Costruire una roadmap per il futuro del manifatturiero

Intervista a Marco Taisch
Professore di Advanced and Sustainable Manufacturing Systems, and Operations Management, School of Management, Politecnico di Milano
Presidente scientifico del World Manufacturing Foundation
Presidente del MADE Competence Center per l’Industria 4.0

 

Ci racconti il percorso del World Manufacturing Forum: perché è nato e quali sono i suoi obiettivi?

A partire dal 2011, quando si tenne la prima edizione, il World Manufacturing Forum viene ogni anno organizzato dal Politecnico di Milano con il supporto economico della Commissione Europea. Nel 2018, grazie a Confindustria Lombardia e Regione Lombardia, al fine di dare maggiore stabilità e garantire un ampliamento delle attività abbiamo creato la World Manufacturing Foundation, che oltre a organizzare annualmente l’evento annuale, ospita una serie di altre iniziative.
La World Manufacturing Foundation, creata come organizzazione internazionale aperta a cui partecipano governi regionali, aziende, associazioni di categoria, industriali e non, ha quindi come obiettivo strategico quello di riportare la centralità del settore manifatturiero nelle agende politiche dei vari paesi.
Gli strumenti principali messi in campo sono il World Manufacturing Forum, evento che lo scorso anno ha attirato circa 1500 persone in tre giorni, e il World Manufacturing Report, un white paper annuale che, attraverso un processo di consultazione con esperti del mondo delle imprese, dell’accademia e policy makers, raccoglie pareri e restituisce visioni per il futuro su un tema specifico, rilevante per il manifatturiero, suggerendo delle key reccomendations. Nella prima edizione, nel 2018, abbiamo affrontato il tema del futuro del manifatturiero come leva di creazione del benessere economico e sociale; nel secondo, l’anno scorso, ci siamo focalizzati sulle skills fondamentali necessarie al settore. E quest’anno, nell’evento che si svolgerà l’11 e il 12 novembre, parleremo di intelligenza artificiale.

 

L’edizione 2020 del Forum ha un sapore particolare, sapore di distanza, ma anche di ripresa post Covid. Che edizione sarà?

Per la necessità di distanziamento cambierà il formato dell’evento: si svolgerà presso la sede tradizionale di Villa Erba di Cernobbio, con trasmissione in streaming worldwide.
Ci siamo chiesti, come tutti, quale sarà l’impatto del Covid sul settore manifatturiero a livello regionale e mondiale, e per darci una risposta abbiamo creato il progetto “Back to the Future” (la citazione è voluta), novità di quest’anno.
Abbiamo “scomposto” la complessità della questione in 14 sottotemi e creato altrettanti gruppi di lavoro, ciascuno coordinato da un esperto (i.e. manager, rappresentanti del mondo associativo, policy makers, accademici), a cui abbiamo chiesto di discutere e analizzare l’impatto del Covid sul proprio tema di competenza e dare delle raccomandazioni.
Abbiamo già condiviso online, con il pubblico, diversi draft di documenti e video, prodotti da questi workshop, i cui risultati saranno presentati il primo giorno del Forum, l’11 novembre, mentre il 12 novembre presenteremo il World Manufacturing Report.
Se posso poi dare un’anticipazione, l’anno prossimo parleremo di digital transformation come abilitatore della sostenibilità del manifatturiero, mettendo insieme quindi i due trend più importanti del settore.

 

Veniamo dall’epopea di Industria 4.0. In che modo la digitalizzazione nel mondo delle fabbriche può essere un vantaggio competitivo per rilanciare la produzione e ripartire più velocemente?

Prima della pandemia era “normale” affermare che la digitalizzazione fosse un vantaggio competitivo, ed è il modo in cui abbiamo connotato l’Industria 4.0. Ora abbiamo cambiato statement: non è più un vantaggio, bensì un prerequisito di business.
Durante il lockdown abbiamo visto come la digitalizzazione abbia garantito la business continuity per molte imprese che avevano già investito in questa direzione. Per le altre, purtroppo, non c’è stato nulla da fare.
E’ stato un modo tragico di rendersene conto, questo è certo, che ha colpito quelle imprese che, per ignoranza o per inerzia, non avevano prestato attenzione a questo trend tecnologico.
Nel nostro paese in particolare, che era più lento nell’adozione di nuove tecnologie, la pandemia ha accelerato la presa di coscienza sull’importanza della digitalizzazione.

 

Imprese grandi e imprese piccole: chi è favorito in questa quarta rivoluzione industriale?

Le grandi imprese hanno cominciato a digitalizzarsi già da tempo, anche prima del “Piano nazionale Industria 4.0” del 2017. Le piccole e medie imprese erano invece in ritardo. E’ stato grazie al piano, e agli incentivi fiscali previsti che sono venute a conoscenza di questa opportunità di modernizzazione. Paradossalmente, è stato parlando di incentivi fiscali che si è potuto fare formazione anche tecnologica, e questo ha avuto un grande impatto nell’accrescimento culturale del nostro paese su questi temi.
E’ molto importante che il piano nazionale abbia una continuità temporale per permettere alle imprese, specie alle piccole, una programmazione e la costruzione di un percorso di formazione e di accrescimento di know-how. E oggi, per farlo, hanno diversi strumenti a loro disposizione, come i Digital Innovation Hub, e come soprattutto i Competence Center. Su quest’ultimo strumento il Politecnico di Milano si è messo in prima fila creando MADE, un centro di competenza che raccogliendo le competenze di più dipartimenti coordina i lavori insieme a 44 altri partner provenienti dal mondo accademico e industriale.

 

Quali sono, a suo avviso, le 3 parole chiave sull’evoluzione della trasformazione digitale nelle fabbriche nei prossimi 6 mesi?

Prima di tutto “servitizzazione”, ossia lo sviluppo di nuovi modelli di business che si stanno creando grazie alle nuove attività digitali svolte nelle industrie da remoto.
E quindi la seconda, “remoto” o, se vogliamo “industrial smart working”.
Infine “resilienza”, intesa come capacità di adattamento, riconfigurabilità e flessibilità della fabbrica e della supply chain.

Progettare l’innovazione: l’esperienza di IDeaLs – Innovation and Design as Leadership

Il mondo della gestione dell’innovazione è in continuo cambiamento, e molteplici imprese in tutto il mondo sono alla ricerca di nuovi modelli e metodologie a supporto dello sviluppo di nuovi prodotti e servizi. Con l’avvento di tecnologie digitali quali anche l’Intelligenza Artificiale, il ruolo delle persone nei processi di innovazione è sempre più in discussione.

IDeaLs nasce per esplorare come le aziende possano realizzare prodotti e servizi innovativi attraverso attività di co-Design e forme di Leadership diffusa.

Fondata dal Politecnico di Milano e dal Center for Creative Leadership, IDeaLs è una piattaforma di ricerca che unisce l’ambito accademico e professionale per scoprire nuovi metodi per coinvolgere le persone in attività di progettazione collaborativa per fare sì che l’innovazione accada.

Negli ultimi due anni, IDeaLs ha collaborato con nove organizzazioni internazionali attive in diversi settori, dai servizi di pubblica utilità ai fornitori di servizi logistici, organizzazioni sanitarie e abbigliamento sportivo.

Per ogni organizzazione che aderisce alla piattaforma, un team centrale di 2-3 manager pone una sfida di innovazione al team di ricerca. Tramite un progetto della durata approssimativa di 6 mesi, ogni sfida viene analizzata e più workshop eseguiti con l’organizzazione partner. Alla fine del periodo, i risultati della ricerca e l’impatto nell’organizzazione vengono condivisi tra tutti i partner in un evento finale collettivo.

In linea con le richieste mosse dai manager, IDeaLs mira a sviluppare nuovi strumenti e metodologie a supporto delle organizzazioni durante i processi di trasformazione organizzativa. Negli ultimi anni, IDeaLs ha sviluppato un’esperienza di “creazione di storie“: è stata organizzata una serie di workshop in cui i partecipanti hanno progettato la propria storia di trasformazione su briefing da parte dei manager, una roadmap per il cambiamento sia individuale che collettivo. Questa esperienza ha avuto un effetto positivo su tutte le organizzazioni partner: in primo luogo, ogni partecipante si è impegnato in tre azioni concrete da compiere, risultando in media in 120 passi autonomi verso la destinazione delineata dai manager. In secondo luogo, i workshop hanno aumentato l’engagement verso l’innovazione, che è stato costantemente monitorato dal team di ricerca.

In definitiva, IDeaLs rappresenta una comunità di “leader dell’innovazione“, che discutono argomenti rilevanti su tematiche di leadership e innovazione, oltre a conoscere i casi di studio delle altre aziende. Vengono organizzati tre eventi annuali in cui i membri discutono le loro intuizioni, condividono storie di successo e discutono gli approcci di ciascuna organizzazione all’innovazione.

In qualità di fondatore della piattaforma, la School of Management contribuisce sia allo sviluppo dei progetti presso i partner che alle attività di ricerca.

In primo luogo, le attività sono legate alla progettazione di nuovi metodi e strumenti per favorire la collaborazione tra individui in un contesto innovativo. Inoltre, la piattaforma mira a dare un contributo metodologico, in termini di sviluppo di strumenti di misurazione che consentano di valutare la disponibilità strategica di un’organizzazione a perseguire una direzione innovativa.

Dal punto di vista accademico, il team é coinvolto nella progettazione delle direzioni di ricerca e sta attualmente sviluppando tre programmi di dottorato relativi alla piattaforma. La School of Management è inoltre responsabile della diffusione delle conoscenze acquisite attraverso un booklet annuale che descrive i progetti svolti in collaborazione con i partner, presentando inoltre i risultati teorici a conferenze internazionali e pubblicando gli stessi su riviste accademiche.

Quando si tratta di noi come individui, siamo spesso sopraffatti dalle innovazioni e sappiamo molto bene che il problema va ben oltre il processo che applichiamo per realizzarle. Il mondo dell’innovazione era così concentrato sulla ricerca del processo di innovazione perfetto, ma ha dimenticato le persone che lo gestiscono“.[1] IDeaLs mira a riportare la persona al centro, come motore di innovazione organizzativa.

Il team di ricerca
http://www.ideals.polimi.it/
Direttori Scientifici: prof. Roberto Verganti; Prof. Tommaso Buganza; Joseph Press, Ph.D.
Team di ricerca: Paola Bellis; Silvia Magnanini; Daniel Trabucchi, Ph.D.; Federico P. Zasa

_________________________________

[1] Fonte: IDeaLs Booklet 2019

Una nuova era per le partnership accademiche: l’esperienza del Politecnico di Milano in Cina

Intervista a Giuliano Noci
Professore di Strategy and Marketing e Prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano

La Joint School of Design and Innovation Centre di Xi’An, inaugurata nel 2019 in collaborazione con Xi’an Jiaotong University (XJTU), è la prima sede fisica del Politecnico di Milano al di fuori dei confini nazionali. Una scelta non convenzionale per un ateneo italiano, come siete arrivati a concretizzare questo progetto?

La nostra relazione con XJTU nasce 12 anni fa grazie ad uno studente cinese che aveva avuto modo di apprezzare la qualità dei nostri programmi di dottorato, in particolare del dottorato in ingegneria elettrica del professor Sergio Pignari. E’ stato lui che, lavorando con tenacia per tanti anni e con tanti viaggi, ha cominciato a costruire questo ponte tra noi e la Cina, fino a sviluppare questa partnership strategica.
In una prima fase ci siamo occupati di attivare diversi scambi e corsi di doppia laurea. L’ipotesi di avere una presenza fisica nel nuovo campus XJTU è nata successivamente e si è concretizzata con la costruzione di un edificio progettato da architetti del Politecnico di Milano (Remo Dorigati e Pierluigi Salvadeo con studio wok, Chiara Dorigati, Francesco Fuoco), che ci accingiamo a popolare prestissimo, grazie ai numerosi progetti che abbiamo in incubazione.

Che conseguenze ha provocato la pandemia su questo progetto e come vi state riorganizzando?

La pandemia non ha frenato i progetti, ha solo imposto una parziale revisione degli obiettivi che ci eravamo posti.
L’ipotesi era infatti di partire a settembre di quest’anno con un corso di laurea congiunto in architettura, con i nostri docenti presenti fisicamente in Cina. Non essendo possibile, per il momento, abbiamo trasferito le attività di formazione online, sfruttando le expertise che il Politecnico ha maturato in questi anni.
In secondo luogo abbiamo portato avanti un importante accordo che riguarda gli MBA tra il MIP, la nostra Graduate School of Business e la School of Manangement di XJTU, che è una delle più prestigiose del Paese.
Infine vorremmo creare nel nuovo campus una nuova Joint School accreditata dal Ministero dell’Educazione cinese.
Otterremmo così il risultato di andare oltre l’obiettivo della nostra presenza fisica, ma di costituire una vera e propria joint venture di natura universitaria all’estero. Proprio in queste settimane stiamo sviluppando il concept di un nuovo Bachelor of Engineering in Industrial Product Design che vede la partecipazione di diverse Scuole del Politecnico di Milano (Design, Management, Mechanical Engineering, Information and Communication Technology). Se il progetto vincerà la call del Ministero dell’Educazione della PRC, potrà essere di fatto il primo corso pilota della costituenda nuova scuola, con dei tratti distintivi unici, primo fra tutti l’interdisciplinarietà.
L’interdisciplinarietà è fondamentale nei processi di innovazione, in cui l’Italia ha certamente molto da dire al riguardo. E la Cina è fortemente impegnata su questo fronte, come dimostra il piano di sviluppo Made in China 2025 che è stato recentemente varato.

Quindi formazione, ma non solo: una partnership universitaria che mira ad essere rilevante per il Sistema Paese?

Certamente. Il nostro obiettivo è anche supportare le strategie di sviluppo internazionale e tecnologico delle nostre imprese. Xi’An in questo senso è un distretto industriale tra i più importanti della Cina, per l’automotive, elettrica in particolare, e un cluster molto rilevante per il settore ICT (Alibaba e Huawei hanno qui centri di ricerca molto importanti).
Per questo motivo abbiamo pianificato di avere dei laboratori, in cui intendiamo sviluppare ricerche insieme a imprese italiane e cinesi. Quello cinese è un mercato complesso ma estremamente attrattivo per le nostre imprese, e noi possiamo supportarle nel loro ingresso.

Veniamo agli studenti. Il valore aggiunto di uno scambio internazionale, durante un percorso di studio universitario, è dato per assodato, ma come rispondono gli studenti all’opportunità di una doppia laurea di questo tipo?

La Joint School ha l’ambizione di diventare globale: intendiamo attrarre studenti internazionali da tutto il mondo. Ma vogliamo anche supportare processi di crescita ed esperienziali dei nostri ricercatori e docenti, dato che anche per loro si tratta di un’opportunità di crescita sotto molteplici punti di vista.
La reazione degli studenti finora è stata entusiasta. A fronte di un legittimo scetticismo iniziale a studiare in un continente così diverso dal nostro, gli studenti italiani hanno sempre apprezzato in modo straordinario questo scambio culturale. Sono conquistati dall’energia e dalla dinamicità che caratterizza qualsiasi università cinese.
Si rendono conto dell’importanza di interagire in una delle aree che ha il massimo tasso di crescita economica del mondo, caratterizzata da un grande fermento e forti investimenti in tecnologie digitali e intelligenza artificiale.

Una partnership sviluppata, come diceva, sulla base di un lavoro continuativo fatto di visite nel paese ospitante. Ora questo specifico contesto storico ci impone di nuove forme di interconnessione nel mondo.
Che scenari prevede a fronte di questo? In che modo le distanze ci avvicinano o modificano alcune modalità di interazione tra noi e la Cina?

Il tema del Hybrid Learning sarà un acceleratore ulteriore delle relazioni tra Politecnico di Milano e la Cina. In questi mesi, in cui abbiamo ridotto a zero i viaggi, in realtà abbiamo interagito più frequentemente di prima e aumentato il livello degli obiettivi e i risultati raggiunti. In questa direzione, sia sul fronte della ricerca, sia sul fronte della didattica universitaria e post-graduate, si aprono prospettive precedentemente poco esplorate.
In Cina nel periodo di quarantena causa Covid, ben 180 milioni di studenti studiavano totalmente online. Per noi ora è naturale allargare la nostra offerta formativa prescindendo dalla presenza fisica degli studenti cinesi, laddove lo studente non si voglia muovere. Applicare logiche di Hybrid Learning (con lezioni in presenza e non) consente anche a studenti italiani che non si vogliano trasferire in Cina di partecipare, ad esempio, ai nuovi corsi di studio in programma.
Paradossalmente, in un momento in cui la connessione fisica non è stata possibile, l’interconnessione cognitiva e relazionale è stata più frequente, perché da entrambe le parti abbiamo scoperto la possibilità di lavorare con una frequenza di interazioni prima inimmaginabile e preclusa solo dal nostro sistema delle percezioni.
Per esempio, anche con la Tsinghua University di Pechino – la più importante università della Cina che ha un Joint campus a Milano con il nostro Politecnico -, stiamo lanciando ora tre grossi progetti formativi che coinvolgono MIP Graduate School of Business (oltre ad altri Dipartimenti dell’Ateneo) e che sono stati sviluppati in soli sei mesi. In passato, per ottenere un risultato simile, sarebbero stati necessari quattro/cinque anni di continui viaggi.
Questo naturalmente non significa sminuire l’importanza del contatto fisico e della vita di campus.
Si tratta solo di nuove strade che vale la pena percorrere.

Un’ultima domanda sull’approccio formativo nelle scuole di management in Cina. Quello che viene insegnato sta evolvendo in una modalità più propensa alla collaborazione con l’Occidente, oppure i due modelli si stanno radicalizzando su posizioni diverse?

La percezione che ho sempre avuto io della Cina è che ci fosse curiosità rispetto ai modelli manageriali occidentali. Quello che interessava erano però soprattutto le tematiche legate alla gestione dell’innovazione.
Gli approcci vanno in direzioni opposte. La Cina è consapevole della potenza del proprio sistema economico ed è quindi autoreferenziale anche nelle proprie modalità di management.
Questo, tuttavia, non esclude affatto diverse opportunità per noi – come Politecnico e come italiani -, in particolare per due motivi.
Il primo è il numero molto alto di studenti cinesi che desidera studiare all’estero e che si sposterà significativamente in Europa (e auspichiamo anche verso l’Italia).
Il secondo è che l’Italia è molto attrattiva per la nostra capacità, da un lato, di sviluppare un sistema di piccole e medie imprese, e dall’altro, di creare brand di lusso. Una reputazione ottima, dunque, non solo a livello di design ma anche di marketing.
Il nostro Paese, e le nostre scuole di Management sono, di conseguenza, decisamente interessanti.

Se dovesse dirci in breve le 3 “parole d’ordine” per il futuro a breve termine del progetto Xi’An, cosa sceglierebbe?

Consolidamento della Joint School per favorire percorsi di crescita dei giovani talenti del Politecnico.
Apertura di un paio di laboratori con le imprese: uno in ambito automotive e l’altro potrebbe essere l’esportazione del formato Polifactory a Xi’an.
Creazione di un incubatore di start up con relativa costituzione di un fondo di venture capital.

«Data science e business analytics: oggi le aziende non possono farne a meno»

Il professor Carlo Vercellis, direttore del Percorso executive in data science e business analytics, racconta le ultime tendenze nel mercato dei big data e lancia un appello: «I consulenti esterni non bastano più. Ora le organizzazioni devono integrare queste figure al proprio interno»

 

Una crescita che da cinque anni si mantiene costantemente in doppia cifra, intorno al 20%, e investimenti che in Italia hanno raggiunto il valore di 1,7 miliardi di euro. È il mercato degli analytics, in parole semplici l’analisi dei dati, arrivato a un punto di svolta. «Ma ora è tempo di crescere», annuncia il professor Carlo Vercellis, Full Professor of Machine Learning al Politecnico di Milano, direttore del Percorso executive in data science e business analytics presso il MIP Politecnico di Milano e responsabile scientifico dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics. «Le grandi aziende hanno preso confidenza con questi strumenti, anche se finora si sono appoggiate soprattutto a consulenti esterni. È il momento di integrare queste figure all’interno delle organizzazioni, anche per le Pmi. Tante le sfide da affrontare, altrettante le figure professionali richieste e quindi gli sbocchi lavorativi per chi vuole operare in questo ambito».

 

Organizzazione, gestione, automazione dei processi: le ultime tendenze

Sono due, in particolare, le tendenze identificate da Vercellis. «La prima sfida è di ordine organizzativo e gestionale, e riguarda il governo della filiera dei progetti data driven, quelli basati cioè sui dati: passare dalle sperimentazioni, ormai sempre più numerose e complesse, al progetto pilota, e poi alla messa in produzione fino ad arrivare al deployment. La seconda sfida riguarda i processi di business, che devono essere cambiati in una prospettiva data driven. Pensiamo alla process automation, ossia un’automazione dei processi che sostituisca le attività umane a scarso valore aggiunto attraverso algoritmi che consentono ai software e ai robot di svolgere una serie di mansioni ripetitive. Questo consente di liberare numerose risorse, umane e materiali».

 

Tanti dati, tanti algoritmi: la necessità di una consapevolezza funzionale

I dati, però, da soli non bastano. Bisogna saperli interrogare, leggere, interpretare, e per questo c’è bisogno di professionalità specifiche: «Siamo sommersi dai dati. Le due fonti principali sono le attività social, che forniscono dati non strutturati, non riducibili a tabelle di numeri; e l’Internet of Things, ossia quella rete di oggetti, elettrodomestici inclusi, con caratteristiche smart, che raccolgono moli di dati più strutturati», spiega Vercellis. «Per leggerli bisogna sapere quali strumenti di analisi impiegare: parliamo degli algoritmi, ovviamente, che pur condividendo delle impostazioni di base non sono tutti uguali. A seconda del compito che gli si chiede di svolgere, uno può rivelarsi più adatto di un altro. Per questo c’è bisogno di figure dotate di “consapevolezza funzionale”: esperti capaci di adoperare gli strumenti di data e business analytics, senza dover essere dei tecnici. Sono queste le professionalità che oggi le aziende cominciano a cercare, perché pian piano ci si sta rendendo conto che i consulenti esterni non bastano».

 

Gli sbocchi professionali nel mondo degli analytics

I profili di questo tipo sono diversi. «Si va dal business user, capace di comprendere logiche e limiti di questi strumenti, al translator, una figura ponte che conosce i linguaggi del data science e del business, ed è in grado di far comunicare tra loro questi due mondi. Le figure oggi sono sempre più tecniche: ci sono il data scientist, il data engineer, il business analytics data scientist solution architect».

Il Percorso executive in data science e business analytics del MIP Politecnico di Milano si propone esattamente di formare professionalità variegati delle diverse tipologie indicate: «È un corso che inizia a ottobre, richiede un impegno di due giorni al mese e tocca tutti i temi legati a quest’ambito», illustra Vercellis. «Prevede delle sessioni di hands-on e, infine, un project work conclusivo grazie al quale gli studenti dovranno applicare le nozioni apprese a un problema, proposto da loro stessi o dai docenti della faculty del MIP. Il corso è rivolto ai singoli, che magari cercano un reskill, ma mi aspetto che siano soprattutto le aziende a sfruttare quest’occasione: è una grande opportunità per formare una risorsa interna in grado di gestire le esigenze dell’organizzazione, un compito che un consulente esterno non sarebbe mai in grado di svolgere».

 

MIP Politecnico di Milano ottiene la Certificazione B Corp, unica Business School in Europa

La Business School entra nella community internazionale di società che si distinguono per l’impegno a coniugare profitto, ricerca di benessere per la società e attenzione all’ambiente.

 

MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business è lieta di annunciare il conseguimento della certificazione B Corp. Si tratta di un prestigioso riconoscimento assegnato alle imprese che si caratterizzano per il proprio impegno per uno sviluppo sostenibile e per la costruzione di una società più inclusiva. MIP Politecnico di Milano è la prima business school italiana, l’unica europea e tra le poche al mondo a ottenere questa certificazione.

 

MIP è stata accompagnata nel processo di accreditamento per ottenere il riconoscimento da Nativa, evolution designer di modelli sostenibili e rigenerativi, prima B Corp in Europa e partner italiano di B Lab.

 

Le B Corp rappresentano una community internazionale di aziende accomunate dall’obiettivo di coniugare il profitto con la ricerca di benessere per la collettività e l’attenzione all’ambiente e alla società nel suo insieme. Le imprese che possono vantare questo riconoscimento sono circa 3.400 in tutto il mondo, tra cui un centinaio in Italia. L’iter necessario al conseguimento della certificazione prevede un rigoroso assessment che valuta il modello di governance, l’attenzione al capitale umano, il rapporto con i partner e con il contesto sociale e il rispetto dell’ambiente. In questo modo, vengono analizzati e misurati i risultati raggiunti nell’attività di un’impresa.

 

Questo riconoscimento certifica l’impegno ormai consolidato di MIP e più in generale della School of Management del Politecnico di Milano di cui MIP fa parte, attiva da anni nella ricerca, formazione e nei progetti con le imprese sui temi della responsabilità sociale. La certificazione B Corp indirizzerà le attività in ambito di sostenibilità del MIP nei prossimi anni, con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente le proprie iniziative di impatto sui temi dell’accessibilità, dell’inclusività, del benessere delle risorse umane e della sostenibilità ambientale.

 

Uno degli elementi essenziali che ha portato il MIP a sottoporsi a questa certificazione risiede nella consapevolezza del ruolo che ogni impresa giocherà nel costruire un futuro migliore per tutti. Il purpose e la ragion d’essere di ogni business saranno sempre più ripensati per mettere al centro il ruolo che esso potrà rivestire nella società. Oltre alla crescente attenzione nei suoi programmi di formazione ai temi del purpose, della sostenibilità e dell’inclusività, tramite la certificazione B Corp il MIP intende accelerare quel processo virtuoso tramite cui si propone di diventare essa stessa un’organizzazione sostenibile.

 

Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean di MIP Politecnico di Milano: Ottenere questa importante certificazione è motivo di orgoglio per tutti noi del MIP. In primis, siamo felici di poter dire di essere l’unica business school europea a ricevere questo riconoscimento. Inoltre, in un momento di emergenza sanitaria senza precedenti in cui ci si interroga sui modelli di sviluppo che l’hanno resa possibile, vedere riconosciuto il proprio contributo per un futuro più sostenibile assume un significato ancora più profondo. Le Business School stanno confermando con sempre maggiore forza il loro ruolo di agenti di cambiamento impegnati nella costruzione di una società migliore e più inclusiva”.

 

Raffaella Cagliano, vice Direttore della School of Management del Politecnico di Milano: “Questo riconoscimento rappresenta un importante traguardo e premia il lavoro svolto con impegno e passione negli ultimi anni. Questa certificazione si inserisce all’interno di una strategia di crescita sostenibile che la School of Management porta avanti da molto tempo, nella convinzione che sia questa la responsabilità principale di un’istituzione attiva nella ricerca e nella formazione di giovani professionisti e di manager come la nostra”.

 

Eric Ezechieli, co-founder di Nativa: “La collaborazione con il MIP Politecnico di Milano è stata molto proficua e siamo felici di aver accelerato il percorso di un’eccellenza italiana verso il raggiungimento della certificazione B Corp. L’impegno del MIP a favore delle persone, della società e dell’ambiente è un segnale molto forte per tutte le business school: l’inclusione dei paradigmi legati alla sostenibilità all’interno della visione aziendale rappresenta infatti una competenza fondamentale per i decision maker di domani”.

 

QS 2021 Business Masters Rankings: la School of Management del Politecnico di Milano è una delle migliori Business School al mondo

I corsi del MIP, la Graduate School of Business parte della School of Management, premiati nella classifica internazionale dedicata alla qualità di MBA e master specialistici, con il settimo posto del Master in Supply Chain Management. Ulteriore riconoscimento per la School of Management nei Financial Times Masters in Management 2020 Ranking, in cui si presenta come la terza Business School in Europa tra le Università Tecniche.

 

MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business è una delle migliori Business School al mondo secondo il QS 2021 Business Masters Rankings, la classifica riservata ai migliori MBA e master specialistici internazionali. In particolare, spicca il settimo posto del master in Supply Chain Management. Tra gli elementi che hanno contribuito al posizionamento nella parte alta della classifica, l’attenzione alle diversità, le probabilità di trovare un lavoro da parte degli studenti che hanno frequentato i propri corsi e il ritorno sugli investimenti.

 

L’edizione 2021 del QS Business Masters Rankings ha valutato la qualità dell’offerta didattica di 258 corsi in 158 istituti accademici di quaranta paesi in tutto il mondo. Oltre a employability, class and faculty diversity e return on investment, gli altri indicatori di riferimento sono rappresentati da thought leadership ed entrepreneurship and alumni outcomes. MIP Politecnico di Milano conferma il proprio posizionamento nella parte alta della classifica anche rispetto all’edizione 2020.

 

Per quanto riguarda la graduatoria internazionale dei singoli corsi proposti dalle Business School, si evidenziano anche le performance del master in Management (trentaseiesimo posto) e Finance (sessantottesimo posto).

 

Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean del MIP Politecnico di Milano: “Siamo orgogliosi di ricevere questi importanti riconoscimenti a pochi giorni dalla riapertura del nostro campus. Proseguiremo il nostro impegno per migliorare ulteriormente la qualità didattica della nostra offerta che non potrà prescindere da elementi caratterizzanti come l’attenzione alle diversità”.

 

La School of Management ottiene inoltre un altro prestigioso riconoscimento dal Financial Times, confermando la propria presenza nel Masters in Management 2020 Ranking. In particolare, la scuola si piazza al terzo posto in Europa tra le Università Tecniche che hanno una Business School o un Dipartimento di Management. La sua presenza in classifica si riafferma anche quest’anno, nonostante il ranking abbia subito una riduzione di 10 posizioni, selezionando quindi non più 100 ma 90 scuole di rilievo in questo ambito.

 

Alessandro Perego e Stefano Ronchi, rispettivamente Direttore della School of Management e Presidente del corso di laurea in Ingegneria Gestionale al Politecnico di Milano: “Con questo riconoscimento ci confermiamo tra i pochi Master in Management al mondo in grado di conciliare management, economia e  competenze tecnico-ingegneristiche in un unico percorso formativo. Questo ci permette di preparare figure manageriali capaci di guidare l’innovazione, sempre più a trazione tecnologica, con una forte attitudine al problem solving”.

 

Clicca qui per consultare il QS 2021 Business Masters Rankings completo 

Clicca qui per consultare il FT Masters in Management 2020 Ranking completo

MIP, EY, Sace: il tridente per affrontare le sfide dell’internazionalizzazione

Dalla Brexit alla pandemia, passando per le guerre commerciali e l’emergenza climatica: sono tanti gli elementi che hanno rivoluzionato le catene del valore globali su cui molte aziende basavano la propria organizzazione. Il cambiamento, però, apre nuovi spazi per le imprese italiane. Che, con le giuste strategie, possono cogliere nuove e importanti possibilità di crescita

 

Fino a pochi mesi fa, il modello economico di molte aziende si basava su catene del valore di scala globale. Le attività produttive erano dislocate in diversi continenti, secondo un principio di convenienza. La Brexit, le guerre commerciali, l’emergenza climatica e, dal 2020, la pandemia, potrebbero cambiare questo paradigma. «Il meccanismo è entrato in crisi», ci spiega il professor Stefano Elia, professore associato di International Business e direttore del programma di corsi brevi in Gestione dell’internazionalizzazione delle imprese presso il MIP Politecnico di Milano. «La risposta a questa battuta d’arresto può essere di due tipi: da una parte potremo assistere alla resilienza del modello attuale, dall’altra a una sua riconfigurazione». Questi sono i due scenari possibili.

 

Tra resilienza e cambiamento: un’opportunità per le imprese italiane

«Nel primo caso», spiega Elia, «assisteremmo a una crescente flessibilità del modello produttivo, accompagnata da una maggiore digitalizzazione. Inoltre, le aziende da una parte potrebbero concentrarsi su ambiti diventati improvvisamente strategici, come il chimico e il medicale; dall’altra, potrebbero puntare sui settori trainati dagli incentivi. Il secondo scenario presenta delle catene di produzione più corte. Si abbandona la scala globale, per riadattarsi a un orizzonte macroregionale. La stessa Unione Europea ha al suo interno una eterogeneità che permette di ridistribuire alcune attività, senza spostarle al di fuori del continente e, anche in questo caso, la digitalizzazione potrebbe giocare un ruolo importante nel favorire l’incremento della qualità sia dei prodotti che dei processi produttivi. Questo scenario presenta almeno tre vantaggi: si evitano guerre commerciali, si tengono a bada i venti nazional-sovranisti e si fa fronte all’emergenza climatica, visto che la catena produttiva diventa più circoscritta».

Ed è qui che potrebbero entrare in gioco le imprese italiane: «Ci sono gli spazi perché possano farsi valere in una competizione in cui diventa fondamentale la qualità, non solo nel b2b ma anche nel b2c. Si ritiene che gli Stati Uniti si riprenderanno in fretta, così come la Germania, la Cina, la Corea del Sud e il Vietnam. Sono quelli alcuni dei paesi a cui guardare, perché tra il 2021 e il 2022 il rimbalzo dei mercati è stimato tra il 5 e l’11%».

 

Verso l’internazionalizzazione: la necessità di una buona strategia

Un’occasione per cui bisogna farsi trovare pronti. «Le imprese hanno due alternative: o diversificano, o escono dai propri confini, andando incontro a una maggiore competizione, ma anche a maggiori opportunità di crescita. L’importante è che questo passaggio sia orientato da criteri di qualità». E con una buona strategia: «Prima di tutto bisogna comprendere l’attrattività del proprio prodotto e sulla base di questo capire quali sono i Paesi che potrebbero essere più interessati. Poi bisogna capire come presentarsi in questi Paesi, adattando la propria offerta alle specificità culturali e istituzionali, ma anche stabilendo se è il caso di entrare da soli o con dei partner. Infine, comprendere quali siano le modalità di finanziamento più adatte. Prestiti a fondo perduto, garanzie e assicurazione dei crediti, aspetti legali e fiscali: nulla va lasciato al caso».

 

MIP, EY e Sace: insieme per le competenze

I corsi brevi in Gestione dell’internazionalizzazione delle imprese del MIP si propongono di fornire gli strumenti per affrontare tutti questi ambiti. «I team che si occupano di internazionalizzazione devono avere una forte capacità di pianificazione strategica, di analisi, di gestione dei processi, ma anche capacità di adattamento e flessibilità, per correggere errori di valutazione o cogliere opportunità non previste. Da questo punto di vista», spiega Elia, «i corsi del MIP garantiscono una formazione che copre gli ambiti del business planning, del management e delle tecnologie digitali funzionali all’internazionalizzazione. La formula vincente sta però nel tridente MIP, EY, Sace: EY, nostro partner e tra le quattro più importanti imprese di advisory e revisione, completa le competenze manageriali offerte dal MIP con competenze di carattere tecnico e professionale, mettendo a disposizione tutto il suo know-how legale, fiscale, di risk management, oltre che dare accesso al suo network di consulenti e di imprese. Sace, l’Agenzia italiana per la promozione degli investimenti internazionali, fornisce una prospettiva di carattere istituzionale, mettendo a disposizione una serie di strumenti molto potenti per il supporto alle aziende in fase di internazionalizzazione ed è intenzionata a farli conoscere il più possibile alle imprese, affinché li utilizzino per cogliere le opportunità insite nello scenario attuale».

Premio per tesi di laurea con impatti sui Sustainable Development Goals

E’ aperto il bando per il premio “SOM per gli SDG: Tesi con impatti connessi ai Sustainable Development Goals.

La School of Management del Politecnico di Milano in tutti i suoi programmi sostiene le attività di apprendimento e ricerca coerenti con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile/ Sustainable Development Goals (SDG) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite promuovendo i principi di una gestione responsabile e sostenibile.

Possono essere presentate candidature per tesi o tesine che rappresentino un contributo per risolvere le sfide sociali del nostro tempo e individuare modelli di sviluppo sostenibile sul piano ambientale, economico e sociale (es. sviluppo di ricerche in ambito di progetti, prodotti o servizi alla persona per la promozione della salute e del benessere, parità di genere, sicurezza, protezione dell’ambiente, conservazione del patrimonio culturale, miglioramento delle condizioni di vita delle fasce deboli).

I premi sono destinati a laureati/e nel corso di Laurea Magistrale o Laurea Specialistica o V.O in Ingegneria Gestionale presso il Politecnico di Milano che abbiano conseguito il relativo titolo nel periodo Novembre 2019 – Ottobre 2020.

La scadenza del bando è il 9 ottobre 2020.

Per maggiori informazioni, si prega di consultare il bando disponibile alla pagina https://www.som.polimi.it/albo-e-bandi/

 

Best Paper Award assegnato a Claudia Colicchia da JSCM

Il prestigioso Journal of Supply Chain Management premia lo studio della nostra docente tra tutte le pubblicazioni del 2019.

 

Il paper “The Impact of Supplier Sustainability Risk on Shareholder Value“, scritto da Claudia Colicchia, School of Management Politecnico di Milano, Seongtae Kim, Aalto University School of Business, Stephan M. Wagner ETH Zurich, ha ricevuto il Best Paper Award del Journal of Supply Chain Management (JSCM) durante la conferenza annuale dell’Academy of Management. Il paper è stato scelto da JSCM tra tutti quelli pubblicati nell’anno 2019.

Claudia Colicchia è professoressa associata di Logistica e Supply Chain Management al Politecnico di Milano. I suoi interessi di ricerca includono la sostenibilità della supply chain, la gestione del rischio della supply chain, industria 4.0 e logistica 4.0, e analisi del Citation Network.

Il paper esamina l’entità delle conseguenze di quelli che vengono definiti rischi per la sostenibilità dei fornitori (SSR). Gli scandali economici come lo sfruttamento di manodopera ricevono una crescente attenzione nel campo della gestione dell’offerta. Eppure, poco si sa su quanto siano dannosi tali scandali per le aziende buyer. A tal fine, è stato condotto un event study, seguito da modelli di regressione basati su un campione di 196 SSR di società quotate in borsa degli Stati Uniti.

I risultati rivelano che gli SSR sono associati a una riduzione dell’1,00% della ricchezza degli azionisti. Il mercato reagisce negativamente, ma non in modo diverso, ai due tipi di SSR: rischi legati al processo e rischi legati al prodotto. Infine, il capitale morale di un’impresa gioca un ruolo attenuante per gli SSR e i rischi relativi al processo; tuttavia, non fornisce una protezione di tipo assicurativo per i rischi relativi ai prodotti.

Il Journal of Supply Chain Management è al suo 55° anno di pubblicazione. Ha compiuto rapidi progressi negli ultimi anni, come evidenziato da un quadruplicamento delle candidature dal 2007 e da un numero sempre crescente di invii spontanei di articoli di alta qualità. Più tangibilmente, JSCM si è classificata al primo o al secondo posto negli ultimi sette anni tra le riviste di supply chain e gestione delle operazioni, sulla base del suo Thomson-Reuters ISI Impact Factor, e ha ricevuto diversi Emerald Citations of Excellence Awards, che vengono assegnati ai 50 articoli più importanti e di maggiore impatto sui 15.000 articoli pubblicati nelle prime 300 riviste di management.

Per saperne di più:
Kim, S., Wagner, S.M. and Colicchia, C.
The Impact of Supplier Sustainability Risk on Shareholder Value
J Supply Chain Manag, 55: 71-87 (2020)
Lo studio online

Costruire la resilienza delle Infrastrutture Critiche transfrontaliere – Convegno internazionale del progetto SICt

“Costruire la resilienza delle Infrastrutture Critiche transfrontaliere: Learn global to act local”: è titolo del convegno internazionale del progetto SICt – Sicurezza delle Infrastrutture Critiche transfrontaliere che si terrà online nei giorni 1 e 2 ottobre 2020.

Il tema della sicurezza e resilienza delle infrastrutture critiche è al centro dell’attenzione di governi, forze economiche e mondo della ricerca sia a livello internazionale sia locale. La forte interdipendenza tra infrastrutture può generare impatti su diverse reti ed aree geografiche non contigue, e la conoscenza che si acquisisce studiando fenomeni globali può essere applicata in contesti locali, e viceversa. In questo scenario si colloca il progetto SICt – di cui il Dipartimento di Ingegneria Gestionale è partner scientifico – che ha come obiettivo lo sviluppo della cooperazione transfrontaliera, finalizzata all’individuazione di strategie per garantire la continuità delle reti di trasporto tra Italia e Svizzera.

Il convegno si articolerà in tre momenti. Nella prima mattinata si affronteranno vari aspetti legati agli avanzamenti del progetto SICt, mettendo a confronto gli stakeholder e i soggetti interessati. Nel pomeriggio saranno presentati e delineati due scenari di studio di interesse transfrontaliero, favorendo l’interazione tra i partecipanti.
Infine, la mattina di venerdì 2 ottobre sarà l’occasione per entrare in contatto con alcuni progetti internazionali che condivideranno le loro esperienze nell’ambito delle Infrastrutture Critiche.

Il Convegno è finanziato dal Programma di cooperazione Interreg V-A Italia-Svizzera 2014-2020, che si propone di generare significativi miglioramenti economici e sociali, mettendo a fattor comune le risorse di cui dispongono le aree di frontiera in una logica di rete.

Organizza e coordina i lavori del Convegno la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana – SUPSI, Istituto scienze della Terra.

Per maggiori informazioni e per iscriversi:
https://www.progetti.interreg-italiasvizzera.eu/it/b/78/aperteleiscrizionialconvegnointernazionalesictottobre/1?v=Nv&p=sictproject

Iscrizione online entro il 21.09.2020 tramite il seguente link:
www.supsi.ch/go/sict