Non è mai troppo tardi per rialzarsi, non è mai troppo presto per prepararsi

Sebbene non sia possibile prevedere la durata della pandemia Covid 19, è essenziale non lasciarsi assorbire totalmente dalla gravità dell’emergenza e iniziare a pensare alla più efficace strategia per affrontare la fase di recupero.

 

Paolo Trucco, PhD, Centre for Risk and Resilience Management of Complex Systems
School of Management, Politecnico di Milano

 

La brace sotto la cenere

Nel pieno sviluppo della pandemia, con i numeri di nuovi infetti e decessi che crescono ancora di ora in ora, nel nostro Paese come in altre parti d’Europa e del mondo, sembra fuori luogo pensare al dopo; soprattutto al dopo delle attività produttive. Ma una società, una comunità, per vivere ha bisogno di cure e ha bisogno di beni e servizi, che al momento non è pensabile di poter garantire fuori da un modello di economia di mercato.
Dopo due settimane di blocco produttivo decretato dal Governo per la maggior parte dei settori industriali, molte aziende hanno dovuto sospendere ogni attività o hanno trovato soluzioni temporanee per garantire un minimo di continuità operativa. Anche le aziende che rientrano tra i cosiddetti settori essenziali o strategici operano comunque in condizioni di emergenza e quindi con livelli di prestazione fortemente degradati. Se guardiamo al tipico profilo di un evento di disruption operativa (figura 1), tutti, per un motivo o per un altro, ci troviamo in questi giorni nella fase di massimo impatto. Non sappiamo precisamente quanto durerà e per quanto potremo reggerla. Tuttavia, se l’industria e l’intera società italiana vogliono avere un futuro è essenziale non lasciarsi assorbire totalmente dalla gravità dell’emergenza presente e iniziare a pensare alla più efficace strategia per affrontare la fase di recupero, affinché sia veloce e piena. Occorre tenere viva la brace sotto la cenere. Occorre prepararsi per cogliere i primi segnali e trasformare in valore ogni opportunità che potrà presentarsi.

Figura 1. Profilo temporale di una perturbazione operativa con diverse capacità di recupero
Cosa dobbiamo aspettarci?

In questo momento nessuno è in grado, in coscienza, di tracciare quale sarà lo scenario in cui avverrà una ripresa delle attività economiche; tuttavia, alcuni elementi fondamentali sembrano delinearsi con una certa chiarezza:

  • Una ripresa della domanda e dell’offerta avverrà in tempi significativamente diversi in diverse parti del mondo; anche le velocità saranno diverse: per motivi strutturali, per la severità e ampiezza della pandemia o per le decisioni dei governi locali. In breve sarà una ripresa geograficamente asincrona.
  • Ovunque ci saranno imponenti sforzi di stimolo da parte delle istituzioni nazionali e sovranazionali; non è detto che tali azioni saranno del tutto coordinate e coerenti tra loro. Assisteremo ad un periodo di allocazione sub-ottima delle risorse e non tutti ne trarranno beneficio allo stesso modo;
  • Le infrastrutture critiche di energia e trasporto saranno, per vastità e livello di interdipendenza, i sistemi che molto probabilmente più soffriranno della turbolenza creata dai due fattori precedenti; di conseguenza, supply chain globali e industrie energy-intensive potrebbero avere maggiori difficoltà nella ripartenza.
  • La specificità dell’evento ha creato al contempo uno shock di offerta (fermi produttivi) e uno shock di domanda (rapida contrazione dei consumi e blocco degli investimenti). Anche la fase di ripresa sarà contrassegnata dal dover gestire all’interno della supply chain la propagazione di due perturbazioni contrapposte: un ripple effect, da monte verso valle, per effetto del protrarsi di limiti nelle forniture, e un bullwhip effect, da valle verso monte, sotto l’azione di una domanda in ripresa ma ancora altamente incerta e volatile.
Farsi trovare pronti ai blocchi di (ri)partenza

In un precedente articolo sull’impatto del COVID-19 sulle supply chain globali (COVID-19: il “test acido” di resilienza delle supply chain globali) abbiamo già descritto le caratteristiche fondamentali delle supply chain resilienti: capacità di intercettare segnali deboli di cambiamento o anticipatori di shock, capacità di prepararsi anche per l’inatteso e di rispondere a situazioni di crisi in modo rapido e adattivo, riconfigurando processi e modalità operative. Guardando ora in dettaglio la gestione della fase di recupero che ci attende, alla luce del contesto nel quale avverrà, possiamo spingerci a identificare tre elementi di resilienza che giocheranno un ruolo chiave:

  • Visibilità. La fase di ripresa potrà essere gestita con successo solo grazie ad una visibilità end-to-end della supply chain, sia sulle capacità operative di fornitori e sub-fornitori sia sulla dinamica della domanda, in termini di ridistribuzione geografica e canali di vendita. Diversamente da ciò che avviene in regime normale, l’entità e modalità di risposta alla domanda emergente dovrà essere pianificata in funzione della effettiva capacità della filiera di fornitura, fino al raggiungimento di un nuovo stato di equilibrio strutturale.
  • Collaborazione. In condizioni di turbolenza ed emergenza, la trasparenza e stabilità delle relazioni paga molto di più di comportamenti tattici. Chi in questi anni ha saputo costruire relazioni collaborative con i propri fornitori e distributori si troverà in condizione di grande vantaggio. Anche la necessità di rimpiazzare fornitori che non hanno potuto superare il momento di crisi potrà essere utilizzata come opportunità lo sviluppo dei fornitori critici più dinamici.
  • Multicanalità. In condizioni di domanda volatile e in rapida riconfigurazione, la possibilità di utilizzare molteplici canali di vendita e fornitura consentirà maggior rapidità di recupero nel breve e, con ogni probabilità, la conquista di nuove quote di mercato nel medio lungo.
Azioni e strumenti utili per implementare una strategia resiliente

Qui di seguito proviamo allora ad elencare una serie di azioni pratiche, certamente incompleta, che possono aiutare a gestire in modo razionale tanto la situazione presente, per le aziende che hanno possibilità di operare, quanto il momento in cui la ripresa delle attività produttive sarà generalizzata:

  • Monitorare con continuità l’evoluzione della pandemia e delle misure attuate dai governi nei mercati di maggior interesse (Figura 2);
  • Segmentare gli ordini acquisiti per grado di completamento e raggiungibilità del cliente (stato misure controllo pandemia nel Paese di riferimento) e dare priorità agli ordini fatturabili;
  • Ricercare possibili configurazioni alternative per l’esecuzione degli ordini in alta priorità e non ancora avviati;
  • Rivalutare priorità degli ordini su base giornaliera con visibilità a 1-2 settimane (rolling);
  • Mappare lo stato dei fornitori critici (ovvero con massimo impatto sugli ordini prioritari), predisponendo un apposito questionario, per verificare condizioni di continuità operativa (in cui richiedere informazioni sulla business continuity dei sub-fornitori critici).
  • Incrociare la valutazione di business continuity dei fornitori (Figura 3) con la matrice mercati-ordini per identificare il dominio degli ordini fattibili;
  • Concordare piani di continuità operativa e priorità di allocazione capacità produttiva con fornitori critici e rischedulare i tempi di consegna su nuove priorità degli ordini;
  • Valutare opzioni alternative per fornitori critici in lockdown completo.
Figura 2. Esempio di matrice di segmentazione mercati-ordini in funzione delle condizioni di evoluzione della pandemia COVID-19

 

Figura 3. Esempio di matrice per gestire i rischi di Business Interruption (BI) dei fornitori

 

Non c’è da stupirsi se la velocità con cui siamo stati investiti dalla pandemia e il perdurare dell’incertezza, circa i tempi e i modi con cui sarà gestita dalle autorità, abbia lasciato i più spiazzati e sconcertati. E’ comunque questo il momento di rafforzare le capacità di valutazione e azione, facendo leva su competenze e capacità all’interno dell’azienda. Non è mai troppo tardi per rialzarsi. Non è mai troppo presto per prepararsi a quello che dovremo affrontare domani.

Smart Learning al tempo dell’emergenza Coronavirus … e oltre

Federico Frattini, Dean MIP Graduate School of Business

L’attuale emergenza provocata dal Coronavirus ha costretto scuole e università in Italia (ma è probabile che a breve anche altri Paesi si troveranno nella stessa situazione) a passare alla formazione online per garantire continuità ai loro programmi didattici. Alcune istituzioni sono più preparate alla transizione a causa di esperienze precedenti in questo ambito, altre invece si trovano a sperimentare per la prima volta questi nuovi approcci all’insegnamento in risposta all’attuale emergenza. In Italia si riscontra tuttavia un impegno forte e generalizzato in questa direzione, segno che i tempi per la formazione online sono maturi e che è possibile utilizzarla nel concreto.

La più grande sfida in questa transizione è riconoscere che la formazione online non è soltanto questione di usare una piattaforma digitale per insegnare la stessa lezione che si sarebbe tenuta in un contesto fisico. La formazione online richiede in realtà una profonda riorganizzazione dell’approccio didattico e l’utilizzo di diversi strumenti digitali per soddisfare diverse esigenze didattiche. In particolare è necessario riconoscere che in una classica lezione in presenza, il docente combina tre diversi strumenti didattici. Anzitutto occorre trasferire a ciascuno studente concetti, strumenti e nozioni (che potremmo definire nel complesso conoscenze) relative a una determinata disciplina. In secondo luogo, i professori devono incoraggiare gli studenti ad applicare queste conoscenze alla risoluzione di questioni pratiche, trasformando così le conoscenze in competenze. Infine, gli studenti devono socializzare queste competenze, coinvolgendole in discussioni sui punti salienti della lezione e avvicinandole alla loro esperienza personale. Naturalmente l’importanza di queste tre componenti varia a seconda del contesto didattico. Nei programmi post-laurea, l’applicazione delle conoscenze e la loro socializzazione sono di primaria importanza. A scuola invece è prioritario il trasferimento di concetti, nozioni e strumenti.

In un contesto online non è possibile unire e combinare queste tre componenti di una lezione fisica usando un singolo strumento digitale. Esse devono essere scorporate e insegnate usando metodi diversi e opportunamente progettati. Il modo migliore per trasferire conoscenze è l’utilizzo di materiali digitali di autoapprendimento asincrono, come video registrati dal professore o selezionati dalla vastissima offerta di materiali didattici disponibili sul web (per esempio le note piattaforme di MOOC come Coursera o EdX). Per l’applicazione di tali conoscenze a casi ed esempi reali è possibile organizzare sessioni online dal vivo con strumenti come Microsoft Teams, Google Hangout, Cisco WebEx, Slack, Zoom o piattaforme analoghe. Infine, la socializzazione delle competenze acquisite può essere supportata da strumenti di discussione sociale semisincroni adeguatamente moderati da professori o tutor. Soltanto con un’accurata progettazione di queste tre componenti costitutive di un’esperienza didattica efficace le scuole e le università riusciranno a trasferire la loro formazione online con risultati soddisfacenti.

Al MIP, la Graduate School of Business del Politecnico di Milano, questo approccio che utilizziamo già dal 2014 nei nostri master digitali e nei nostri programmi MBA prende il nome di smart learning. Si tratta di un settore in cui abbiamo ottenuto ottimi risultati: gli studenti che hanno preso parte a uno dei nostri programmi digitali dal 2014 sono più di 550 e il nostro International Flex MBA è stato inserito tra i dieci migliori master di tutto il mondo dalla recente classifica degli MBA online del Financial Times.

Il problema dello smart learning non è tecnologico. Gli strumenti digitali utilizzabili a questo scopo sono in larga parte disponibili gratuitamente o a costo molto ridotto (è interessante notare che in questa situazione di emergenza, i maggiori operatori citati stanno offrendo gratuitamente le licenze per le loro piattaforme). Non è nemmeno un problema di connessione internet. Quasi tutte le piattaforme di formazione online disponibili sul mercato infatti funzionano perfettamente anche sui dispositivi mobili, con una comune connessione 4G. Il problema chiave è di natura organizzativa. Strutturare un programma online efficace richiede esperienza e conoscenze in campi quali la progettazione didattica o la moderazione di discussioni online nonché la volontà e la capacità di insegnare ai professori a utilizzare questo nuovo approccio.

La mia speranza è che l’emergenza Coronavirus si lasci dietro una maggiore familiarità con lo smart learning e una migliore comprensione della sua importanza in quanto approccio flessibile e inclusivo all’insegnamento, con enormi possibilità di applicazione anche al di là della situazione di emergenza che stiamo vivendo in questo momento.

Lo Smart Working ai tempi del Coronavirus

Non solo un fatto di modernità, buone pratiche e conciliazione con il lavoratore: lo smart working per le imprese ora è una questione di sopravvivenza. 


Mariano Corso, Professore di Leadership e Innovation, Responsabile Scientifico degli Osservatori Smart Working e Cloud Transformation

 

Cos’è lo Smart Working e a che punto è in Italia

Lo Smart Working è una filosofia manageriale fondata sulla restituzione al lavoratore autonomia e flessibilità nello scegliere il luogo, l’orario di lavoro e gli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Troppo spesso lo Smart Working viene confuso con il concetto di telelavoro o viene ricondotto a politiche di welfare e conciliazione.
Il vero cambiamento che deriva dallo Smart Working è ben più profondo: si passa da un management orientato al presenzialismo e al controllo, ad uno orientato alla fiducia, alla collaborazione, alla flessibilità e alla delega.
Per realizzare un progetto di Smart Working le imprese devono agire su quattro leve: policy organizzative di flessibilità di orario e di luogo di lavoro; tecnologie digitali, che ampliano e rendono virtuale lo spazio di lavoro; layout fisico degli spazi di lavoro, che impatta sulle modalità di lavoro e può condizionare efficienza, efficacia e benessere; comportamenti e stili di leadership, legati sia alla cultura dei lavoratori e al loro modo di “vivere” il lavoro, sia all’approccio da parte dei capi all’esercizio dell’autorità e del controllo.
In Italia lo Smart Working ha dal 2017 un quadro normativo tra i più avanzati a livello internazionale [1] è ed è una pratica sempre più diffusa soprattutto nelle grandi organizzazioni: nel 2019 il 58% ha già introdotto un progetto strutturato e il 5% dichiara che lo introdurrà entro i prossimi 12 mesi.
Nelle PMI la diffusione delle iniziative di Smart Working è in crescita ed è pari al 12%; tra queste organizzazioni si continua a prediligere l’approccio informale, seguito nel 18% del campione.
Anche nelle PA inizia a crescere l’interesse verso lo Smart Working: i progetti strutturati sono raddoppiati rispetto allo scorso anno, passando dall’8% al 16%.
Cresce anche il numero degli smart worker [2]: le analisi effettuate su un panel statisticamente rappresentativo di lavoratori, ci portano oggi a stimare circa 570 mila [3] persone, il 20% in più rispetto allo scorso anno.

Perché tanta enfasi sullo Smart Working nel periodo dell’emergenza sanitaria?

L’emergenza Covid-19 ha posto lo Smart Working al centro dell’attenzione mediatica perché il lavoro da remoto è una misura che permette di rispettare le limitazioni dovute all’attuale emergenza sanitaria e, allo stesso tempo, permette di assicurare la continuità del business.
Quello che molte persone stanno iniziando ad applicare, tuttavia, non è il “vero” Smart Working, ma piuttosto una sperimentazione estrema e forzata di “lavoro da remoto” in cui il lavoratore non ha possibilità di scegliere il luogo in cui lavorare, bensì è di fatto vincolato a stare a casa. La preparazione di un vero Smart Working, inoltre, richiederebbe una trasformazione del modello manageriale e della cultura dell’organizzazione, una innovazione profonda del modo stesso di concepire il lavoro e la propria relazione con l’organizzazione. Seguendo i principi dello Smart Working, in particolare, i lavoratori dovrebbero essere spinti ad assumere una sempre maggiore autonomia nella scelta delle modalità di lavoro, sperimentando nuove soluzioni ed imparando a misurarsi sui risultati. Tale passaggio culturale non può però avvenire in tempi rapidi, come richiesto da questa emergenza, ma deve essere supportato da iniziative di comunicazione, formazione e accompagnamento delle persone.
L’emergenza Covid-19, tuttavia, ha rappresentato un preziosissimo test di robustezza e resilienza organizzativa. Le aziende e Pubbliche Amministrazioni che avevano già introdotto modelli di Smart Working, si sono trovate avvantaggiate, ed hanno assorbito con molta maggiore facilità la discontinuità, ritrovandosi in molti casi sorprendentemente pronte e resilienti. In tali organizzazioni, infatti, molte persone avevano già gli strumenti, le competenze e la cultura per lavorare in modo efficace fuori del contesto aziendale, inoltre erano già noti i passi da compiere per permettere anche ad altre persone di lavorare in modo efficace all’esterno della sede (es. quale dotazione tecnologia, che tipo di accessi, che contenuti formativi dare, …).
Tutte quelle aziende e PA che, viceversa, per resistenze di natura culturale e organizzativa avevano rifiutato questo cambiamento, si sono ritrovate tecnologicamente, culturalmente e managerialmente impreparate, scoprendosi fragili di fronte all’emergenza. Molte di queste, pur avendo attività concettualmente eseguibili da remoto, hanno forzato le persone a continuare lavorare dalla sede tradizionale, esponendole a notevoli rischi e disagi. Altre hanno scelto di fermare le attività, magari forzando le persone a prendere ferie o permessi o ricorrendo alla cassa integrazione. Moltissime, infine, hanno cercato di “improvvisare” lo Smart Working, chiedendo alle persone di lavorare da casa, pur senza averne la cultura, gli strumenti e le competenze.

Lo Smart Working dopo il Coronavirus: mai più senza!

Cosa possiamo imparare da questa grande sperimentazione di un nuovo modo di lavorare? Occorre sottolineare ancora una volta che quello che organizzazioni e persone stanno vivendo non è il “vero” Smart Working, ma un lavoro da remoto forzato ed estremo, che porta con sé anche alcune criticità tipiche del telelavoro: senso di isolamento, difficoltà a disconnettersi e a mantenere un equilibrio tra vita privata e professionale.
Pur al netto di questa inevitabile “forzatura”, organizzazioni e persone stanno facendo in poche settimane un percorso di apprendimento e crescita di consapevolezza che, in condizioni “normali”, avrebbe richiesto anni! Molte persone stanno imparando ad utilizzare strumenti di collaborazione innovativi, a relazionarsi e coordinarsi efficacemente in team dispersi, a mantenere relazioni informali positive attraverso una molteplicità di strumenti digitali. Molti manager e lavoratori, un tempo scettici nei confronti dell’applicazione dello Smart Working, si sono resi conto di quante attività, che avevano sempre assunto richiedessero la presenza in ufficio, possano essere fatte da remoto attraverso strumenti digitali, con una efficacia pari o superiore. In molti casi viceversa, ci siamo trovati ad apprezzare e rimpiangere ambienti e situazioni di ufficio che spesso superficialmente davamo per scontate.
Ci auguriamo quindi che questa emergenza duri poco, ma che al suo termine non si torni indietro. Ci auguriamo che aziende, Pubbliche Amministrazioni e la società nel suo insieme, colgano l’opportunità di rivedere alla luce di questa esperienza il modo di organizzare processi produttivi, spazi, modelli di vita e lavoro. Si potrà allora tornare utilizzare con ancora più forza e maturità lo Smart Working per affrontare le tante “emergenze quotidiane”: l’inquinamento, il traffico, le discriminazioni e, soprattutto, l’arretratezza di un mercato del lavoro di una cultura manageriale e di un’economia da rilanciare per il bene e lo sviluppo nostro Paese!

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[1] Si fa rifermento in particolare alla legge 81/2017 sul Lavoro Agile.

[2] Ai fini della rilevazione sono stati considerati smart worker tutti quei lavoratori dipendenti che hanno flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro e che sono dotati di strumenti digitali adatti a lavorare in mobilità, anche all’esterno delle sedi aziendali.

[3] Rilevazione condotta su un campione di 1.000 lavoratori. Per approfondimenti si veda la nota metodologica

Il Covid-19 cambierà il DNA del sistema Cina?


Giuliano Noci, Professore di Strategy & Marketing, Prorettore del Polo Territoriale Cinese del Politecnico di Milano

 

Nel fatidico 2020, anno in cui la Cina aveva fissato di raddoppiare il PIL rispetto al 2010, si trova ad essere causa di una pandemia e a dover fronteggiare una sfida economica e politica senza precedenti: il Covid-19 originato nella provincia dell’Hubei ha nella sostanza determinato un quasi blocco delle attività industriali e dei viaggi in tutta la Cina, causando pesanti ricadute negative per l’ex Impero di Mezzo e per il resto del mondo.

 

Cerchiamo di procedere con ordine evitando, in primis, di ricorrere a inutili analogie del passato. Non è infatti il caso di trarre ispirazione da quanto successo nel 2003 con la SARS: la Cina pesava allora per il 4% del PIL globale mentre oggi incide per oltre il 16% – 14 trilioni di dollari è il valore aggiunto generato oggi – ed è soprattutto molto più integrata con il resto del mondo – per via degli effetti della sua entrata nel WTO -.

In questo quadro, focalizzando l’attenzione sugli effetti interni, è ormai quasi scontato affermare che ben difficilmente la leadership di Pechino riuscirà a rispettare gli obiettivi di crescita fissati per il 2020 (+5,7% di crescita dell’economia domestica). In particolare, per quanto riguarda il primo trimestre, l’eventuale crescita economica sarà molto bassa; non vi è infatti stimolo (monetario o fiscale) in grado di far fronte ad una crisi di domanda e offerta come quella riscontrata nei primi due mesi del 2020. Basti pensare che la domanda di automobili – in quello che è il più grande mercato al mondo – è calata del 90%, si sono ridotti al minimo i viaggi all’interno della Cina proprio nel periodo del Capodanno Lunare – ovvero il periodo in cui è massima la propensione al consumo da parte della popolazione -, le transazioni immobiliari sono state sostanzialmente inesistenti e i siti di e-commerce hanno registrato cali negli acquisti di beni di lusso dal 40% all’80%. Sul fronte produttivo, per quasi un mese si è assistito ad un sostanziale fermo degli impianti e solo nell’ultima settimana di febbraio la produzione ha lentamente ripreso fino a raggiungere livelli ragionevoli – non ancora di pieno sfruttamento della capacità produttiva – nella prima decade di marzo.

Terminata l’emergenza, è lecito attendersi dal Politburo un piano di stimolo che però dovrà, a mio avviso, avere caratteristiche molto diverse rispetto all’imponente piano da oltre 500 miliardi di dollari messo in campo nel 2008. Non potrà infatti basarsi solo su investimenti pubblici (per lo più in infrastrutture) in quanto sarà necessario sostenere il reddito degli individui a causa dei possibili contraccolpi negativi in termini di occupazione; sarà opportuno dedicare grande attenzione al tema dei finanziamenti alle imprese: il debito complessivo cinese è infatti esploso dal 2008 e si attesta oggi al 310% del PIL; si dovrà puntare più sulla qualità che sulla quantità dello stimolo. Cerco di spiegarmi: avendo la Cina deciso di puntare sul New Normal – ovvero trasformare il sistema economico da workshop produttivo del mondo a hub di innovazione -, deve sfruttare questa (drammatica) situazione per varare misure coerenti con il nuovo orizzonte strategico di riferimento. In particolare, tra gli altri, è indispensabile lavorare per: (i) la riduzione della burocrazia che rappresenta un fardello opprimente sul sistema delle imprese – in queste settimane peraltro i vertici di Pechino hanno deciso di abolire la carta per molte pratiche in quanto veicolo di contagio -, (ii) il miglioramento del sistema sanitario nazionale, la cui inefficienza e costo sono causa di una moderata propensione al consumo da parte del cinese medio – in vista della necessità di sostenere autonomamente le spese per le cure in fase di età avanzata -, (iii) la piena valorizzazione delle tecnologie digitali per supportare il fondamentale processo di crescita delle competenze delle maestranze che rappresenta ingrediente fondamentale per l’affermazione di un sistema industriale in grado di creare più valore aggiunto rispetto al passato. La leadership di Pechino dovrà d’altro canto varare misure volte a contenere il probabile processo di re-shoring di parte delle attività produttive di player stranieri che, in nome di un obiettivo di una più oculata gestione delle strategie di sourcing, decideranno molto probabilmente di localizzare, almeno in parte, i siti produttivi precedentemente aperti in Cina in virtù di una logica basata su un criterio di mera efficienza delle politiche di approvvigionamento. Ed è una ed una sola la leva a disposizione del Politburo: liberalizzare ulteriormente, come auspicato dalla Camera di Commercio americana in Cina – le pratiche di business straniere e i diritti di gestione della proprietà intellettuale per quanto riguarda le aziende straniere.

Insomma, solo un vero cambio di passo rispetto al processo di riforma più volte annunciato, ma mai pienamente cavalcato, potrà permettere alla Cina di riprendere nel 2021 la lunga marcia intrapresa con la riforma Dengista nella prospettiva di diventare la prima potenza economica del Pianeta. Avendo ben a mente che la strada è ancora molto lunga e gli ostacoli possono essere del tutto imprevedibili, come l’emergenza attuale dimostra. Una strada che richiede un timoniere della lungimiranza di Deng; ed è qui che vedremo se il pensiero di Xi avrà la cifra non solo per essere inserito in Costituzione ma per traguardare l’ex Impero di Mezzo verso una posizione di leadership economica e tecnologica.

 

Coronavirus: raccolta fondi per gli Ospedali San paolo e San Carlo di Milano

Facciamo squadra, come comunità di studentesse e studenti, alumnae e alumni, personale docente e staff del MIP e della School of Management del Politecnico di Milano, per dare un contributo fattivo al preziosissimo lavoro del personale sanitario che ogni giorno lotta per curare chi è colpito dal virus Covid-19.

La Nostra Comunità è formata da più di 25,000 persone: insieme possiamo fare tanto!

Chiamiamo quindi a raccolta tutta la Nostra Comunità per aiutare gli Ospedali San Paolo e San Carlo di Milano ad attivare nuovi posti di terapia intensiva, essenziali per salvare vite umane, e per far fronte al grande fabbisogno di dispositivi di protezione mono-uso (mascherine, guanti, tute, …) che consentano al personale sanitario di operare in sicurezza.

Gli Ospedali San Paolo e San Carlo di Milano son parte del Sistema Sanitario Regionale pubblico della Regione Lombardia, e sono in primissima linea nell’affrontare questa emergenza sanitaria. Questa raccolta fondi è svolta in stretto coordinamento con la dirigenza e il personale sanitario degli Ospedali San Paolo e San Carlo. I fondi raccolti ogni giorno saranno direttamente e tempestivamente devoluti all’ospedale.

ANCHE UNA PICCOLA DONAZIONE PUÒ FARE LA DIFFERENZA: BASTA POCO, BASTA UN CLICK.

* Le donazioni fatte a iniziative dedicate a combattere l’attuale emergenza sanitaria sono fiscalmente detraibili al 30% per privati cittadini/e, al 100% per le imprese. Maggiori informazioni sono disponibili qui.

COVID-19: il “test acido” di resilienza delle supply chain globali

La pandemia Covid-19 è foriera di scenari imprevedibili e mai sperimentati. Ma la capacità di adattamento delle filiere industriali e un approccio proattivo possono fare la differenza.


Paolo Trucco, Professore di Industrial Risk Management

 

Nel suo Global Risk Report del 2018 il WEF (World Economic Forum) aveva già lanciato un chiaro segnale di attenzione: “Siamo oggi confidenti nella nostra capacità di gestione dei rischi convenzionali, che possono essere isolati in modo relativamente facile e gestiti con i tradizionali approcci di gestione del rischio. Ma siamo molto meno competenti quando si tratta di affrontare rischi complessi all’interno di sistemi interconnessi, quali quelli alla base delle nostre società moderne […]. Quando il rischio si propaga all’interno di un sistema complesso, l’effetto non è incrementale ma esponenziale, generando un “collasso repentino” o una brusca transizione verso un nuovo status quo non ottimale”[1] .
Il quadro che va delineandosi in queste settimane dovuto alla pandemia di coronavirus ha tutte le caratteristiche per essere un rischio di natura sistemica, con effetti prolungati nel tempo e da cui dovremo aspettarci una profonda e duratura trasformazione della società e del sistema economico. Sul piano industriale, molto dipenderà dalla capacità delle aziende di comprendere le dinamiche di evoluzione dello scenario globale e di adottare un approccio proattivo e adattivo. Sia nell’immediato, per rispondere efficacemente agli impatti sull’attività produttiva, sia nel lungo periodo, per adeguare i propri modelli di business al mutato contesto.

High Tech e Automotive: le supply chain globali ad oggi più colpite

Solo nella Provincia di Hubei, ancora oggi in stato di blocco sostanziale delle attività, si producono circa 2 milioni di autoveicoli all’anno, seconda solo per volumi all’area di Guangdong. Nei mesi di gennaio e febbraio 2020, più del 60% degli impianti di assemblaggio cinesi hanno subito dei fermi produttivi o sono stati comunque impattati dal dilatarsi della crisi. Marchi globali come General Motors, PSA, Renault, Honda hanno impianti propri o in JV nella zona, attraverso cui servono tutto il mercato asiatico. Tutti questi impianti hanno subito fermi produttivi per almeno 12 giorni ed ancora oggi operano a regimi ridotti.
La Cina è anche un importante esportatore di componenti di autoveicoli (33,5 miliardi di dollari nel 2019), soprattutto verso USA, EU e Giappone. I produttori nella provincia di Hubei sono tipicamente fornitori di secondo livello (Tier 2) che forniscono fornitori di primo livello (Tier-1) localizzati in altre zone della Cina, i quali a loro volta spediscono i propri prodotti in tutto il modo via mare.
L’intera industria automobilistica mondiale, che adotta modelli JIT molto aggressivi e quindi con scorte ridottissime, ha subito o subirà fermi produttivi in conseguenza della mancanza di componenti critici: FCA ha dovuto fermare alcuni dei suoi impianti in Europa; nelle atutali condizioni GM potrà operare negli USA solo fino alla fine di marzo.
Un terzo elemento infine è di fondamentale importanza per comprendere l’impatto della epidemia di coronavirus cinese sul settore automobilistico; è la rilevanza di quel mercato per la stabilità finanziaria e la redditività di molti marchi americani ed europei. Nel 2019 GM ha venduto più veicoli in Cina che negli Stati Uniti e le JV cinesi di Volkswagen hanno contribuito per il 26% all’EBIT di gruppo nel 2018.

Anche l’industria elettronica mondiale è fortemente dipendente dalla produzione cinese in molti segmenti dell’intera supply chain. Materiali critici quali le Terre Rare (REEs) sono estratti in grandissima quantità a Guangxi e l’intero settore ha già sperimentato nel 2010 gli effetti devastanti su volumi e costi di produzione di una drastica contrazione dell’export cinese di tali materiali. Importanti produttori di componenti, quali chips e circuiti stampati, sono invece presenti nella provincia di Hubei, ma in questo caso i processi altamente automatizzati hanno consentito di mitigare l’impatto favorendo una rapida ripresa della produzione. Aziende di assemblaggio finale, come Foxconn, sono prevalentemente localizzate nelle zone di Guangdong e Shanghai, oppure in altri paesi limitrofi. Le fasi di assemblaggio sono tipicamente ad alta intensità di manodopera e per questo motivo sono quelle che hanno subito le maggiori limitazioni, con impatti significativi su leader di mercato come Apple o Hewlett Packard, che negli anni recenti hanno concentrato gran parte della loro supply base in Cina.

Black swan e darwinismo industriale: vince chi cambia non chi resiste

La crisi globale che stiamo iniziando ad affrontare renderà ancora più evidente che in un mondo in rapido cambiamento e ad alta volatilità, la capacità di adattamento delle organizzazioni e delle filiere industriali è un fattore di successo imprescindibile. Le supply chain resilienti sono caratterizzate da capacità di intercettare segnali deboli di cambiamento o anticipatori di shock, di prepararsi anche per l’inatteso e di rispondere a situazioni di crisi in modo rapido e adattivo, riconfigurando processi e modalità operative. E’ attraverso un simile approccio proattivo e non reattivo che organizzazioni resilienti sono anche in grado di trasformare le minacce in opportunità: performando meglio dei propri diretti concorrenti o adottando soluzioni innovative che modificano strutturalmente il contesto competitivo post-emergenza.

Sia l’industria automobilistica sia quella high-tech hanno affrontato nell’ultimo decennio situazioni di crisi del tutto comparabili a quella attuale e ne hanno tratto importanti lezioni. L’evento più significativo è certamente la tripla catastrofe che ha colpito il Giappone nel marzo del 2011, in cui si sono concatenati il più forte terremoto negli ultimi 140 anni di storia del Paese, uno tsunami di ampiezza e portata devastante e il conseguente incidente nucleare. DELL figura tra certamente tra i giganti high-tech all’epoca più esposti, avendo nella zona più colpita larga parte dei subfornitori di componenti, da cui si rifornivano a loro volta le fabbriche di assemblaggio localizzate in Corea e Tailandia. Grazie al suo modello operativo MTO (Make-to Order) alimentato da canali di vendita unicamente on-line e supportato da relazioni molto forti con i fornitori, DELL è stata in grado governare con successo la crisi attraverso tre sostanziali azioni: gestione dinamica dell’offerta e spostamento della domanda su configurazioni di prodotto fattibili in base ai componenti disponibili; orchestrazione in loco dell’emergenza grazie a tecnici e buyer fisicamente dislocati in Corea e Tailandia; supporto tecnico e operativo ai fornitori, garantendosi così massima visibilità e coordinamento su tutti i livelli della supply chain. Non altrettanto sono stati in grado di fare i diretti competitor che hanno sofferto perdite sia di fatturato nel breve sia di importanti quote di mercato una volta rientrata la crisi.
Anche il settore automotive fu significativamente impattato dal “triple-disaster” che mise in ginocchio l’economia giapponese. Quando, qualche mese dopo, la stagione delle piogge portò ingenti allagamenti e devastazioni in Tailandia, protraendosi da luglio 2011 a gennaio dell’anno successivo, anche Nissan Motors si trovò a fronteggiare una seconda fase di emergenza. Mentre i tre maggiori produttori giapponesi registrarono perdite per più di 300 milioni di Euro, Nissan chiuse l’anno con il record di vendite e con un utile in crescita rispetto all’anno precedente.
Come si spiega una tale differenza di risultati a fronte delle stesse condizioni operative e di mercato? In quel frangente, Nissan diede certamente prova del valore del motto aziendale: “The power comes from inside”. Nei pochi mesi trascorsi tra marzo e luglio, Nissan fu in grado di mettere in atto tutte le lezioni apprese dal disastro in Giappone e le sfruttò al meglio per fronteggiare la nuova calamità: implementazione estesa e consistente di un sistema di Business Continuity Management (BCM) coordinato da un Global Disaster Control Headquarter; revisione delle strategie di sourcing e ridisegno della supply base fondate su un analisi di rischio a più livelli; intenso scambio di informazioni e coordinamento con fornitori e sub-fornitori; revisione dei piani di produzione per sfruttare le finestre produttive dei fornitori in funzione delle politiche di “rolling blackout” messe in atto dal gestore tailandese.

Se da un lato quindi l’epidemia di coronavirus cinese non può essere catalogata come un cigno nero (black swan) è altrettanto plausibile che la sua trasformazione in pandemia mondiale, come decretato nella prima settimana di marzo da parte dell’OMS, sia foriera di scenari imprevedibili e mai sperimentati. Ad esempio, l’estensione dei blocchi produttivi nel nord Italia sulla scia di quanto accaduto finora nel lodigiano rappresenterebbe un durissimo colpo per l’intero settore automotive europeo.

Quello che ci aspetta oltre l’emergenza: minacce e opportunità

La risposta iniziale alla diffusione del virus da parte del governo cinese, a livello centrale e locale, è stata drastica: chiusura totale di fabbriche e aziende e sostanziale divieto di movimento alle persone. Ora, nel momento in cui emergono importanti progressi nel contenimento del virus in diverse aree del Paese, il governo centrale ha lanciato un’aggressiva campagna di “ritorno al lavoro“. Ciò include il sostegno finanziario e le forniture mediche alle aziende che ripartono, nonché ingenti sforzi per ristabilire l’operatività delle infrastrutture e dei servizi essenziali. I governi locali stanno inoltre agendo in modo sinergico con azioni differenziate e specifiche per città e province. Solo la provincia di Hubei è ancora oggetto di importanti azioni di contenimento.

Tuttavia l’economia cinese in ripartenza è significativamente diversa da quella pre-coronavirus: non solo perché molte imprese non hanno retto l’urto e sono fallite, come ad esempio nel settore delle costruzioni, ma anche e soprattutto perché in molti settori il coronavirus ha portato a profonde ristrutturazioni operative e innovazioni nei modelli di business. Un esempio su tutti è l’imponente incremento di capacità del settore medicale, che potrà d’ora in avanti giocare a tutti gli effetti un ruolo da player mondiale. Nel settore abbigliamento e personal care è radicalmente mutato il mix dei canali di vendita; l’uso massiccio di canali B2C e B2B nel periodo emergenziale ha modificato in modo permanente l’assetto di intere supply chain, con effetti di lungo periodo solo per il momento limitati al mercato cinese.
Tutto questo mentre il resto dei Paesi avanzati si sta preparando ad affrontare i picchi di contagio che si abbatteranno in modo sincronizzato in Europa e negli USA. La domanda chiave è allora: cosa succederà quando nella primavera avanzata la Cina si troverà ad essere l’unico Paese industrializzato con una capacità industriale pienamente operativa, profondamente innovata e con una domanda interna in rapida ripresa?
Difficile fare previsioni su scala globale o anche solo nazionale. Quello che è certo è che in occidente come in Cina sopravviveranno e troveranno nuove opportunità di crescita solo le filiere che avendo abbandonato la sindrome dell’ “ultimo giapponese” (resistere), saranno state in grado di adattarsi ai cambiamenti innovando processi e modelli di business.

Personalizzazione e digital learning: l’Mba Full Time si rinnova

Contenuti aggiornati e una nuova strutturazione dell’offerta didattica. Arrivano le concentrations, quattro specializzazioni in ambiti di eccellenza. E continua l’innovazione dell’erogazione dei contenuti: il learning è sempre più digital

 

Dal 2020 l’MBA Full Time del MIP Politecnico di Milano cambia forma. Si evolve, per rispondere alle esigenze delle aziende e ai trend in continuo sviluppo, conservando ovviamente la mission di un master in business administration: offrire una comprensione manageriale a 360° sul funzionamento di un’azienda. «Ci rivolgiamo sempre a quelle persone che hanno tra i tre e i sette anni di esperienza lavorativa e che vogliono dare un boost alla propria carriera», racconta Antonella Moretto, Direttore dell’area Mba & Emba. «A cambiare è la strutturazione dell’offerta didattica. A una parte core, strutturata su dei pillar tematici tradizionali, si aggiunge un percorso fortemente personalizzato, che si declina in quattro specializzazioni denominate concentrations».

Quattro pillar per delle basi solide

«A queste, però, si arriva solo dopo una prima fase in cui vengono poste delle solide basi teoriche», chiarisce Moretto. «È un’esperienza totalizzante, che prevede tra gli otto e i nove mesi di impegno e che garantisce una grande accelerazione di carriera a chi, entro quattro o cinque anni, si vede in un ruolo manageriale importante. A conclusione del percorso è prevista un’internship. Vale la pena poi ricordare che l’anno scorso, al momento della graduation, il 90% dei nostri iscritti aveva già trovato un nuovo impiego». La prima fase formativa, come detto, è quella dei quattro pillar: «Nell’ordine, si tratta di: analisi dell’impresa e del contesto; gestione delle attività e dei processi; pianificazione dell’innovazione e della trasformazione; e, infine, realizzazione di queste ultime». Quest’ultimo aspetto è importantissimo nella visione del Mip: «Formare dei manager che comprendano il funzionamento complessivo di un’azienda è ovviamente il nostro obiettivo, ma non ci basta. Qui al Mip cerchiamo di selezionare candidati che dimostrino una spiccata indole da innovatori, che vogliano farsi agenti del cambiamento».

Concentrations: bootcamp intensivi a contatto con le aziende

È a questo punto che entrano in gioco le concentrations, le specializzazioni. «La personalizzazione del percorso didattico è uno dei grandi punti di forza di questo Mba. Ci sono delle track tematiche che prevedono centinaia di ore di attività a scelta, e i mesi delle concentrations prevedono dei bootcamp intensivi su uno di questi temi, a scelta: Global management and sustainability, Big Data and Digital Transformation, Innovation and entrepreneurship e Luxury and design management. I bootcamp sono stati disegnati ad hoc insieme alle imprese partner, allo scopo di sviluppare nuove competenze, ma anche per lavorare e mettere in pratica questi aspetti. L’impostazione fattuale, quindi, in questa fase emerge in maniera nettissima», spiega Moretto, «ma se nel 2020 c’è un’altra novità, è che anche durante le lezioni core, e cioè durante i momenti più teorici, la quota delle attività pratiche arriva al 50%. Il resto è costituito da quella che definiamo experiential gym, un insieme di attività che includono presentazioni aziendali svolte da manager, challenge e casi di studio, simulazioni, company visits, workshop di career development».

Con il digital learning il campus diventa diffuso

Anche la parte didattica più tradizionale sarà però, a suo modo, innovativa. «Quando parliamo di lezioni frontali, e cioè in aula, non ci stiamo riferendo alle lezioni classiche. Le nozioni di base, infatti, sono erogate per via digitale. Gli studenti possono prepararsi prima, in vista dell’attività in aula, votata all’approfondimento. E anche parte delle lezioni frontali sono fruibili a distanza. Ci piace definire questa modalità “campus diffuso”. Inoltre, grazie alle nostre piattaforme digitali sarà possibile fruire di contributi di eccellenza provenienti da altre università. Una serie di opportunità che vanno a definire una esperienza di digital learning altamente personalizzata, flessibile e in linea con le esigenze degli studenti», conclude Moretto.

#MIP4School: Come gestire la didattica digitale

Tips dai Direttori del master MIDIS

Le potenzialità e i benefici del digital learning e dello smart learning sono da anni al centro dell’evoluzione didattica del MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business.

Nell’ambito delle attività formative rivolte alle Istituzioni e alle Pubbliche Amministrazioni, negli anni ci siamo specializzati nella progettazione, gestione e realizzazione della didattica online all’interno delle scuole.

Abbiamo, infatti, conosciuto e lavorato con docenti e dirigenti scolastici anche all’interno dei nostri programmi, come nel caso del Master in Management dell’Innovazione Digitale nelle Istituzioni Scolastiche (MIDIS) che si rivolge a professionisti interessati al tema dell’introduzione della digitalizzazione nei processi didattici e organizzativi delle scuole.

L’esperienza maturata, dunque, ci permette, in questo periodo di emergenza, non solo di supportare il regolare svolgimento delle attività didattiche, ma anche di mettere il nostro know-how in materia di didattica online a disposizione dei nostri colleghi e del personale delle istituzioni scolastiche (dirigenti e docenti), che in questi giorni si trovano a dover raccogliere, in fretta, la sfida del digitale.

A tal fine, vogliamo dare a tutti la possibilità di informarsi e aggiornarsi sul tema della digitalizzazione nelle scuole, attraverso la condivisione di alcune brevi indicazioni e consigli sull’adozione di un approccio di smart learning, forniti dal MIP in collaborazione con il Master Online in tecnologie per la didattica (DOL), ma soprattutto offrendo la possibilità di partecipare a un webinar sull’argomento, in cui rispondere a dubbi e curiosità.

Di seguito sono disponibili una serie di brevi video, realizzati dai Direttori del Master MIDIS, allo scopo di fornire spunti di riflessione in merito alla gestione della didattica online. Oltre a tali contributi video, è possibile scaricare alcuni materiali (presentazioni powerpoint) che approfondiscono i suggerimenti forniti.

 

    

WEBINAR

Mercoledì 18 marzo si è tenuto il primo webinar durante il quale i professori Tommaso Agasisti e Nicoletta Di Blas hanno risposto a 10 tra le domande raccolte tra i partecipanti in fase di registrazione.

 

LETTURE, AUDIO E VIDEO CONSIGLIATI PER L’APPROFONDIMENTO

Making remote learning effective and engaging with Microsoft Education resources

Politeaching: da prof a prof!

Best Practices for Teaching Online

I VIAGGI DI RADIO 24 – Cornavirus, la scuola non si ferma ma si rinnova

Has online learning really disrupted K–12 education in the US? The answer is yes — and no

Da OrizzonteScuola, alcuni suggerimenti sulla didattica a distanza

 

ESPERIENZE DI DIGITAL LEARNING

Testimonianza dell’Istituto Comprensivo Giuseppe Ungaretti di Melzo

Da OrizzonteScuola, l’esperienza di alcuni Istituti Scolastici

 

INIZIATIVE DEGNE DI NOTA

Webinar offerti da Fondazione per la Scuola, nell’ambito del progetto Riconnessioni

Webinar sulla didattica a distanza promossi da INDIRE

Materiale messo a disposizione da Rai Cultura nell’ambito del progetto Scuola@casa 

Raccolta di strumenti e metodologie per la didattica a distanza

Modelli di sfide online per il coinvolgimento degli studenti 

 

LINK  STRUMENTI OPERATIVI

Da Save the Children, indicazioni di strumenti per la didattica digitale

MOOC del Politecnico di Milano: “Progettare l’innovazione didattica”

MOOC del Politecnico di Milano: “Using Open Educational Resources in Teaching”

MOOC del Politecnico di Milano: “e-collaboration a scuola e non”

Didattica digitale. 5 esempi semplici (ma efficaci) da usare subito

Scuola digitale, soluzioni per gestire l’emergenza

Coronavirus, la didattica a distanza

App per prof

 

Per ulteriori approfondimenti sulla formazione in aula disponibile al MIP, ti invitiamo a consultare le brochure dei Master in Management dell’Innovazione Digitale nelle Istituzioni Scolastiche (MIDIS) e in Management delle Istituzioni Scolastiche e Formative (MES) .

Resta aggiornato sulle iniziative di #MIP4School

Riorganizzazione della didattica: la parola alla faculty

La recente situazione ha determinato un cambiamento anche nella pianificazione dei corsi del MIP: tutte le lezioni sono state spostate online. Quattro docenti raccontano le loro impressioni

Al MIP i corsi si sono fermati solo un giorno. Poi la tempestiva riorganizzazione della didattica ha garantito la normale prosecuzione delle lezioni, seppur nella versione online anche per corsi inizialmente previsti in aula. In estrema sintesi, sono state particolarmente apprezzate la professionalità e l’efficienza dimostrata dalla scuola, nonché il rispetto per studenti e docenti intuendo il disagio che la sospensione dei corsi avrebbe comportato.
«Le lezioni sono state spostate online per mantenere la continuità didattica ed evitare la perdita di contenuti o eventuali posticipi nel raggiungimento dei diplomi, con l’obiettivo di assicurare gli stessi standard qualitativi» racconta Antonella Moretto, Associate Dean for Open Programs al Mip. «I sei anni di esperienza nell’ambito digitale hanno permesso alla nostra faculty di adattarsi in tempi brevissimi alle esigenze di spostamento di tutte le lezioni online, e di ridisegnarle in modo da non limitare le opportunità di interazione con gli studenti. Una modalità didattica che si è rivelata efficace proprio per la capacità di stimolare e coinvolgere l’aula, talvolta superiore a quella che si riesce ad avere nelle lezioni face-to-face». Merito anche di docenti che si sono dimostrati pronti e reattivi al cambiamento.

La didattica va online e non smette di essere interattiva

Filippo Satolli ha sperimentato il 27 febbraio questa modalità “inedita” con una lezione sul Mobile Marketing, all’interno del Master internazionale in Marketing Management, Omnichannel and Consumer Analytics, che prevedeva tre ore di teoria e altrettante dedicate alla realizzazione e alla discussione di diversi project work da parte degli studenti. Un’aula di 28 studenti «che mi ha dato molte soddisfazioni, perché nonostante l’assenza dell’empatia propria delle lezioni in presenza, è riuscita ad essere molto partecipativa e interessata» racconta.
Se rompere il ghiaccio iniziale è stato uno dei momenti più delicati, riuscire a trovare la chiave per tenere viva l’attenzione degli studenti ha ripagato ampiamente gli sforzi. Ne è convinta Paola Bellis, che ha moderato due lezioni online di Project Management, sia teoriche che pratiche, all’interno del Master in Business Analytics e Big Data: «Nonostante qualche piccola difficoltà iniziale, credo che l’interazione attraverso lo schermo abbia in alcuni casi messo a proprio agio gli studenti». Una sensazione confermata da Daniel Trabucchi, anch’esso coinvolto nel corso di Project Management: «Una volta presa confidenza con lo strumento, la possibilità di scrivere oltre che di interagire verbalmente ha abbattuto la barriera della timidezza e la paura di dover intervenire in aula mettendo mano al microfono. Mi ha colpito molto, inoltre, il clima di supporto tra gli studenti che hanno iniziato a interagire mettendosi subito dei “like” alle rispettive osservazioni».

Dopo la teoria, la pratica. E la missione può dirsi compiuta

Quando propedeutico alla lezione, gli studenti sono stati suddivisi in gruppi di lavoro per realizzare dei project work. Attraverso un’apposita piattaforma, sono state quindi attivate diverse stanze virtuali in cui poter dibattere e confrontarsi sullo svolgimento del progetto.
Tutti i docenti concordano su un punto: il lavoro in team è stata la parte più complicata da gestire, sia per loro che per gli studenti. «Era difficile, ma non impossibile, completare il progetto per tempo date le difficoltà di coordinarsi a distanza. Infatti i ragazzi ci sono riusciti brillantemente» afferma Filippo Satolli. «Alla fine anche la parte pratica ha funzionato, e la missione può considerarsi compiuta» conferma Paola Bellis. «È un’esperienza che ripeterei perché molto formativa, sia per noi sia per gli studenti». «Sono solito tenere lezioni in modalità digitale, ma in questo caso avevo di fronte studenti abituati alle canoniche lezioni in aula che non avevano scelto la didattica online» racconta Daniel Trabucchi. «Per loro era la prima volta e hanno reagito nel migliore dei modi, perché sono riusciti a offrirmi tantissimi spunti di riflessione. I feedback ricevuti mi hanno dato modo di ripensare le lezioni in un modo che credo, e spero, possa essere ancora più coinvolgente e apprezzato».

Il Politecnico di Milano si aggiudica la vittoria italiana della CFA Research Challenge 2020

Con l’analisi finanziaria di Ferrari, gli studenti del Politecnico di Milano battono l’Università Cattolica di Milano e l’Università Politecnica delle Marche e si preparano alla regionale EMEA. La finale globale si terrà il prossimo 22 aprile

 

Il Politecnico di Milano vince la finale italiana della CFA Research Challenge 2020, competizione mondiale di finanza targata CFA Institute e promossa nel nostro Paese da FactSet, Fidelity International, Kaplan Schweser e PwC Italia.
L’evento si è svolto in remoto giovedì 5 marzo, a seguito delle disposizioni emanate dal Ministero della Salute d’intesa con il presidente della Regione Lombardia, e ha visto il coinvolgimento di nove atenei, 43 studenti e oltre 30 professionisti. Alla fase italiana, coordinata da CFA Society Italy, hanno partecipato i team rappresentanti le seguenti università: Università Cattolica di Milano, SDA Bocconi, Politecnico di Milano, Ca’ Foscari di Venezia, Università Carlo Cattaneo LIUC, Libera Università di Bolzano, Università di Pavia, Università Politecnica delle Marche e Università di Napoli Federico II.

Gli studenti Marco Aurélio De Oliveira Jesus, Luca Marconi, Matteo Muzio, Giovanni Pintus e Beatrice Sartori, sotto la guida dei docenti Marco Giorgino e Laura Grassi e del mentor CFA Alberto Mari, hanno presentato il loro studio su Ferrari a una giuria di sei esperti del settore finanziario: Christian Alessandrini (PwC Italia), Alberto Chiandetti, CFA (Fidelity International), Gabriele Montalbetti, CFA, CIPM (Consultinvest), Marco Greco (Value Track), Pinuccia Parini (Family Strategy), Carla Scarano (Anima SGR). Il secondo e terzo posto sono stati assegnati rispettivamente all’Università Cattolica di Milano e all’Università Politecnica delle Marche.

Il Politecnico di Milano proseguirà direttamente per la finale regionale EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa), che si terrà il prossimo 1 e 2 aprile 2020. A testimonianza dell’elevata qualità dei nostri studenti e dei professionisti che li seguono, già nel 2016, 2014 e 2011 l’Italia si è aggiudicata la finale regionale EMEA.
La finale mondiale, invece, si disputerà il 22 aprile 2020, mettendo a confronto i vincitori di EMEA, America e Asia Pacifico.

Siamo davvero felici del risultato ottenuto, che ripaga ogni singolo sforzo fatto durante questi 4 mesi. Il lavoro di squadra e l’esperienza acquisita sono, insieme alla vittoria, il premio più grande”. Queste le prime parole espresse dal team vincitore del Politecnico di Milano. “Ci teniamo a ringraziare CFA Society Italy per l’organizzazione della challenge e in particolare il dott. Quarto di Palo, il team di Investor Relations di Ferrari per il supporto e la disponibilità, il nostro stimatissimo mentor CFA, Alberto Mari, che ci ha dedicato tempo, energie e sopratutto non ha mai smesso di credere in noi, il prof. Marco Giorgino e la prof.ssa Laura Grassi del Politecnico di Milano per averci concesso l’opportunità di partecipare a questa fantastica esperienza”.

Quest’anno la società era sicuramente molto sfidante, un simbolo del nostro Paese. Siamo molto felici che il lavoro dei nostri ragazzi sia stato apprezzato dai giudici”. Hanno commentato Marco Giorgino e Laura Grassi, rispettivamente docenti di Financial Markets and Institutions e Investment Banking del Politecnico di Milano. “Essere i campioni in carica e vincere le finali italiane ormai da molti anni genera un po’ di pressione e aspettativa, ma questo induce gli studenti a dare il meglio. Ora però una nuova sfida ci aspetta e l’obiettivo sarà rappresentare con orgoglio la nostra Scuola di Ingegneria Gestionale e il Politecnico di Milano a livello EMEA”.

CFA Society Italy, nella sua attività pluriennale, ha costruito un’intensa relazione con le università italiane per promuovere i principi di integrità ed eccellenza professionale presso le giovani generazioni”. Ha affermato Giuseppe Quarto di Palo, CFA, Direttore CFA Society Italy e coordinatore della CFA Research Challenge in Italia “Siamo felici di poter offrire alle università e ai loro talenti l’opportunità di misurarsi in una competizione realistica, volta a riprodurre l’esperienza di un ufficio di ricerca di società di gestione o di case di investimento. Ai migliori studenti offriamo, inoltre, borse di studio per accedere al Programma CFA, al fine di ottenere una certificazione globalmente riconosciuta nel settore finanziario”.
Questa iniziativa consente di raggiungere alcuni obiettivi importanti nel mondo della formazione e delle accademie. Innanzitutto, avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, combinando le conoscenze accademiche con le tecniche e gli strumenti utilizzati dai professionisti del settore finanziario. Il secondo obiettivo è quello di dare risalto alle nostre eccellenze universitarie italiane a livello europeo e mondiale”. Ha commentato Giancarlo Sandrin, CFA, presidente, CFA Society Italy. “Questo progetto non potrebbe esistere senza il prezioso contributo dei volontari dell’associazione e dei partner che hanno sostenuto l’iniziativa FactSet, Fidelity International, Kaplan Schweser, PwC Italia e Ferrari, la società di Maranello oggetto di ricerca da parte degli studenti”.

FactSet è estremamente lieta di aver supportato per il quinto anno consecutivo la CFA Research
Challenge in Italia offrendo la nostra piattaforma analitica a studenti, professori e mentor”. Ha
dichiarato Dorin Agache, Account Manager & Academic Sales FactSet. “Uno dei nostri principali obiettivi è colmare il gap tra l’università e il mondo del lavoro consentendo a tutti i partecipanti di utilizzare gli strumenti e i dati di mercato necessari per simulare appieno la professione di analista finanziario. I più cari complimenti al Politecnico di Milano che proseguirà la competizione verso la conquista del titolo EMEA e anche a tutti gli altri atenei che investono tempo e risorse per sviluppare la qualità della didattica e credono nel valore di crescita di questa straordinaria iniziativa organizzata da CFA Institute“.