Nuovo valore alle materie umanistiche nella consulenza

Bip – Business Integration Partners, in collaborazione con MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business, ha sviluppato la seconda edizione del BipBootcamp, un programma intensivo di Business & Management Induction rivolto a laureandi e neolaureati che desiderano intraprendere una carriera nel Management Consulting pur non avendo intrapreso un percorso di studi STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

Forte del successo della prima edizione, frequentata da 12 meritevoli studenti che al termine dello stage formativo hanno ottenuto un contratto a tempo indeterminato nella multinazionale di consulenza, BipBootcamp punta anche quest’anno sulla qualità del programma formativo offerto grazie alla ormai consolidata collaborazione con il MIP.

Il percorso prevede l’utilizzo della metodologia Smart Learning, basata sul Digital Learning (formazione digitale, accesso alla piattaforma da qualsiasi device, test sulla comprensione di contenuto e Tutorship del MIP) e sull’Experiental Learning (giornate di formazione intensiva, testimonianze di esperti, casi studio, esercitazioni pratiche e lavori di gruppo), con l’obiettivo di massimizzare l’efficacia della formazione e di rendere i partecipanti pronti ad affrontare le sfide della consulenza.
Anche in questa edizione tutti gli studenti avranno l’opportunità di mettere alla prova il proprio bagaglio di conoscenze e skills acquisite durante il Bootcamp attraverso uno stage formativo retribuito in Bip.

“Fin dalla prima edizione, il BipBootcamp si è rivelato per noi un’ottima opportunità per contribuire alla formazione dei nostri migliori talenti e per riuscire a colmare il gap tecnico, portando creatività e pensiero laterale ai nostri team di lavoro- commenta Carlo Capè, Amministratore Delegato di Bip- Grazie anche all’unione tra il valore delle competenze specialistiche fornite dal MIP e la profonda conoscenza del mondo aziendale di Bip, gli studenti hanno una importante opportunità di acquisire gli strumenti operativi indispensabili nel mondo del lavoro”.

Il percorso, della durata di 5 settimane, avrà inizio il 13 settembre 2019.
Per maggiori informazioni visita https://bipbootcamp.it/.

Sostenibile, autonoma e condivisa. Ecco la mobilità del futuro

Nuove forme di propulsione, sharing economy, sostenibilità ambientale. Sono i percorsi che si intrecciano lungo la strada che porta alla mobilità del futuro. Una rivoluzione che riguarda da una parte la natura tecnologica dei mezzi di trasporto e, dall’altra, il rapporto che gli utenti hanno con i veicoli. Lo conferma Simone Franzò, ricercatore presso la School of Management del Politecnico di Milano e Direttore dell’Executive Master in Management presso il MIP: «Uno dei principali macrotrend che sta ridisegnando la mobilità è l’elettrificazione, ossia il passaggio dai tradizionali motori a combustione interna alimentati tipicamente a benzina o diesel ai motori elettrici. Senza dimenticare altri “combustibili” emergenti, come ad esempio l’idrogeno, che nel prossimo futuro potranno giocare un ruolo significativo. L’altro grande tema è la cosiddetta guida autonoma: veicoli in grado di svolgere, in toto o in parte, le attività di un normale guidatore, un ambito che promette di rivoluzionare l’esperienza stessa della guida e, più in generale, della fruizione di un veicolo».

Ma i cambiamenti sono anche di natura sociale: «Come in moltissimi altri ambiti, la sharing economy sta prendendo sempre più piede anche nella mobilità – prosegue Simone Franzò –, favorita da un’evidenza molto chiara: un veicolo di proprietà viene utilizzato mediamente per il 5% della sua vita utile, mentre per il restante 95% del tempo rimane inutilizzato. Superando il concetto di proprietà, la sharing economy permette di valorizzare maggiormente l’asset-veicolo. E questo non vale solo per l’automobile, ma anche per altri mezzi come biciclette, scooter e monopattini».

Un secondo esempio di sharing, applicato alla mobilità elettrica, fa rifermento al concetto di vehicle-to-grid (V2G) o, nella sua accezione più ampia, di vehicle-to-everything (V2X): in questo caso a essere condiviso non è il mezzo di trasporto, ma la sua fonte di energia. «Un veicolo elettrico può condividere il suo asset fondamentale, ossia la batteria, con la rete elettrica, oppure con utenze energetiche quali un appartamento o un edificio. Nel primo caso, le auto elettriche potranno mitigare le criticità della rete elettrica scambiando energia con la rete in maniera bi-direzionale, in funzione delle esigenze della rete stessa; nel secondo caso, esse permetterebbero di alimentare le utenze in caso di deficit della rete».

In generale, il tema della sostenibilità ambientale dei veicoli elettrici – che rappresenta uno dei principali driver per la diffusione della mobilità elettrica – è ampiamente dibattuto, e per certi versi ancora sotto la lente di ingrandimento, come conferma Franzò: «Numerosi studi mostrano che la fonte con cui è prodotta l’energia elettrica che alimenta le batterie impatta significativamente sul livello di emissioni dei veicoli e, quindi, sulla loro sostenibilità. Il percorso di decarbonizzazione della produzione di energia intrapreso a livello nazionale avrà un effetto positivo a tal proposito».

Al momento la diffusione dei veicoli elettrici è ancora piuttosto limitata in Italia e strettamente connessa alla parallela diffusione di un’idonea infrastruttura di ricarica. Se in ambito urbano, e quindi per tragitti brevi, le alternative non mancano, è sulle lunghe distanze che l’elettrico mostra ancora i suoi limiti: «A oggi il numero di punti di ricarica in Italia è ampiamente inferiore rispetto ai principali Paesi europei. Inoltre la loro dislocazione, in prevalenza in contesti urbani, rende più complesso l’utilizzo del veicolo elettrico su lunghe tratte, nonostante un’autonomia media che ormai si aggira sui 300-400 chilometri».

Ovviamente le sfide cambiano se facciamo riferimento al contesto urbano e a quello circostante. Secondo Franzò, «bisogna pensare tema della mobilità in maniera olistica per unire città e periferie, ad esempio creando punti di interscambio in cui chi arriva dalla periferia verso i centri cittadini possa utilizzare con facilità i veicoli in condivisione, magari elettrici».

Una sinergia sempre più necessaria, soprattutto in un contesto in cui le città puntano sempre più al decongestionamento del traffico e a ridurre il loro impatto in termini di inquinamento.

 

A Point of view on Leadership

Obiettivi definiti e una spiccata intelligenza emotiva. Sono questi, secondo Lorenzo Wittum, amministratore delegato di AstraZeneca Italia, i due pilastri su cui i manager devono costruire il proprio successo. Una certezza che deriva da anni di esperienze personali, le stesse che Wittum ha raccontato in aula agli Executive MBA del MIP Politecnico di Milano. «La pressione senza direzione genera solo agitazione – ha spiegato Wittum –. Le aziende sono orientate al risultato, e per ottenerlo è fondamentale una strategia chiara e precisa, specialmente se ci si ritrova a gestire team di centinaia di persone. Il gruppo di lavoro deve sapere qual è l’obiettivo finale. Per questo è importante che il leader sia in grado di comunicarlo correttamente e con efficacia».

In un contesto simile, le soft skill diventano più determinanti di quelle hard, che però non vanno sottovalutate: «Sono entrato nel mondo del lavoro anch’io grazie a un MBA in Business Administration e Management, senza il quale oggi probabilmente non sarei qui. Ho iniziato il mio percorso lavorativo mettendo a frutto le competenze hard frutto degli anni di studio, e nel frattempo ho potuto sviluppare le capacità empatiche e comunicative, che per un leader sono fondamentali», ha raccontato Wittum.

Sarebbe difficile, infatti, definire come un buon leader una persona non in grado di coinvolgere e motivare i propri collaboratori. «Bisogna saper parlare chiaro: definire le aspettative, il livello di sfida, le opportunità e i rischi. Poche cose sono coinvolgenti come la possibilità di lavorare sulla crescita personale, sia la propria che quella dei colleghi».

Le soft skill, inoltre, a differenza di quelle hard che spesso riguardano alcuni ambiti specifici, possono essere impiegate trasversalmente a tutti i settori lavorativi. «Il business, quale che sia il settore, si fonda sempre sugli stessi principi. A fare la differenza, però, sono sempre gli stessi elementi: il coinvolgimento delle persone, una direzione strategica chiara e la motivazione. Fattori ancora più importanti se pensiamo che, all’interno di un’organizzazione, ci sono molti progetti che coinvolgono alte professionalità provenienti da funzioni aziendali differenti: quando, come in questo caso, si guida un “superteam” di esperti che rispondono ad altre gerarchie aziendali, più che di leadership si parla di lateral influence», ha spiegato Wittum.

Spetta proprio al leader, infatti, creare le condizioni adeguate per stimolare la cooperazione: «In questo, aiuta moltissimo una qualità che ho sviluppato durante il master: quella dell’umiltà che va intesa come la capacità di essere trasparenti, di saper riconoscere quando un’idea altrui è migliore della propria. È questo atteggiamento a generare il coinvolgimento».

Il ruolo del leader, ovviamente, cambia molto rispetto alle dimensioni del team. «Quando guidavo team più piccoli amavo lavorare sempre sul campo e dare l’esempio. Messo alla guida di un gruppo più grande, mi sono reso conto che quell’approccio generava una complessità controproducente. Così ho capito che per coinvolgere e motivare non un team ma un’intera azienda dovevo prima di tutto essere riconosciuto come leader, al di là del ruolo che occupo, dalle figure di riferimento delle varie funzioni aziendali».

L’ad di AstraZeneca Italia ha infine rimarcato l’importanza di un master nel percorso formativo del singolo: «A patto, però, di avere pazienza e di considerare la carriera in un’ottica costruttiva. Non è una serie di sprint da 100 metri, ma è molto più simile a una maratona. È importante sapere che cosa si vuol fare da grandi, ma non per questo bisogna aspettarsi di trovare il lavoro desiderato fin dal primo istante. È un percorso di crescita che richiede, anche in questo caso, un obiettivo chiaro e grandi capacità di resilienza».

Banor SIM presenta il nuovo studio in ambito ESG sul mercato obbligazionario

Dopo la ricerca sulla relazione tra le performance azionarie e i criteri ESG presentata lo scorso anno che considerava il mercato azionario europeo, BANOR SIM e la School of Management del Politecnico di Milano hanno esposto oggi a Roma i risultati dello studio che guarda alla relazione tra mercato obbligazionario e rating ESG, sempre in riferimento all’Europa.

Abbiamo adottato lo stesso approccio e la stessa metodologia utilizzata dal Prof. George Serafeim della Harvard Business School, tra i più autorevoli esponenti nell’ambito dell’investimento responsabile, che da anni analizza il fenomeno e la correlazione tra criteri ESG e performance di mercato.” illustra Massimiliano Cagliero, AD e fondatore di Banor SIM, che prosegue “Nel 2018 ci siamo concentrati sull’analisi del mercato azionario, che ha fatto emergere il valore per l’investitore dell’integrazione delle variabili ESG nel processo d’investimento in combinazione al value investing. Quest’anno abbiamo voluto esplorare l’altra faccia del mercato, quello obbligazionario, su cui i nostri clienti sono sempre stati storicamente molto presenti. Era per noi quindi d’obbligo analizzare a fondo la questione.”

Il convegno organizzato da Banor SIM ha portato oggi a Roma il Prof. George Serafeim della Harvard Business School, il Dott. Alessandro Tappi, Chief Investment Officer dell’European Investment Fund, e il Prof. Giancarlo Giudici della School of Management del Politecnico di Milano, coordinatore dello studio, per illustrare e commentare i risultati della ricerca.

Le evidenze mostrano una performance migliore dei titoli associati alle buone pratiche ESG, soprattutto nel periodo più recente, in particolare per i titoli high yield. Inoltre, il parametro che discrimina di più è quello legato alla buona governance mentre i fattori environment e social sembrano essere percepiti come meno rilevanti per quegli investitori interessati a ridurre il rischio di insolvenza nel breve periodo piuttosto che la sostenibilità e il vantaggio competitivo di lungo termine.

Le tematiche ESG sono al centro dell’attenzione come non mai; da una parte gli investitori dimostrano sempre di più la volontà di impiegare i risparmi considerando parametri di sostenibilità ambientale, sociale e di buona governance societaria, dall’altra i policymaker europei stanno introducendo una serie di obblighi formativi e informativi – osserva il Prof. Giancarlo Giudici, Politecnico di Milano -. È quindi imprescindibile per gli asset manager studiare il mercato e farsi trovare pronti per questa nuova sfida”.

È stata anche confermata l’ipotesi iniziale secondo cui il mercato, nel corso del tempo, abbia attribuito uno spread negativo alle emittenti con punteggio ESG migliore, reputandole meno rischiose nel breve e medio termine. Questo effetto sembra essere limitato al vantaggio dell’adozione di buone pratiche per il governo societario che per gli investitori può implicare costi di agenzia inferiori, minor rischio di comportamenti opportunistici e miglior monitoraggio.

Approccio

La ricerca portata avanti da Banor SIM e dalla School of Management del Politecnico di Milano ha studiato la relazione tra rating ESG e spread di rendimento dei titoli obbligazionari sui mercati europei seguendo l’approccio di Khan et al. (2016) già utilizzato sul mercato statunitense, per cui il peso attribuito ad ogni indicatore ESG varia da settore a settore per tenere conto delle specificità di ogni area di business. È il principio della materialità, su cui SASB (Sustainability Accounting Standards Board) ha costruito una matrice per l’analisi e l’attribuzione di un peso specifico a ciascuna dimensione ESG in base al settore di attività dell’impresa.

Metodologia

L’analisi ha riguardato 536 obbligazioni quotate sui listini europei ed emesse da 146 imprese di medie e grandi dimensioni tra gennaio 2014 e dicembre 2018 ad esclusione dei titoli convertibili e di quelli collocati da banche e società immobiliari. La selezione si è concentrata sulle obbligazioni incluse in due ETF di Barclays, lo SPDR Bloomberg Barclays EU High Yield Bd UCITS ETF e lo SPDR Bloomberg Barclays Euro Corp Bond UCITS ETF. Per ciascun titolo sono stati raccolti i prezzi di Borsa (fonte: Datastream), i bilanci dell’emittente (fonte: Worldscope) e i parametri rilevanti in ambito ESG (fonte: Thomson Eikon ESG e ricerca manuale sui prospetti informativi e sui bilanci di sostenibilità delle emittenti). Arrivati a 424 indicatori disponibili, ad ognuno si è associata una delle 30 classi di variabili della matrice SASB che mostra l’importanza relativa dei parametri ESG per ogni settore.

I punteggi ottenuti sono poi stati normalizzati e per ogni anno si è calcolato un punteggio ESG finale per singola impresa emittente come media ponderata di E, S e G secondo i pesi raccomandati da SASB. In seguito le emittenti sono state suddivise in due gruppi in funzione del punteggio ESG superiore o inferiore alla mediana. Successivamente si è proceduto al calcolo del Total Return Index mensile dei titoli dei due gruppi, conducendo analisi separate per quelli investment grade e high yield.

Evidenze

Lo studio ha fatto emergere che anche il mercato obbligazionario europeo, specie negli ultimi anni, considera il rating ESG di un’emittente come elemento che influisce sul rendimento atteso. Confrontando un panel di obbligazioni quotate tra le più liquide si è visto che la performance dei titoli associati alle migliori pratiche ESG è stata migliore, soprattutto per i titoli ad alto rendimento. In realtà il parametro determinante è di gran lunga quello legato alla buona governance mentre i fattori environment e social sembrano andare in senso opposto.

L’analisi dello Z-spread lascia supporre che il mercato negli ultimi anni abbia cominciato ad offrire uno “sconto” sul costo del capitale richiesto alle imprese che seguono buone pratiche ESG, determinando un apprezzamento maggiore dei loro titoli.

I risultati della ricerca sono molto interessanti – ha spiegato Angelo Meda, Responsabile della Ricerca Banor SIM, a conclusione della presentazione – Le nostre ipotesi hanno in parte trovato conferma, in parte lo studio ha gettato nuova luce e fatto chiarezza. Ci aspettavamo che l’integrazione di valutazioni ESG nell’asset allocation potesse migliorare la qualità delle analisi dell’approccio value che seguiamo. Il fatto che le tre variabili E, S e G non si muovano di concerto è viceversa un fatto inatteso e di cui terremo conto.”

African Innovation Leaders in formazione per la New Production Revolution

Sono 21 i Leaders africani che stanno partecipando al programma “Emerging African Innovation Leaders – G7 exchange & empowerment program for enabling innovation within the next production revolution’” (AIL ) gestito da Politecnico di Milano e Politecnico di Torino.

Il programma della durata di 18 mesi, avviato ad aprile del 2018 grazie al supporto dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), ha lo scopo di promuovere innovazione ed imprenditorialità in 6 paesi africani, in particolare Etiopia, Kenia e Niger sul settore Green-tech e Mozambico, Nigeria e Tunisia sul Digital-tech, entrambi individuati come settori chiave che possono creare sinergia tra paradigmi di produzione e sviluppo sostenibile.  Il programma era stato annunciato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri durante il G7 di Taormina nella sessione conclusiva di Outreach Africa.

I Leader coinvolti, selezionati tra 450 candidature vagliate dal comitato scientifico del progetto, hanno preso parte ad un percorso di formazione svolto presso il MIP, arricchito dalla partecipazione al World Manufacturing Forum e dalla visita ad imprese italiane dei settori chiave. L’obiettivo è creare le condizioni per lo sviluppo di una comunità di leaders in grado di innescare processi di innovazione nell’ambito della Next Production Revolution in Africa.

I Leaders, supportati da mentori dedicati, hanno identificato come output della formazione 6 progetti di innovazione che affrontano problematiche centrali per lo sviluppo socioeconomico e industriale locale. In un’ottica di blended learning, un percorso guidato di formazione online MOOC (Massive Open On-line Courses) sta accompagnando i Leaders lungo tutta l’evoluzione del progetto.

AIL è un programma con diversi elementi di novità nell’ambito della cooperazione allo sviluppo” afferma la prof.ssa Paola Garrone, coordinatrice del progetto “Una selezione molto competitiva ci ha permesso di avere partecipanti con profili ottimi in termini accademici e di esperienza; molti di loro rivestono ruoli importanti nei settori del business, delle istituzioni o dell’università.  Per sviluppare le competenze dei Leaders, il programma fa uso di un mix di strumenti: formazione specialistica, incontri con imprese che hanno trasformato i propri processi, sviluppo di un progetto, attività di disseminazione e networking. A queste condizioni, diventa realistica l’ipotesi che i Leaders progettino e guidino percorsi di innovazione all’altezza delle sfide che caratterizzano il manifatturiero, l’agricoltura e le infrastrutture nei paesi Africani di provenienza”.

Quella che è stata definita la “prima generazione” di Leaders si trova in Italia in questi giorni per partecipare a Seeds & Chips – The Global Food Innovation Summit e a EXCO2019 (Expo della Cooperazione Internazionale, Roma 15-17/05/2019) con lo scopo di coinvolgere aziende per sostenere i progetti di innovazione ideati e concretizzandoli in partnership industriali e imprenditoriali che impattino sullo sviluppo locale in modo stabile.

E nel frattempo una “seconda generazione” di Leaders è già stata ingaggiata: circa 250 nuovi African Innovation Leaders sono stati selezionati dalla prima generazione. Grazie al programma consolidato, seguiranno il percorso di formazione on line attraverso i MOOCs (disponibili nella piattaforma Polimi Open Knowledge – www.pok.polimi.it ) supportati dai 21 Leaders, in un circolo virtuoso che valorizza e promuove la rete di Alumni e quella dei mentori in varie discipline.

 “La seconda generazione è una componente fondamentale di AIL” spiega Garrone. “Il coinvolgimento dei nuovi esperti nel programma moltiplica le possibili sorgenti di trasformazione del sistema produttivo. Soprattutto, è la presenza della seconda generazione a rendere credibile l’idea che nei 6 paesi Africani target operi una comunità di innovatori.  Alcune decine di Leaders per paese condividono l’imprinting dato dal metodo e dai contenuti AIL e i legami con gli attori della Next Production Revolution in Italia, in particolare con il Politecnico di Milano e la sua School of Management e con le imprese italiane maggiormente innovative.”

Il programma sta inoltre proseguendo con la presentazione dei Leaders e dei loro progetti nel corso di innovation days dei paesi di provenienza, con la presenza di docenti della School of Management. In particolare, la seconda generazione, supportata dalla prima, partecipa ad una competizione di idee imprenditoriali innovative. In partnership con il programma AIL, il MIP e la Fondazione World Manufacturing Forum sostengono l’impegno delle due generazioni con premi consistenti nella partecipazione all’International Flex EMBA e all’edizione 2019 del WMF.

 

 

MBA Career Services & Employer Alliance – European Conference

La quarta rivoluzione industriale e l’Intelligenza Artificiale stanno avendo un grande impatto sull’evoluzione del mercato del lavoro e sulle skill ricercate nei lavoratori di domani.

Di questo si è parlato alla conferenza annuale tenuta da MBA Career Services & Employer Alliance, il principale fornitore di istruzione, informazioni e competenze per il supporto e lo sviluppo degli studenti MBA.

Uno degli aspetti interessanti emersi durante l’evento è che, a differenza di quanto si possa immaginare, l’Intelligenza Artificiale ha uno stretto legame anche col mondo delle soft skill.
Infatti, in uno studio di LinkedIN, si mostra come la crescita dell’AI non faccia che accrescere l’importanza delle soft skill.
Questa previsione indica che tra le competenze più richieste dal mondo del lavoro negli anni a venire ci saranno skill come analysis & problem solving interpersonal relationships & leadership, time management, self awareness & self development.

Di fronte a questo tipo di cambiamenti, è quindi importante per la nostra Scuola mantenersi aggiornati sulle nuove sfide che si troveranno ad affrontare gli studenti e sulle nuove competenze digitali ricercate dai recruiter.

L’MBA CSEA European Conference ha rappresentato non solo un’occasione per approfondire questi temi ma anche un momento di incontro e di condivisione di idee e di metodologie tra le più importanti Business School internazionali. Ecco perché all’evento tenutosi a Berlino ad aprile c’era anche il Career Development Center del MIP.

GEMOS: scopri la CAB Scholarship

Il CAB – Corporate Advisory Board – del master GEMOS ha il piacere di annunciare che sono disponibili cinque contributi allo studio fino al 30% per candidati meritevoli.

Per partecipare è necessario dimostrare il proprio contibuto allo sviluppo della leadership internazionale e delle pratiche di business come descritto negli obiettivi del programma. Tutte le scholarship sono erogate in base al merito.

Possono partecipare i candidati che rispettano i requisiti di ammissioni e che durante l’application presentano un breve scritto – non più di 500 parole – sul tema:

Do you have “the factor” required for leading effective operations and supply management in today’s global and competitive markets? Make a concrete example of a recent project you have successfully managed in the field.

Build it with the brick: quando l’Open Day si trasforma in gioco

Caschetti, mattoncini colorati e una città da progettare: ecco che cosa si sono trovati davanti gli aspiranti studenti del MIP sabato 13 aprile in occasione dell’Open Day dedicato ai Master Specialistici.

“I nostri Master specialistici internazionali  – spiega Anna Bacigalupi, Head of Admissions International Full Time Master  – si rivolgono a giovani laureati. Attraverso un approccio maggiormente specializzato, hanno l’obiettivo di fornire ai candidati le conoscenze specifiche necessarie per operare in determinate aree o settori all’avanguardia, basti pensare al master in FINTECH, Big DATA, Industry 4.0, Innovazione digitale solo per nominarne alcuni”

Dopo una breve presentazione della scuola e dei programmi, è arrivato per tutti i partecipanti il momento di mettersi alla prova con un game di team building sul tema “Build it with the brick”.

L’obiettivo del gioco? Ogni squadra doveva costruire una città con i mattoncini colorati, superando prove e piccole sfide. Un game nato per mettere in evidenza skill come leadership, problem solving e pensiero laterale, ma che ha anche permesso ai ragazzi di migliorare le proprie capacità di team working e di superare le diversità di provenienza e di background.

Questa volta però la voglia di collaborare e di raggiungere l’obiettivo è andata oltre le aspettative: le squadre, al posto di mettersi in competizione tra di loro, hanno lavorato insieme creando una bellissima città a misura d’uomo, ribattezzata “Il Bosco Orizzontale”.

Un’ora e trenta in cui – a differenza di altri business game –  non si è parlato di numeri ma ci si è concentrati sulle soft skill, altrettanto importanti nel mondo del lavoro di oggi delle competenze più tecniche.

Un approccio apprezzato anche dai partecipanti, come ci racconta uno di loro: “Vorrei ringraziarvi per la giornata di Open Day e Presentazione dei Master Specialistici a cui ho avuto modo di partecipare nella giornata di sabato: lasciatemi dire che è stata molto esplicativa e che, attraverso il Lego Game, le meccaniche di proattività e impegno costante che verranno richieste dai Master sono state ben raccontate. Complimentarmi ancora per l’ottima riuscita dell’Open Day!”

La mattinata si è poi conclusa con una sessione di Q&A con Alumni e studenti dei programmi, che hanno potuto condividere con gli aspiranti studenti esperienze, sfide, obiettivi raggiunti e percorsi di carriera.

Global Talent Recruiting Day

Scendono in campo a San Siro pieni di determinazione, sogni nel cassetto e aspettative. Ai piedi non hanno gli scarpini da calcio, ma tacchi alti. Non indossano maglie e calzoncini ma giacca e cravatta.

Sono gli studenti dei Master Internazionali che, il 12 aprile, hanno varcato le porte dello Stadio di San Siro per giocare una partita importante per la loro carriera, il Global Talent Recruiting Day.

L’evento, organizzato anche per celebrare il 40° anniversario del MIP, ha visto la partecipazione di 50 aziende italiane e internazionali, 125 recruiter e 230 studenti internazionali, e la presentazione di 225 posizioni aperte.

Martina Pietrobon

Laureata in “Psicologia del marketing”, un passato nella divisione vendite di una grande azienda, un MBA in tasca, e un’esperienza di tre mesi in India che ha lasciato il segno. Lei si chiama Martina Pietrobon ed è la nuova responsabile del Marketing di Microsoft Italia. Segni particolari: è una nostra Alumna.
Come è arrivata a un ruolo così prestigioso? Lo abbiamo chiesto direttamente a lei!

Entrata subito dopo la laurea in Johnson & Johnson occupandosi di vendite, Martina capisce presto che è il marketing a interessarle davvero. Guardandosi intorno, si rende conto che, nella sua azienda, molti di quelli che occupano il ruolo da lei desiderato hanno un MBA alle spalle.
L’ambizione è forte e così la decisone è presa: si iscrive all’MBA Full Time del MIP. Avendo una formazione di tipo umanistico e sociologico, la Business School del Politecnico rappresenta un approccio “complementare”, che le permette di colmare alcune lacune.

«Mi sono licenziata, con le persone che mi chiedevano se fossi sicura di lasciare un contratto a tempo indeterminato, in un una grande azienda…Ma ero convinta, era quello che volevo fare nella vita», ci racconta la Pietrobon.
A chi oggi si affaccia nel mondo del lavoro può sembrare strano, ma Martina, a nemmeno trent’anni non solo aveva già un contratto a tempo indeterminato, ma non aveva mai nemmeno fatto uno stage.

Perché quindi lasciare quella comfort zone?
«Io sono una persona che quando ama, ama con tutta sé stessa» – spiega – «Dover tenere un piede in qualcosa che non mi dava più soddisfazione, anche se mi avrebbe permesso di conservare un contratto, mi faceva sentire legata, sarebbe stata una limitazione alla sfida che stavo per affrontare. Mi dicevo: nella peggiore delle ipotesi tornerai a fare quello che facevi prima, in Johnson & Johnson o in un’altra azienda.  Licenziarmi, per me, significava crederci fino in fondo. A un certo punto o investi tu su te stesso o non puoi aspettarti che siano gli altri a farlo per te. Sei tu a doverci credere per primo, altrimenti gli altri vedranno solo gli ostacoli, il lavoro al quale rinunci in un periodo di crisi economica, il futuro incerto…»

Quando Martina ci racconta della sua esperienza, l’entusiasmo è palpabile. Viene naturale chiederle che cosa abbia significato l’MBA per lei.

«È come se l’MBA ti desse la visibilità di un’intera enciclopedia: sai che a una certa necessità nel mondo del lavoro corrisponde uno strumento per risolverla. Ovviamente in un anno tu non riesci ad avere gli strumenti per risolvere tutto da solo, ed è anche questo il bello del gioco. Alla fine quello che impari è che esistono varie leve, e che l’importante è sapere quando, come e con chi azionarle. Quello che mi ha dato l’MBA, quindi, è una visione a 360° di molti strumenti – anche finanziari – che prima non conoscevo» – ci rivela.  «Capisci che ogni pezzettino, come in un motore, è legato all’altro. Perché il motore funzioni, devono lavorare bene tutte le singole parti».

Tante nozioni, quindi, ma non solo. La nostra Alumna infatti spiega: «L’MBA mi ha formato, mi ha dato sicuramente delle competenze, ma mi ha anche insegnato che spesso sono l’attitudine e l’atteggiamento che si hanno verso il voler imparare, a fare la differenza. Quello che per me è stato fondamentale è stato avere un approccio che qui in Microsoft definiamo growth mindset, ovvero la volontà di mettersi in gioco e di imparare cose nuove. Penso che spesso sia la superbia a non permettere alle persone di crescere nelle aziende e di fare carriera. L’MBA ti fa capire che quello che sai è poco, troppo poco, e che ti devi continuamente aggiornare e mettere in gioco».

E mentre la nostra chiacchierata prosegue, appare evidente come Martina in gioco si sia messa fino in fondo. Come? Scegliendo di completare l’esperienza formativa al MIP con un exchange program di tre mesi in India, presso l’Indian Institute of Management Lucknow.

«Ho scelto l’IIM perché era la scuola più rinomata per il marketing nel mondo asiatico. Quello che volevo vedere era la sfaccettatura del marketing in quel tipo di cultura. L’approccio infatti è molto diverso rispetto a quello che studiamo noi. In India è basato tutto sui numeri, anche nel marketing e nella comunicazione. Lì il filo conduttore era dato da un ROI numerico, basato su KPI finanziari. È stata un’esperienza molto formativa, sia dal punto di vista delle competenze, che da quello culturale. Tre mesi in India – sebbene in una rinomata Business School – rimangono un’esperienza forte, un po’ catartica. Trovarmi in un ambiente internazionale, incontrare persone che hanno una cultura e un modo di vedere le cose così diversi dal mio, mi hanno permesso di sviluppare le soft skill in modo straordinario…»

Tornata dall’India e ricevuto il diploma, si è aperta davanti a lei una nuova strada nel marketing, prima in Johnson & Johnson e poi in Microsoft, fino ad arrivare alla posizione che ricopre oggi.

Tappe intermedie che le hanno dato tanto: «Quando ho iniziato a lavorare in Microsoft mi occupavo del co-marketing con i partner, una posizione che mi dava meno visibilità rispetto a ora, ma che mi ha permesso di capire il business, i meccanismi di marketing e di vendita»  – ci spiega.

Un’esperienza che l’ha resa, insieme alle sfide che affronta ogni giorno, la professionista che è oggi.
Così, un po’ con uno sguardo al futuro e alle nuove generazioni, e un po’ al passato, chiudiamo l’intervista chiedendole quale consiglio vorrebbe dare alla Martina neolaureata di dieci anni fa, ma anche ai nostri studenti che stanno scoprendo ora il proprio percorso professionale.

Con passione Martina ci spiega: «Ho finito l’MBA che praticamente avevo 30 anni. Forse avrei dovuto trovare il coraggio di farlo un po’ prima. Una volta entrata nel mondo del lavoro, mi sono resa conto che i ragazzi all’estero si laureano prima, riescono a fare un MBA prima e quindi arrivare al mondo del lavoro prima di noi…o comunque ci sono arrivati prima di me. Quindi tornando indietro troverei prima il coraggio, di licenziarmi e di fare un MBA».

Poi aggiunge, pensando ai ragazzi che iniziano ora la loro carriera: «Io ho avuto la fortuna di non fare parte della generazione degli stagisti. Forse sono stata l’ultima. Non ho fatto uno stage, sono entrata a tempo determinato in una grande azienda. Quando, già un anno dopo, vedi che le persone iniziano ad avere problemi a trovare lavoro, ti senti in una comfort zone.  Ecco, il consiglio che avrei dato a me e che mi sento di dare alle persone che si approcciano oggi a questo mondo è: la comfort zone spesso non ti permette di di metterti veramente in gioco. Se sei veramente ambizioso, non ti fermare in quelle situazione in cui “non stai poi così male”. È proprio quel “non star poi così male” che blocca le persone e non permette loro di spiccare il volo. È come se a un certo punto un uccellino si abituasse alla propria gabbietta e alla relativa sicurezza che ne deriva. Penso che ogni uccellino dovrebbe cercare di aprire quella gabbietta – non di arredarla! –  e spiccare il volo, anche a costo di scontrarsi con un predatore.»