strategica sia per l’occupabilità dei futuri laureati, sia per le aziende che sempre più si rivolgono agli atenei per ottenere analisi e proposte di tipo strategico e innovativo. La challenge organizzata ogni anno all’interno del corso di Laurea Magistrale di Strategy & Marketing di Ingegneria Gestionale è un esempio concreto che permette ai laureandi di confrontare le competenze maturate durante il percorso di studi con le attività delle imprese: una sfida lanciata dall’azienda a cui gli studenti devono rispondere progettando soluzioni innovative  utilizzando a supporto gli elementi teorici appresi durante il corso.

Per quest’anno accademico, la School of Management ha scelto di collaborare con Chateau DAx. “Abbiamo deciso di coinvolgere Chateau dAx e il settore dellarredamento – spiega Francesca Capella, project manager del progetto e research fellow del Politecnicoperché si tratta di uno dei settori ai quali la pandemia ha richiesto maggiormente di reinventarsi, di definire nuove strategie di posizionamento e un nuovo approccio al mercato per rimanere competitivi nonostante il momento di difficoltà.”

Sono più di 250 i project work sviluppati dagli studenti per Chateau D’Ax che hanno preso in considerazione gli ambiti di maggior interesse per lo sviluppo dell’azienda all’interno di un mercato complesso e in rapido mutamento: materie prime e sostenibilità, economia circolare, innovazione di prodotto, esposizione del prodotto e, infine, comunicazione.

Abbiamo aderito volentieri alla proposta del Politecnico di Milano perché crediamo molto nella collaborazione tra industria e università e che il suo sviluppo possa contribuire concretamente a formare una classe dirigente migliore e più preparata. – racconta Alessandro Colombo, direttore generale di Chateau d’Ax – Abbiamo condiviso con gli studenti gli ambiti nei quali si sviluppa la nostra strategia e abbiamo lasciato liberi i ragazzi di sviluppare le loro visioni”.

“Abbiamo selezionato 10 progetti su un totale di 258 – prosegue Capella – in base all’innovatività dell’idea, alla struttura della proposta sviluppata e alla capacità di utilizzare tool e costrutti teorici applicati ad una challenge di business reale. I progetti sono stati presentati dagli studenti stessi al management di Chateau d’Ax che li ha commentati ad uno ad uno dando agli studenti preziosi consigli di esperienza di vita aziendale”.

Continua Alessandro Colombo: “Da questi 10 progetti abbiamo selezionato i 3 migliori per l’articolazione della struttura, la comprensione delle opportunità derivanti dall’attuale scenario economico, ad esempio il Recovery Fund, e gli economics analizzati. Infine, la nostra valutazione si è basata anche sulla presentazione dei progetti in video call e sull’approccio più o meno spigliato che hanno manifestato gli studenti.”

Questo incontro ravvicinato tra Chateau d’Ax e la School of Management  è importante sia per l’azienda, perché permette di incontrare i futuri manager con uno strumento di employer branding efficace, sia per gli studenti, perché hanno l’opportunità di confrontarsi con una realtà aziendale in continua evoluzione.

Per i futuri laureati che hanno presentato i 10 progetti più in linea con la strategia aziendale, Chateau d’Ax offrirà dei percorsi di “training&job” per accompagnare gli studenti verso l’acquisizione di conoscenze e lo sviluppo di capacità personali funzionali per l’avvio di una carriera professionale in diversi ambiti aziendali.

 

I Recruiting Days diventano smart!

Al MIP, i servizi alla carriera sono smart! Dal 15 al 17 giugno, infatti, prende il via nella nostra Business School la prima edizione degli Smart Recruiting Days, tre giornate dedicate ad aziende di diversi settori: Luxury,Fashion & Lifestyle, Digital & Technology, Consulting & Finance, Industrial, Energy & Consumer Goods. I recruiter potranno incontrare i candidati MBA e dei Master Junior per opportunità di networking, employer branding e talent acquisition attraverso colloqui online individuali, prenotati sulla nostra piattaforma di scuola FLEXA.

L’evento, nato in collaborazione con KnackApp, è il primo del suo genere per una Business School italiana e combina le tecniche di gamification con i classici colloqui. Gli studenti coinvolti infatti si sottoporranno a un assessment digitale e, grazie a un’esperienza di gamification messa disposizione da KnackApp, verranno valutate oltre cinquanta soft skill considerate importanti nell’attuale mercato del lavoro. I giochi proposti da KnackApp, infatti servono a testare quelle abilità cognitive che potrebbero essere richieste dai datori di lavoro, come per esempio l’intelligenza emotiva, piuttosto che la propensione al rischio e la capacità di adattamento a situazioni mutevoli. Uno strumento in più a disposizione delle aziende che così, oltre al tradizionale CV, potranno valutare i candidati anche alla luce dei risultati dell’assessment digitale.

I recruiter che vogliono avere maggiori informazioni su come partecipare agli eventi Career organizzati dal MIP possono contattare corporaterelations@mip.polimi.it

Tra digitalizzazione e internazionalizzazione: il contributo del MIP a Smart Export

Le principali business school italiane uniscono le forze per offrire al sistema imprenditoriale italiano una serie di corsi di alta formazione. L’obiettivo è fornire strumenti strategici alle imprese e guidarle all’interno di un panorama globale che sta mutando rapidamente

Guidare le aziende italiane nei processi di digitalizzazione e internazionalizzazione. È il cuore di Smart Export, progetto promosso e finanziato dalla Farnesina e realizzato in collaborazione con Agenzia ICE e CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane), che vede unite cinque business school italiane (oltre al MIP, la Bologna Business School, l’SDA Bocconi School of Management, la Luiss Business School e Federica Web Learning – Università di Napoli Federico II).

L’obiettivo del progetto è ambizioso e urgente. I mutamenti globali causati dal Covid impongono infatti di rafforzare le competenze del sistema imprenditoriale italiano in due ambiti sempre più strategici. Per spiccare quello che il ministero degli Esteri definisce un “salto gestionale e digitale senza precedenti”, le aziende italiane potranno contare sulle eccellenze della formazione italiana. Tra queste, il MIP Politecnico di Milano. «Siamo molto contenti di poter dare il nostro contributo in un ambito considerato critico per lo sviluppo delle imprese», ha spiegato il presidente del MIP Vittorio Chiesa, «e di riversare la nostra esperienza nella trasformazione digitale in questo programma di formazione, che consideriamo di grande valore per il Paese».

La centralità dei canali digitali: il contributo del MIP

La partita, come detto, si gioca sull’internazionalizzazione e sulla digitalizzazione. «È importantissimo che si vadano a coniugare due elementi cruciali per la competitività delle imprese», riprende Vittorio Chiesa, illustrando in particolare quale sarà l’apporto del MIP all’interno di Smart Export. «Il nostro contributo si concentrerà principalmente sul tema dell’e-commerce, fondamentale nella competizione odierna». I numeri dell’ultimo anno parlano chiaro: «La crescita nell’utilizzo di questi strumenti all’interno dei mercati B2C è stata di oltre il 30%. E ha avuto un ruolo decisivo nel contenere il calo generato dalla pandemia sui tradizionali canali dell’export. Il ricorso al canale digitale ha consentito di conservare un buon livello di prestazioni da parte del nostro sistema imprenditoriale». La sfida del commercio elettronico è complessa e articolata: «Si compone di piattaforme, sistemi di pagamento, fatturazione elettronica, esige un sistema logistico strutturato appositamente e chiede che venga scelto un modello di export opportuno», spiega Chiesa. «Il nostro contributo consisterà nell’aiutare e sostenere le imprese a prendere coscienza di questo insieme di aspetti. Il tema della trasformazione digitale, poi, ci sta particolarmente a cuore: mi fa piacere ricordare che abbiamo lanciato il nostro primo Executive MBA in digital learning nel 2014».

Il corso del MIP per Smart Export

Il modulo curato dal MIP per Smart Export, infatti, sarà quello in Trasformazione digitale e gestione del cambiamento. Affrontando i temi dell’E-Commerce B2C, del Digital B2B e dell’export digitale, le aziende saranno in grado di sviluppare una strategia di digital export attraverso l’identificazione di elementi chiave come la scelta del canale commerciale, lo sviluppo di una strategia di marketing e comunicazione efficace e la strutturazione di una rete distributiva adeguata. Competenze fondamentali per poter affrontare le sfide di un mercato globale in cui anche le piccole e medie imprese possono e devono far valere i loro valori produttivi.

Be a Responsible #CareerLeader

Sergio Terzi, Associate Dean for Students Engagement and Supporting Services, ed Erika Ortu, Career Development Center Manager, presentano un nuovo progetto editoriale tutto dedicato sullo sviluppo di carriera.

Scopriamo di più attraverso le loro parole:

”Cari Lettori,

Con l’auspicio di continuare a essere un punto di riferimento come Business School per lo sviluppo e la crescita professionale di chi investe in un percorso di formazione, siamo lieti di presentarvi l’avvio di una rubrica editoriale che vuole ispirare i professionisti di oggi e del futuro fornendo contenuti, caratterizzati da rigore metodologico, su tematiche, tecniche e trend di carriera.

Il concetto di carriera si è evoluto nel corso degli ultimi 30 anni e, non ultimo, con il dipanarsi della pandemia. Quello che si è evidenziato è uno spostamento di significato da progressione lineare, gerarchico-retributiva, costituita da tappe predefinite, caratterizzate da stabilità e sicurezza, a percorso di sviluppo non predefinito da ruoli-status, attività e posizioni in organigramma, ma connotato da competenze e responsabilità individuali.

Nel XXI secolo, globalizzazione, cambiamenti economici, continue sfide e instabilità sono stati gli elementi chiave dello scenario del mercato del lavoro. Questi hanno messo in evidenza l’importanza di individuare modalità efficaci per affrontare con successo le sfide professionali, ormai diventate una costante quotidiana del professionista e del manager, con l’obiettivo di configurare opportunità e crescita in modo diffuso, attraverso il potenziamento del singolo.

In questa direzione, si inserisce il recente contributo della Comunità EU che ha evidenziato la necessità di sviluppare le Career Management Skills, un set di competenze, specifico e complementare alle note hard, soft e digital skills. Questo pone l’accento sull’importanza di acquisire  competenze per la gestione della propria carriera formativa e professionale, volte a favorire la capacità di esplorare quotidianamente molteplici opportunità, individuare nuovi piani di sviluppo professionale e giocare un ruolo attivo nella costruzione di alternative e di carriere di senso e di significato per il singolo.

Il tema delle “carriere” è caratterizzato da una certa complessità, che può essere rappresentata solo con una polifonia.  Nei prossimi articoli vi offriremo lo sguardo privilegiato di Career Professional esperti, al fine di aiutare le persone ad orientarsi nel mare magnum delle opportunità professionali tramite strumenti che consentono di governare con sistematicità la propria crescita.

Tramite la voce dei nostri autori, esploreremo con degli appuntamenti mensili il significato di “Career Leader”.  Partendo dalla ridefinizione del concetto di opportunità professionale, affronteremo questo tema attraverso, metodi e tecniche per la definizione di un obiettivo professionale rigoroso unito a strategie ed action plan, l’utilizzo del personal branding e networking quali leve strategiche per lo sviluppo, e il concetto di carriere socialmente responsabili e sostenibili per favorire l’employability.”

Cambiamento climatico: un grado in più di temperatura costa mancati ricavi alle imprese italiane

Analizzate oltre un milione di aziende per dieci anni (2009-2018): Centro e Nord Est le zone più colpite. Le maggiori perdite si registrano nei settori costruzioni, finanza, estrazioni e ICT, pochi danni a turismo, agricoltura e trasporti.

 

Il cambiamento climatico costa al sistema economico, e non poco: esaminando dieci anni (2009-2018), un grado in più di temperatura ha determinato una riduzione media di fatturato e redditività per le imprese italiane pari rispettivamente a -5,8% e -3,4%. Se poi si considerano le variazioni effettive della temperatura nelle varie aree geografiche, nel solo 2018 – anno particolarmente caldo – il nostro tessuto imprenditoriale ha registrato mancati ricavi per 133 miliardi di euro, con le maggiori perdite percentuali al Nord Est e al Centro.

È quanto emerge dal primo anno di attività dell’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico di Milano, che lo scorso 27 aprile 2021  ha presentato i principali risultati in un convegno online dove sono intervenuti istituzioni, imprese, investitori e associazioni di categoria. Il surriscaldamento globale è ormai a pieno titolo un tema economico.  “Abbiamo sviluppato un database che incrocia le informazioni economico/finanziarie su 1.154.000 imprese in Italia tra il 2009 e il 2018 (22 milioni in Europa) con i dati metereologici di temperatura, piovosità, irraggiamento solare dal 1950 – spiega Vincenzo Butticè, vicedirettore dell’Osservatorioper trovare evidenze empiriche solide sul rapporto che lega clima e sistema economico”. Ne sono derivate metriche affidabili per supportare gli enti regolatori, le istituzioni finanziarie e le realtà produttive nell’analisi economico/finanziaria del cambiamento climatico.

L’Osservatorio ha infatti calcolato i danni reali, non ipotetici, dovuti all’aumento della temperatura di 1 grado centigrado in Italia: le piccole imprese sono quelle che più hanno perso in redditività, mentre le grandi realtà, potendo meglio agire sui costi e sui processi, nonostante una diminuzione di ricavi e di domanda, hanno contenuto meglio le perdite in marginalità.

Tra i settori, ad aver patito i maggiori contraccolpi dall’aumento di temperatura sono le costruzioni, la finanza e le estrazioni. L’information technology, il real estate e la ricerca e innovazione hanno visto lo stesso calo di fatturato (-6,4%) a fronte però di una diminuzione della marginalità più contenuta. Il manifatturiero e il retail sono i settori che si sono meglio difesi, preceduti solo da agricoltura, turismo e trasporti.

In termini geografici invece, sempre a fronte di un grado in più di temperatura, la ricaduta è stata peggiore nel Centro Italia e nel Nord Est, dove però le aziende sono riuscite a conservare una maggiore marginalità. Il Nord Ovest ha visto una brusca perdita di redditività ma non altrettanto di fatturato, mentre il Sud e le Isole hanno risentito poco dei cambiamenti climatici.

Esaminando invece il calo di fatturato in cifre assolute, le perdite decisamente più consistenti si sono registrate in Lazio, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana.

La gestione delle conseguenze del cambiamento climatico e le strategie di mitigazione rappresentano la maggiore sfida che le economie mondiali dovranno affrontare nel corso nei prossimi anni – commenta Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio Climate Finance -. Ad esempio, l’analisi mostra come un’alluvione possa costare alle aziende del territorio colpito fino al 4% di fatturato e una perdita di valore degli attivi di bilancio di circa lo 0.9%, che sale all’1,9% nel caso di un incendio di vaste proporzioni. Anche l’emergenza mondiale legata alla pandemia ha contribuito ad aumentare la percezione del rischio, perché ha mostrato come gli attori economici subiscano conseguenze non solo in modo diretto, ma anche indiretto, attraverso i canali della domanda, dell’offerta o della propria catena di approvvigionamento”.

Dal punto di vista regolatorio e normativo, nel corso degli ultimi mesi sia la Commissione Europea che le agenzie di regolazione hanno redatto un numero elevato di documenti per migliorare la comprensione delle interrelazioni fra rischi climatici e attività economiche. Un esempio è costituito dalla “Tassonomia verde”, un documento che identifica, all’interno dei diversi settori, gli interventi in grado di promuovere l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici evitando nel contempo impatti negativi sull’ambiente.

E’ estremamente importante individuare i rischi e identificare strumenti e metriche per quantificare l’esposizione climatica delle attività in portafoglio. In questa direzione rilevante è l’azione della BCE, che ha condotto un’analisi su circa 4 milioni di imprese e 2.000 banche per identificare l’esposizione del sistema finanziario fino ai prossimi 30 anni. Lo studio rivela che i costi per adottare ora strategie di adattamento e mitigazione sono di gran lunga inferiori a quelli che si rischia di dover pagare in futuro: secondo la BCE, la probabilità di default delle banche sarà tanto più elevata quanto minori saranno le azioni intraprese dal sistema economico per modificare la traiettoria di incremento della temperatura.

 

Per maggiori informazioni: https://www.osservatoriefi.it/efi/2021/04/28/climate-change-finance-rischi-e-opportunita-per-le-imprese/