AXA Italia: un successo la prima edizione del corso in Insurance Data Management in partnership con il MIP Politecnico di Milano

E’ giunta al termine la prima edizione del corso di perfezionamento in Insurance Data Management della durata di 12 mesi, ideato dal Gruppo assicurativo AXA Italia in partnership con il MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business.

Protagonisti del corso, 25 collaboratori provenienti da differenti aree aziendali. Da notare la forte presenza dei talenti digitali donne che rappresentano il 44% dei corsisti.

Focus di questo percorso formativo altamente qualificante, è stato lo sviluppo di capacità e competenze strategico-applicative nella gestione del patrimonio data aziendale, per stimolare le capacità di innovazione e di prendere decisioni sempre più data driven, e nello stesso tempo favorire l’espansione della cultura del dato attraverso l’esperienza sul campo di persone provenienti da diverse aree aziendali.

Tre i moduli del corso, basato sia su attività d’aula che action learning con laboratori di allenamento delle competenze: Data Driven Innovation, Data analysis, Tools and tech. Tra le tematiche affrontate: Customer Analytics, Cluster Analysis, Anomalies Detection e Data Visualization, Metodologie di Predictive Analytics & Machine learning.

A conclusione di questa esperienza che ha previsto 160 ore di formazione, gli studenti hanno avuto la possibilità di discutere il loro project work all’attenzione del Management Committee di AXA Italia e molte delle soluzioni proposte sono già state concretamente applicate a diverse tematiche di business e risultano scalabili su altre.

Tre gli ambiti dei project work su cui gli studenti hanno lavorato:

  • Data for predictive intelligence – per un’applicazione in ambiti come l’antifrode.
  • Data for a better Customer centricity con focus sul miglioramento della gestione della relazione con i clienti.
  • Data for efficiency and compliance in cui rientrano progetti di miglioramento dei processi interni.

I progetti riguardano diverse tematiche: dall’applicazione di metodologie di Machine Learning nella fraud detection e nella riduzione dei sinistri con contenzioso, all’uso del Natural Language Processing per analizzare meglio il feedback dei clienti, alla predizione del tasso di conversione di una proposta di acquisto in polizza, fino alle nuove frontiere per conoscere sempre meglio i bisogni dei clienti grazie all’Intelligenza Artificiale.

Il Gruppo ha già in programma una nuova edizione del corso per coinvolgere altri colleghi, a dimostrazione di quanto AXA Italia sia determinata a diventare una compagnia culturalmente sempre più data driven grazie alle competenze specifiche delle sue persone, con un’attenzione particolare, anche rispetto a queste skill, ai suoi talenti donne.

L’iniziativa costituisce un importante tassello di una strategia a 360° che mette al centro il cliente per fornirgli la migliore esperienza sfruttando tecnologia e digitale. Tra gli ambiti chiave per AXA Italia, il trasferimento della architettura dati interamente sul cloud, per ridurre drasticamente il time to market e applicare soluzioni avanzate di machine learning e intelligenza artificiale, oltre a un importante programma di change management per rendere questa rivoluzione pervasiva a tutti i livelli aziendali.

“Abbiamo dato vita a un’iniziativa distintiva per il settore assicurativo italiano, nella consapevolezza del dato come valore e ricchezza trasversale a tutta l’azienda – ha dichiarato Simone Innocenti, Direttore HR, Organization & Change Management del Gruppo AXA Italia. I colleghi coinvolti, infatti, di cui il 44% donne, sono stati identificati a livello cross tra le diverse direzioni proprio per favorire questo processo. Da sempre in AXA vogliamo trarre il meglio dallo scambio fra esperienze professionali e percorsi culturali diversi in ottica di contaminazione positiva, a vantaggio dei nostri clienti e della società nel suo complesso”.

“Questa iniziativa rappresenta un ulteriore passo importante per costruire all’interno della nostra azienda un Data DNA e trasformarci in un’organizzazione davvero guidata dai dati – ha sottolineato Anna Maria Ricco, Chief Transformation Officer del Gruppo AXA Italia. Ambizione su cui anche a livello di Gruppo AXA stiamo investendo molto sia in termini di architettura dati che in termini di costruzione di una cultura realmente data driven ad ogni livello dell’organizzazione”.

Marco Giorgino, Professore di Financial Risk Management che per il MIP Politecnico di Milano ha curato la direzione scientifica del Master, ha dichiarato: “Siamo lieti di aver contribuito a proporre un’iniziativa che consente di aggiornare e rafforzare ulteriormente conoscenze e competenze di un team protagonista nell’accelerazione del processo di innovazione digitale che sta coinvolgendo tutto il settore assicurativo. La forte attenzione che la nostra Scuola pone su approcci di lifelong learning è stata declinata con successo in un modello di apprendimento che ha integrato attività d’aula, laboratori di simulazione e project work”.

Reply e Banca Generali lanciano la prima Reply Sustainable Investment Challenge: non solo investire, ma investire in modo sostenibile

Dopo il successo riscosso nell’edizione 2020, Reply ha deciso di lanciare anche quest’anno l’Investment Challenge, una competizione internazionale rivolta a studenti e giovani professionisti. Novità del 2021 è l’attenzione rivolta al tema della sostenibilità: ai partecipanti non solo sarà richiesto di realizzare piani di investimento, ma di farlo in maniera sostenibile.

Per il secondo anno consecutivo, Banca Generali è tra i partner dell’Investment Challenge. La prima private bank italiana vanta una solida esperienza nell’ambito degli investimenti sostenibili e accompagnerà gli studenti attraverso le diverse fasi della competizione.

All’edizione 2021 prenderanno parte anche MainStreet Partners e MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business. La società londinese specializzata in investimenti sostenibili e in analisi di portafoglio, MainStreet Partners, avrà il compito di fonire i rating ESG che verranno poi usati nella competizione. Il MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business, partecipando alla Reply Investment Challenge, conferma il suo impegno in progetti con un forte approccio esperienziale e basati su sperimentazioni avanzate nel campo della finanza e degli investimenti finanziari.

I partecipanti di ogni parte del mondo avranno a disposizione un capitale virtuale di 1 milione di dollari da investire in tempo reale nel mercato statunitense. Oltre ad approfondire le proprie conoscenze in materia di rating ESG, la competizione consentirà ai partecipanti di ampliare le loro competenze di finanza generale e sugli investimenti anche tramite webinar online, pillole di apprendimento e test. L’obiettivo finale della Challenge è quello di supportare i partecipanti nell’identificazione delle migliori aziende in cui investire, al fine di ottenere il miglior impatto positivo per le generazioni future.

Entrando nei dettagli della challenge, alla fase di iscrizione (dall’8 fino al 16 aprile), seguirà dal 19 al 30 aprile quella di qualifica. I portafogli verranno accreditati con $ 1 milione e tutti i partecipanti potranno iniziare a sfidarsi. I partecipanti verranno quindi classificati e valutati in base alle loro scelte di investimento sostenibile. Solo i primi 100 investitori che otterrano i migliori profitti adottando principi ESG potranno accedere al round finale (12-14 maggio) in cui una giuria premierà i primi tre vincitori.

L’Investment Challenge fa parte del programma Challenge di Reply, che punta ad individuare i trend più innovativi in ambito coding, creatività, cyber security e finanza. Dal 2018 più di 100.000 giocatori hanno aderito alla community Reply Challenge, mentre solo lo scorso anno oltre 8.400 partecipanti hanno preso parte alla prima edizione della Reply Investment Challenge.

Le registrazioni alla Reply Sustainable Investment Challenge sono aperte fino al 16 aprile. Tutte le informazioni disponibili su: challenges.reply.com.

“Inclusione: costruire una societa’ migliore per tutti”: è online il nuovo numero di SOMeMagazine

E’ uscito il #5 di SOMe, l’eMagazine della nostra Scuola in cui raccontiamo storie, punti di vista e progetti attorno a temi-chiave della nostra missione.

In questo numero intitolato “Inclusion: shaping a better society for all” discutiamo del tema dell’inclusione, declinato in ambito universitario, lavorativo e sociale.

Ne parliamo con Donatella Sciuto, Prorettrice del Politecnico di Milano, che ci racconta come le università possano contribuire a ridurre il divario di genere nello studio delle materie STEM, e debbano farsi promotrici di un’inclusione a tutto tondo, creando le condizioni per accogliere la diversità in tutte le sue forme.

Diversità che può essere valore aggiunto nelle aziende, come spiega Guido Micheli nel suo editoriale sull’inclusione dei lavoratori disabili.

Emanuele Lettieri racconta la sfida dell’Healthy Ageing, ossia come invecchiare in salute ed essere “inclusi” come soggetti attivi e partecipativi nella società il più a lungo possibile.

Infine una riflessione di Lucio Lamberti e Alessandro Perego sulla progressiva “remotizzazione” del lavoro e della formazione, che ha stravolto tutti i modelli sociali tradizionali, e la proposta di una piattaforma multidisciplinare per lo studio di benefici e costi sociali della nuova remote economy.

Nelle “Stories” alcuni nostri nuovi progetti di ricerca e azioni sul territorio: dal percorso di dottorato sulla sostenibilità aerea, ai risultati dei Food Hub di quartiere nella lotta contro lo spreco alimentare.

 

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I numeri precedenti:

  • # 1 “Sustainability – Beyond good deeds, a good deal?”
  • Special Issue Covid-19 – “Global transformation, ubiquitous responses
  • #2 “Being entrepreneurial in a high-tech world”
  • #3 “New connections in the post-covid era”
  • #4 “Multidisciplinarity: a new discipline”

Smart Export – L’accademia digitale per l’internazionalizzazione

Mercoledì  10 marzo 2021 ha avuto luogo in formato virtuale la presentazione dell’iniziativa Smart Export – L’accademia digitale per l’internazionalizzazione, un progetto innovativo di alta formazione online per sostenere e ampliare la proiezione italiana verso i mercati esteri attraverso il rafforzamento della capacità strategica, digitale e manageriale delle micro, piccole e medie imprese e dei professionisti italiani.

Smart Export è coordinato e promosso dalla Farnesina in collaborazione con Agenzia ICE e la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) nell’ambito delle nuove strategie per il sostegno al Made in Italy del “Patto per l’Export”.

Il progetto si avvale del contributo didattico di cinque prestigiose Università e Business School italiane: Bologna Business School, Federica Web Learning – Università di Napoli Federico II, Luiss Business School, MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business e SDA Bocconi School of Management.

La presentazione del progetto è stata inaugurata dagli interventi del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Luigi Di Maio, del Ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, del Presidente dell’Agenzia ICE, Carlo Ferro e del Presidente CRUI, Ferruccio Resta.

Dopo il segmento di apertura, i rappresentanti delle Università e Business School hanno illustrato i singoli percorsi formativi di cui si compone l’iniziativa. I contenuti didattici – fruibili in modalità e-learning e completamente gratuiti –  saranno on-line per 12 mesi, 24 ore al giorno, sulla piattaforma di autoapprendimento Federica Web Learning dell’Università di Napoli Federico II accessibile attraverso la pagina dedicata https://www.smartexportacademy.it/.

Cliccando qui si potrà inoltre scaricare una brochure dedicata all’iniziativa.

Leadership e purpose: così l’aspetto umano torna al centro del business

Dalla consapevolezza alla sostenibilità. Perché oggi è così importante che i manager guidino le aziende mettendo al centro l’elemento umano? Ce lo raccontano Arrigo Berni e Josip Kotlar, presentando l’Executive Programme in Leading with Purpose.

Affrontare le sfide del presente sostenuti da un’intenzione consapevole, un motivo che spinge a perseguire uno scopo o un obiettivo. In una sola parola, dal purpose. È la prova che attende i leader di oggi e di domani, chiamati a confrontarsi con scenari e sfide sempre più interconnesse e con consumatori che valutano i brand sulla base del loro contributo alla società: «Negli ultimi decenni le condizioni materiali di vita a livello globale sono migliorate enormemente. E la natura umana è tale per cui al soddisfacimento di una classe di bisogni, in questo caso materiali, nascono nuovi bisogni, in questo caso immateriali, di significato», spiega Arrigo Berni, founding partner di The Mind at Work Italy e Adjunct Professor del MIP Ma non solo. Il progressivo peggioramento delle condizioni ambientali impone un ripensamento delle ragioni alla base delle attività economiche: «Definire il purpose di un’attività», spiega Josip Kotlar, direttore dell’ Executive Programme in Leading with Purpose erogato da MIP Politecnico di Milano con la collaborazione di The Mind at Work, «è fondamentale per portare al centro del business, in maniera coerente, l’aspetto umano. Finora abbiamo assistito a una sorta di divisione tra le attività economiche e quelle di responsabilità sociale di impresa. Il nostro intento è usare il purpose per promuovere una visione più integrata di questi due aspetti che non sono separati, ma che devono stare assieme per essere sostenibili».

Consapevolezza, la chiave per la complessità

Un cambiamento epocale, che richiede leader consapevoli: «La leadership intenzionale», spiega Berni, «è contraddistinta da una grande consapevolezza di sé e dalla capacità di dare significato alla realtà, anziché reagire ad essa. A questo, un leader guidato dal purpose associa capacità di generare relazioni collaborative con gli altri e abilità nell’elaborare rappresentazioni corrette della realtà in cui opera».

Un approccio che può essere anche letto come un’evoluzione dei metodi con cui l’uomo, da sempre, cerca di elaborare strategie efficaci. Come spiega Kotlar, «è importante che le decisioni siano guidate da quella che possiamo definire “coscienziosità”. Oggi, però, gli strumenti tradizionali con cui vengono assunte le decisioni sono commodities a disposizione di qualsiasi azienda. Non costituiscono più un vantaggio competitivo. Sono necessari nuovi approcci che portino a decisioni coscienziose. Il purpose è rilevante perché offre un nuovo set di strumenti con cui maneggiare la complessità, senza limitarsi a una visione tecnicistica, e quindi limitata, del mondo».

Il cambiamento sostenibile passa dal purpose

I vantaggi di una leadership ispirata dal purpose derivano soprattutto dall’abbandono di una visione incentrata superficialmente sul “cosa” e sul “come”. «Un approccio», sottolinea Berni, «che sacrifica la consapevolezza delle intenzioni sottostanti una decisione e che porta a risultati non solo scarsamente sostenibili nel tempo, ma anche inferiori alle possibilità, perché non riesce a trasmettere energia all’intera organizzazione». Facendosi guidare dal purpose, invece, «i risultati si fondano su cambiamenti strutturali e quindi sostenibili nel tempo, perché figli di una visione sistemica della realtà aziendale e i risultati sono superiori, perché frutto di energia superiore, a livello sia individuale che collettivo».

Un corso per sviluppare i propri punti di forza

Dalla volontà di incoraggiare un cambiamento positivo nel mondo, il MIP Politecnico di Milano ha deciso quindi di avviare l’Executive Programme in Leading with Purpose: «Si basa sul modello innovativo di digital learning FLEX», spiega Kotlar. «Coniuga una formazione d’impatto con la massima flessibilità. Il programma è composto da 8 moduli tematici, ciascuno formato da una combinazione di brevi clip, una sessione di domande/risposte live e quattro lezioni interattive. Il programma si conclude con un project work che permette ai partecipanti di mettersi alla prova su progetti reali; offre inoltre una sessione di coaching che supporta i partecipanti nel lavoro su se stessi, per scoprire e sviluppare i punti di forza interiori, al fine di migliorare la capacità di innovare, sviluppare l’imprenditorialità e altri aspetti della leadership. È un programma che offre ampia flessibilità di indirizzare il proprio percorso personale».

“Da know HOW a know WHERE”.

Con queste poche parole Federico Frattini, Dean del MIP Business School del Politecnico di Milano, descrive il progetto FLEXA, piattaforma di personalised and continuous learning basata su meccanismi di Artificial Intelligence sviluppata negli ultimi 4 anni da un Team di oltre 20 persone e che viene a ragione considerato uno degli esperimenti più innovativi e riusciti per rendere la formazione un’abitudine virtuosa cui dedicare tempo ogni giorno.

Federico ne parla con emozione e orgoglio in una recente intervista rilasciata al Sole24Ore nella quale il MIP comunica la decisione di aprire gratuitamente FLEXA agli utenti privati che vogliono intraprendere un percorso di reskilling personale.

Ma da dove nasce questo progetto, e che ruolo gioca OfCourseMe in FLEXA?

Il tutto risale alla primavera del 2018 quando OfCourseMe e il Team FLEXA si incontrano per la prima volta per condividere la propria Visione di come fosse necessario costruire dei percorsi di formazione continua sfruttando la ricchezza di contenuti formativi a libero accesso sul Web.

“Negli ultimi 15 anni abbiamo infatti assistito a una crescita esponenziale nel numero di fonti e formati per il personalised and continuous learning” ricorda Frattini “ma nessuno si era ancora posto il problema di organizzare questa abbondanza e renderla fruibile in modo guidato per le persone, partendo da un’analisi delle proprie competenze. Abbiamo visto l’opportunità di colmare questo gap con FLEXA e abbiamo incontrato OfCourseMe al momento giusto.”

FLEXA nasce infatti con lo scopo di aiutare gli utenti a capire i propri gap e a costruire dei percorsi formativi, traducendo in prodotto l’esperienza accademica del MIP; tuttavia, una delle sfide che deve affrontare è l’organizzazione dei contenuti. Esattamente come un professore, che deve orientare lo studente all’interno di una biblioteca ricchissima seppur molto eterogenea e dispersiva.

È proprio qui che entra in gioco OfCourseMe: nato come un motore di ricerca che organizza e normalizza decine di migliaia di contenuti formativi online, OfCourseMe si è dimostrato da subito un partner prezioso per il Team FLEXA. Utilizzando le API di OfCourseMe FLEXA ha infatti potuto fruire in outsourcing di un potente motore di ricerca che aggrega e classifica oltre 500.000 titoli, in oltre 20 lingue e in svariati formati.

OfCourseMe ci ha messo a disposizione funzionalità che difficilmente avremmo potuto sviluppare e mantenere nel tempo in modo indipendente. Inoltre, OfCourseMe continua ad aggiungere nuove fonti ogni mese e noi possiamo sempre sfruttare i contenuti più freschi dal Web per offrire raccomandazioni personalizzate agli utenti del nostro prodotto, il tutto in modo completamente automatico.” chiosa Frattini.

Quali dunque i prossimi passi?

Ad oggi FLEXA accoglie oltre 3.000 utenti: principalmente Alumni o studenti dei Master del MIP. L’idea è ora quella di portare presto FLEXA fuori dal perimetro in cui l’iniziativa è nata.

Fin dal primo scambio di opinioni in merito, è stato chiaro l’allineamento strategico tra noi e il team FLEXA” conclude Davide Conforti, CEO di OfCourseMe. “L’ambizione ora è quella di lavorare assieme per rendere il personalised and continuous learning in azienda una routine virtuosa, in un contesto in cui upskilling e reskilling sono diventate imperativi categorici.”

FLEXA e OfCourseMe vantano una soluzione assolutamente eccellente che va dagli assessment, alle raccomandazioni di contenuti formativi, alla curation on demand, all’indicizzazione di contenuti proprietari…. Sostanzialmente tutto quello che serve per essere pronti al futuro.

Includere a distanza: la sfida del benessere nella società post-Covid

La pandemia di Sars-Cov2 ha affermato il ruolo dell’abitazione come luogo centrale di lavoro e vita privata, stravolgendo tutti i modelli sociali tradizionali. La tecnologia ha permesso di portare avanti il sistema economico in modo efficace anche a distanza, ma quali sono le conseguenze della “remotizzazione” sul benessere degli individui? La School of Management propone una piattaforma multidisciplinare per lo studio di benefici e costi sociali della remote economy.

 

Lucio Lamberti, Professore Ordinario di Multichannel Customer Strategy, Coordinator of the Physiology, Emotion and Experience Lab
Alessandro Perego, Direttore accademico School of Management Politecnico di Milano

L’inclusione e l’inclusività sono temi fondamentali per lo sviluppo sostenibile: una questione ampia, multidimensionale, che richiede non solo uno sforzo trasversale, ma chiare progettualità verticali attraverso le quali contribuire a un reale progresso collettivo. Tra le varie iniziative intraprese dalla nostra Scuola, una rappresenta per noi un tema che concilia le nostre sensibilità, le nostre competenze e il tipo di contributo che la nostra istituzione può offrire: l’analisi delle ricadute della mediazione tecnologica dei rapporti di studio e lavoro.

La pandemia di Sars-Cov2 ha infatti riaffermato il ruolo dell’abitazione come luogo centrale di lavoro, vita privata, acquisto, raccolta di informazioni, studio, intrattenimento, attraverso l’enorme accelerazione di fenomeni come il Working From Home (WFH) e il distance learning.
Negli ultimi mesi, con una virulenza e una rapidità impensabili, si sono trasformati i modelli sociali degli individui e delle famiglie. Milioni di persone hanno cominciato a lavorare e studiare assiduamente da casa, e, per quanto possa essere presumibile una forma di ritorno a dinamiche sociali più canoniche una volta – si spera presto – rientrata la fase pandemica, si stanno iniziando a osservare fenomeni di alienazione (o perlomeno depauperazione del valore esperienziale) legati alla perdita della dimensione fisica della socialità, se non addirittura manifestazioni della cosiddetta Sindrome della Capanna (o del Prigioniero), ovvero la paura del ritorno a una normale interazione fuori casa con il resto del mondo di chi è costretto a restare chiuso in uno spazio per un tempo più o meno lungo.

Inoltre, dopo una fase di attenzione all’abilitazione tecnologica e organizzativa del WFH e del distance learning, è giunto il momento di valutarne l’efficacia comparata ai modelli tradizionali. Ci troviamo di fronte a fenomeni di portata storica: da un lato, si pone un tema di inclusione e tenuta sociale, in quanto la remote economy estremizza le conseguenze di distacco sociale delle fasce meno digitalizzate della popolazione, che spesso sono anche le fasce più vulnerabili della popolazione (es. famiglie a basso reddito, anziani, disabili).
D’altro canto, nella complessissima equazione sociale che stima benefici e costi sociali di una progressiva “remotizzazione” del lavoro e della formazione, i termini relativi all’efficacia (qualità dell’apprendimento, produttività, innovatività, ecc.) e al benessere degli individui coinvolti (soddisfazione, qualità di vita, socialità) risultano ancora sostanzialmente ignoti.

Si tratta di driver di coesione sociale, benessere individuale, efficienza ed efficacia nel lavoro e nello studio, sviluppo relazionale ed emotivo che, ragionando per estremi, potrebbero essere conquiste epocali in grado di generare sviluppo sostenibile (meno traffico, meno inquinamento, maggiore inclusività, rivitalizzazione delle aree non urbane), o pericolose minacce di deterioramento del benessere economico, della qualità di vita e della qualità del capitale umano, se non di ingenerazione di tensioni individuali, familiari e sociali.

La School of Management ha intrapreso un percorso di ricerca multidisciplinare e multipiattaforma sul benessere dell’individuo nella remote economy volto specificatamente a qualificare e quantificare le dinamiche di relazione, ingaggio e produttività legate al WFH, le dimensioni dell’efficacia del distance learning, i fattori di costo e beneficio sociale della “remotizzazione” dei rapporti di studio/lavoro.

Per fare questo, si vuole (e si deve) attingere all’ampio ventaglio di competenze che la Scuola può esprimere: il MIP, business school ai vertici mondiali nel distance learning; gli Osservatori Digital Innovation, che analizzano da più di dieci anni fenomeni come lo Smart Working, la digitalizzazione delle case e i modelli di relazione mediati dalle tecnologie; il Laboratorio IOT, che sviluppa e studia modelli di interfaccia tra gli individui e dispositivi connessi; il Laboratorio Pheel, che studia e misura, in chiave multimodale e a partire dalla biometria, l’efficacia e la reazione delle interfacce e delle esperienze sugli individui.

Ma anche un ventaglio così ampio di competenze rischia di non riuscire ad abbracciare la complessità del tema. Per questo, in ossequio al nostro piano strategico e a quello del nostro Ateneo, stiamo creando un sistema di relazioni con le altre anime del nostro Politecnico (ad esempio, i dipartimenti di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Fisica, Ingegneria Civile, Meccanica, Design), con centri di ricerca in domini disciplinari altri da quelli politecnici (Psicologi e Sociologi, in primis), e con imprese e istituzioni co-interessate al tema.

La nostra piattaforma intende creare ambienti sperimentali che riproducano l’esperienza domestica per consentire la conduzione di esperimenti sulle esperienze di WFH e smart learning in termini di ergonomia, isolamento acustico, contestualizzazione, impatto dei materiali, user experience e dinamiche di produttività. Coerentemente con le attività di riflessione strategica sullo smart working del nostro Ateneo, intendiamo esplorare il tema del bilanciamento tra lavoro in presenza e a distanza per individuare soluzioni in grado di compendiare i vantaggi di entrambi limitandone le possibili aree di debolezza. A livello metodologico, intendiamo lavorare con dispositivi wearable a bassa invasività per condurre ricerche su benessere e stress con disegni longitudinali su panel mirati di popolazione. Per valutare l’efficacia di interventi educativi e di pratiche didattiche intendiamo sviluppare spazi di simulazione 3D, realtà aumentata e realtà virtuale e di prototipizzazione di interfacce di distance learning.

La chiave del progetto è la sua multidisciplinarietà: i problemi dello sviluppo sostenibile sono troppo complessi e multi-sfaccettati per essere affrontati in modo realmente efficace all’interno di un’area disciplinare come l’economia, il management o l’ingegneria.
E’ la contaminazione, l’inclusione culturale la vera chiave di innovazione, ed è in questa direzione che le istituzioni di ricerca, in ogni campo, dovrebbero muoversi.

 

3D Business Game Experience

Digital Workplace

The current pandemic situation led to significant changes in terms of working relationships and communication, team collaboration, people commuting and office locations.

Do you have a disruptive idea, based on which you would like to open a consulting/start-up company that offers services to companies to cope efficiently with the current situation?

Then, the 3D Business Game Experience is the perfect challenge for you!

3D Business Game Experience is a 7-week business game powered by Ekip Reply and launched by MIP that aims at generating disruptive ideas concerning Digital Workplace topics.

Every week participants will be able to challenge themselves, while sharing ideas with peers and experts.

Take part to the international competition and get ready to enter the virtual world of avatars: we’re looking forward to listening to your ideas!

Join us on March 15th to discover how to participate in the Business Game organized by MIP with Ekip Reply.

Please, note that the 3D Business Game Experience is open only to MIP and current students.

L’inclusione lavorativa: saperci tutti diversi aumenta il potenziale competitivo

Possiamo ancora accettare che l’in-clusione venga spesso sostituita da una re-clusione? Non è solo una questione di etica: il riconoscere che ogni operatore ha un suo potenziale valore per l’azienda diventa una leva per configurare sistemi produttivi sempre più competitivi.

 

Guido J.L. Micheli, Professore associato di Industrial Plants Engineering and Management
School of Management Politecnico di Milano

In ogni cosa esistono dei tempi minimi necessari perché una evoluzione cominci a dare qualche effetto. Nel nostro Paese la costituzione recita che l’Italia è una “Repubblica […] fondata sul lavoro”, tuttavia solo negli ultimi decenni si è cominciato ad affrontare in qualche modo il problema dell’inclusione lavorativa degli operatori disabili, che – salvo rarissimi casi – non presentano le caratteristiche “standard” che le aziende ricercano nei propri impiegati.

Semplificando, il processo si muove attualmente su due fronti. Da una parte, un grande numero di aziende è obbligato per legge ad assumere operatori disabili; dall’altra, esistono aziende (le cooperative sociali di tipo B) il cui fine ultimo è quello di preparare al lavoro persone disabili (anche dette, in questo caso, “svantaggiate”). Nella grande casistica delle aziende che sono obbligate ad assumere personale disabile, la deriva assai frequente è alternativamente l’assunzione di una persona che viene poi “isolata” in compiti di poco valore per l’azienda stessa (in altre parole, assunti ma non inclusi) oppure la scelta deliberata di pagare le penali annesse alla non assunzione, considerate paradossalmente “sostenibili” se confrontate con l’onere della gestione di una persona considerata di poco valore aggiunto.
Perché questa situazione? La motivazione è, tutto sommato, abbastanza semplice: le aziende sono abituate e vogliono continuare a lavorare in situazioni in cui ogni attività, macchina, attrezzatura, luogo, processo è progettato per persone “standard”. Ogni differenza è vissuta come origine di inefficienza.

È senz’altro vero che la formazione iniziale e continua degli operatori disabili è in certi casi significativamente maggiore, ma perché? Una delle risposte è facilmente identificabile: lo sforzo nella formazione/preparazione degli operatori disabili a qualsivoglia mansione lavorativa è collegato all’obiettivo stesso di tale formazione, ossia fornire loro le stesse capacità di operatori non disabili. In altre parole, anche la formazione che le aziende immaginano e mettono in pratica non è inclusiva, bensì volta ad uniformare gli operatori disabili agli altri.

Cosa occorrerebbe fare per cambiare lo status quo?

Serve un profondo cambiamento culturale. Le aziende devono studiare criticamente i propri processi, per identificarne le porzioni che possano essere svolte con caratteristiche “diverse”; così facendo, tali “caratteristiche diverse” non richiedono più uno sforzo per essere adeguate e incluse, ma diventano naturalmente funzionali, e quindi naturalmente incluse.

Questo tipo di analisi è ciò che le cooperative sociali (aziende manifatturiere o agricole vere e proprie, che impiegano primariamente operatori disabili) devono necessariamente fare ogni giorno, per capire ad esempio come un processo di assemblaggio possa essere “suddiviso e supportato” per essere efficientemente ed efficacemente svolto da operatori disabili, spesso diversissimi fra loro.

Questa attenzione ai processi porta come effetto secondario una semplificazione degli stessi, e quindi una riduzione degli errori, che si traduce in una riduzione degli scarti, e complessivamente in un aumento dell’efficienza.
Allora, l’avere coscienza che in azienda tutti sono “diversi”, può diventare un’importante leva di cambiamento: ogni attività, macchina, attrezzatura, luogo, processo, che una volta erano progettati per persone “standard”, possono essere finalmente progettati in maniera operatore-centrica e non standard-centrica.

A cosa serve la flessibilità dei componenti dei sistemi produttivi (macchine, linee, ruoli, …), tanto ricercata negli ultimi decenni, se poi non viene usata in modo continuativo per rivedere i processi e le mansioni, alla ricerca di una sempre migliore configurazione complessiva del sistema? Se questo fosse l’approccio, l’inclusione non sarebbe più da ricercare come tale.
Stiamo comprendendo che l’inclusione non può essere forzata: se viene imposta, come da approccio legislativo , in molti casi si trasforma in reclusione. Invece, il riconoscere che ogni operatore ha un suo potenziale valore per l’azienda diventa una leva per configurare sistemi produttivi e renderli sempre più competitivi.

D’altronde, chi di noi non ha mai pensato “ho in mente la persona giusta per questo”? Ecco, si tratta semplicemente di cominciare a riconoscere in tutte le persone – comprese quelle disabili – i rispettivi punti di forza.
Partiamo da qui. E non chiudiamo gli occhi: qualche azienda già lo fa!

CFA Research Challenge 2021: il team del Politecnico di Milano vince la fase italiana

I cinque ingegneri gestionali della School of Management battono l’Università di Napoli Federico II e l’Università Luiss Guido Carli con l’analisi finanziaria di ERG e si preparano alla regionale EMEA. La finale globale si terrà il prossimo 22 aprile.

 

Milano, 3 marzo 2021 – Il team del Politecnico di Milano vince la finale italiana della CFA Research Challenge 2021, competizione mondiale di finanza targata CFA Institute e promossa nel nostro Paese da FactSet e Kaplan Schweser.

La finale si è svolta online lunedì 1 marzo, e ha visto il coinvolgimento di dieci atenei, 47 studenti e oltre 30 professionisti. Alla fase italiana, coordinata da CFA Society Italy, hanno partecipato i team rappresentanti le seguenti università: Università Cattolica, Politecnico di Milano, Ca’ Foscari di Venezia, Università di Roma Tor Vergata, Università di Firenze, Università di Bologna, Libera Università di Bolzano, Università Luiss Guido Carli, Università Politecnica delle Marche e Università di Napoli Federico II.

Gli studenti Riccardo Mellara, Davide Muffolini, Lorenzo Chiesa, Nicola Guidi, e Andrea Baronchelli sotto la guida dei docenti Laura Grassi e Marco Giorgino e del mentor CFA Alberto Mari, hanno presentato la loro analisi finanziaria sul titolo di ERG a una giuria di sei esperti del settore finanziario: Emanuele Oggioni (Banca Akros), Dennis Montagna, CFA (Credit Suisse), Alberto Chiandetti, CFA (Fidelity International), Carla Scarano (Anima SGR), Luca Forlani, CFA (Eurizon Capital), Pinuccia Parini (Fondi e Sicav). Il secondo e terzo posto sono stati assegnati rispettivamente all’Università di Napoli Federico II e all’Università Luiss Guido Carli.

Il Politecnico di Milano proseguirà direttamente per la finale regionale EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa), che si terrà il prossimo 20 aprile. A testimonianza dell’elevata qualità dei nostri studenti e dei professionisti che li seguono, già nel 2016, 2014 e 2011 l’Italia si è aggiudicata la finale regionale EMEA.

La finale mondiale, invece, si disputerà il 22 aprile 2021, mettendo a confronto i vincitori di EMEA, America e Asia Pacifico. 

“CFA Society Italy, nella sua attività pluriennale, ha costruito un’intensa relazione con le università italiane per promuovere i principi di integrità ed eccellenza professionale presso le giovani generazioni”. Ha affermato il coordinatore del progetto, Giuseppe Quarto di Palo, CFA. “Siamo felici di poter offrire alle università e ai loro talenti l’opportunità di misurarsi in una competizione realistica, volta a riprodurre l’esperienza di un ufficio di ricerca di società di gestione o di case di investimento. Ai migliori studenti offriamo, inoltre, borse di studio per accedere al Programma CFA, al fine di ottenere una certificazione globalmente riconosciuta nel settore finanziario”.

“Questa iniziativa consente di raggiungere alcuni obiettivi importanti nel mondo della formazione e delle accademie. Innanzitutto, avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, combinando le conoscenze accademiche con le tecniche e gli strumenti utilizzati dai professionisti del settore finanziario. Il secondo obiettivo è quello di dare risalto alle nostre eccellenze universitarie italiane a livello europeo e mondiale”. Ha commentato il presidente di CFA Society Italy, Giancarlo Sandrin. “Questo progetto non potrebbe esistere senza il prezioso contributo dei volontari dell’associazione e dei partner che hanno sostenuto l’iniziativa FactSet, Kaplan Schweser e ERG, società oggetto di ricerca da parte degli studenti”.

“Anche in questa quarta edizione, FactSet ha avuto il piacere di supportare la CFA Research Challenge offrendo la sua piattaforma analitica a tutti gli studenti, professori e mentor”. Ha sottolineato Dorin Agache, Account Manager FactSet. “Quest’anno abbiamo visto un maggior coinvolgimento da parte delle Università partecipanti che hanno colto il valore della competizione utilizzando appieno anche la versione FactSet Web per effettuare l’analisi finanziaria di ERG. Un in bocca al lupo al team del Politecnico di Milano per la fase EMEA!”.

 Con la vittoria italiana della CFA Research Challenge, siamo davvero orgogliosi del livello che ogni anno i nostri ragazzi mostrano sui temi finanziari e che rappresenta la qualità degli studi che questo Ateneo offre”. Sono le parole espresso dai docenti del Politecnico di Milano Marco Giorgino e Laura Grassi.

 La CFA Research Challenge è stata sotto ogni aspetto una delle sfide più grandi della nostra vita. Nonostante questo, i risultati ottenuti e la crescita personale e professionale, ripagano tutti gli sforzi di questi mesi. Abbiamo avuto l’onore di collaborare con un grande esperto del settore, il nostro mentore, Alberto Mari CFA e con i nostri docent Marco Giorgino e Laura Grassi: a loro dedichiamo questo traguardo. Non vediamo l’ora di rappresentare l’Italia alla fase regionale EMEA e cercare di strappare il titolo di vincitori!”. Il primo commento espresso dal team vincitore del Politecnico di Milano.